domenica 3 aprile 2011

"Nemesi" di Philip Roth

Estate del '44. Newark. Quartiere ebraico di New York. Mentre in Europa giovani soldati americani muoiono al fronte, il ventitreenne Bucky Cantor fa l'animatore di un campo giochi. Non è bastato il suo fisico d'atleta, le sue qualità di ragazzo modello a farlo arruolare. Un difetto alla vista ha messo fine prima del tempo al suo sogno ma non lo ha provato nello spirito. Nulla potrebbe. Non c'è riuscita la nascita segnata dalla morte per parto della madre, né la vergogna di un padre ladro. I nonni materni lo hanno educato nei rispetto di sani principi, gli hanno ispirato valori che ora in qualità di insegnante Bucky trasmette ai suoi allievi e lo hanno spinto a credere in se stesso, a modellare un sogno, a raggiungere l'obiettivo con forza. Così Bucky è diventato un ottimo atleta, un lanciatore di giavellotto, così Bucky ha imparato che la vita come ogni sport richiede 'le tre D: determinazione, dedizione e disciplina, e praticamente non servirà altro'. Così Bucky ha anche conquistato il cuore di Marcia, sua collega; così spera di poter costruire una famiglia, di essere felice. Per questo Bucky sente di fare la sua parte nel mondo, ancor più ora che un nemico oscuro ghermisce la vita di vittime innocenti anche nel suo quartiere, anche tra i suoi ragazzi: la polio. Nel giro di pochi giorni l'insegnante modello che attraversa le strade assolate e deserte di un quartiere vittima della paura, del sospetto, della rabbia si trasforma nell'ennesimo responsabile da additare, reo di non aver fatto abbastanza, e il dubbio si insidia in lui, lo dilania, lo spinge a chiedersi perchè Dio permetta tanta sofferenza. Poi la speranza si apre nuovamente a lui, lasciare Newark, lasciare il contagio, lasciare il tormento per lavorare in un campo estivo in montagna, ritrovare Marcia, sognare il futuro con lei, tornare persino allo sport salvo scoprire che non si può fuggire alla malattia, la sua nemesi: 'vendetta che ripara i torti mediante la punizione dei colpevoli'.
Forse è lui l'untore, forse è lui che ha trasmesso il morbo, forse è lui che a dispetto dei suoi nonni non merita di aspirare alla felicità, forse è lui lo strumento di un Dio cattivo che ha permesso la sua tragica infanzia, la sua lotta alla vita, il tentativo di mirare ai sogni per poi ricacciarli indietro, trascinando nel baratro innocenti. Rabbioso verso un Dio ingiusto che ha permesso la morte, la malattia di tanti bambini, che ha portato il dolore in tante famiglie già provate dalla guerra Bucky si lascia vincere da un destino avverso, lui 'una brava persona' si ostina a emendare alla sua colpa, lui sopravvissuto alla malattia, se pur storpio, rinuncia all'ultima possibilità di felicità: lo fa respingendo l'amore della sua donna, lo fa a distanza di tanti anni rifiutando l'amicizia di un suo ex allievo, malato come lui, che ostinatamente cerca di liberarlo dalla sua ossessione: "Non metterti contro te stesso. Nel mondo c'è già abbatsanza crudeltà. Non peggiorare le cose facendo di te un capro espiatorio".
Tutto inutile: "In uno come Bucky il senso di colpa potrebbe sembrare assurdo, ma in realtà è inevitabile. Niente di ciò che fa è all'altezza dell'ideale che nutre dentro di sé. Non sa mai dove finisce la sua responsabilità. Non accetta i propri limiti perchè, gravato da un'austera bontà naturale che gli impedisce di rassegnarsi alle sofferenze degli altri, non riconoscerà mai di avere dei limiti senza sentirsene in colpa".
Ancora una volta Roth regala un grande romanzo ai suoi lettori, un maestro nell'evocazione di tempi, spazi, luoghi. Un capace creatore di personaggi che restano dentro. Una scrittura vibrante, potente, pregna di significato eppure a tratit meravigliosamente poetica, romantica, illusorea. Pare quasi magico il momento in cui Marcia canta al suo uomo per astrarlo dal dolore, da quel senso di colpa che si sta facendo strada nel cuore e che rischia già di rubarlo al mondo. E canta non una canzone qualsiasi ma 'I'll be seeing you' di Irving Kahal.. di per sé un testo dolorosamente emozionante.

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