sabato 30 novembre 2013

"Una carrozza per Winchester" di Giovanna Zucca

"Quando ebbe la consapevolezza di amarlo si rese conto di poterlo fare senza gli orpelli della sua immaginazione: lui stesso bastava a far nascere un simile sentimento, non era necessario altro"
Inghilterra. Winchester. Inizio del XIX secolo. 
Jane, la fragile ed eterea signora, che il mondo conosce come 'A Lady', l'amata autrice di 'Orgoglio e pregiudizio' ed altri incantevoli romanzi, pur sostenuta dall'affetto dei cari amici Winnicott, dell'adorata sorella Cassandra e del buon fratello Henry, è affaticata da mesi, prostata nel fisico ma accesa nella mente. Così forte in lei il bisogno di scrivere la parola fine al suo ultimo romanzo da dimenticare l'assennatezza. Fino all'incontro con l'ultimo dei medici accorsi al suo capezzale, invocato da voci amiche: quel Sir Thomas Addison di cui l'intera Londra parla, un luminare che solo l'amore di una figlia ha sottratto agli obblighi delle sue ricerche per condurlo in una remota casa di campagna.
Al valente scienziato non sfuggirà la gravità del male che affligge Jane, lo stesso su cui da anni si concentrano i suoi studi condivisi con il valente Thomas Hodgkin ma nulla potrà per salvarla se non assisterla e cedere alle sue richieste: accompagnarla a Bath per vivere pochi intensi giorni di felicità. Nulla si può negare al soggetto amato. Thomas e Jane si amano, a dispetto delle convenienze, a dispetto del mondo intero. Jane "era divenuta audace proprio in virtù della sua tragica debolezza prossima alla resa". Del resto "l'amore spesso rovescia le regole ed i comportamenti condivisi. L'amore respira la libertà. Compare non chiamato, non voluto, spesso inopportunamente". E regala attimi di eternità, e illude impunemente, illude di bastare per quel che può.
Lei Jane, "non cercava l'immortalità attraverso la sua opera, ciò che bramava era l'immortalità concessale dall'amore di Thomas. E se lui avrebbe continuato a pensarla sotto un temporale, quando le stelle spaventate dal tuono si nascondono, od avrebbe visto ancora i suoi occhi nel pulviscolo che si solleva dalla scrivania quando la luce iridescente vince la resistenza dei tendaggi, allora non sarebbe morta affatto".
E Jane.. Jane Austen non è morta invano. E' con noi, parla ai cuori dei lettori, descrive perfettamente l'animo umano, a dispetto del tempo. Racconta i sentimenti e dileggia gli orpelli dei falsi, dei boriosi, dei pingui mediocri, degli intriganti. Lascia che la fantasia si mescoli alla realtà aprendo il cuore alla scoperta, all'attesa, alla forza del bene e alla potenza dell'amore.
"Ciò che si ama è bello".
L'autrice, Giovanna Zucca, al pari della Austen ricompone un mondo perduto, fatto di piccoli e grandi personaggi, racconta di nuovi affanni d'amore -le deliziose storie di Angelica e Jane Mary- e riesce in pieno nel rendere partecipato quell'amore 'da grandi' che trascina Jane e Thomas. La scrittura della Zucca è davvero convincente, coniuga pathos e leggerezza, tormento e affanno, incanto e attesa. E rende credibile quel che nella realtà non è mai accaduto, l'incontro tra la Austen e l'unico uomo che avrebbe davvero potuto salvarla... e forse, va da sé, amarla.
Incantevole.


lunedì 25 novembre 2013

"E così vorresti fare lo scrittore" di Giuseppe Culicchia

"Perché tranne pochissime eccezioni deceduti quando ormai erano ultracentenari, in genere gli scrittori non campano così a lungo da vedere con i propri occhi se e quanto durino i propri libri".
'E così vorresti fare lo scrittore'? Chiede Giuseppe Culicchia. Sì, forse, non solo.. eppure mascherato da manuale per lo scrittore esordiente la narrazione di Culicchia incasella in capitoli brevi e precisi, informazioni, dettagli sul mestiere dello scrivere, consigli, tecnicismi, boutade, sciorinando aneddoti, sfatando miti, il tutto ricaldando la propria esperienza tuttora in divenire da brillante promessa a solito stronzo fino al venerato maestro.
Da commesso in libreria a viaggiatore forzato per tour promozionali di provincia, da lettore ad autore, si dipana così un libro di facile e piacevolissima lettura che svela poco ai "grandi lettori" - brutta razza, a volte più snob degli stessi autori, al punto da meritare un pamphlet sulle loro stramberie- e regala perle di critica e autocritica sul delirante mondo dell'editoria. 
Libri come merce, tecniche di vendita da manager d'assalto, invidie e gelosie, schermaglie e piacionerie tra autori ma anche un amore sconfinato per la parola scritta, di più un appassionato quanto implicito invito alla resistenza dello scrivere, quasi un atto di ribellione in un tempo consumato dalla velocità dei nuovi media.
Bello come Culicchia riesca a 'scrivere dello scrivere' senza cedere alla pedanteria ma serbando irriverenza e ironia, lasciando intendere che pur se tra mille pagine scritte poche o alcuna merita futura gloria il pensarlo è un pensiero gentile.

sabato 23 novembre 2013

"Il senso di una fine" di Julian Barnes

"Il ricordo è ciò che pensavamo di aver dimenticato".
Una lettera recapitata da un notaio, un piccolo lascito in denaro e il diario di una persona morta da tempo. Poco basta a rimettere in discussione l'intera vita di un pensionato inglese, Tony Webster.
Costretto a tornare indietro nel tempo, a ricordare gli anni della scuola e dell'università, gli amici, la prima ragazza amata Veronica e lui, Adrian, l'eccentrico, il genio, il migliore dei ragazzi sul cui futuro di successi tutti scommettevano, salvo assistere al disgregarsi del mito un giorno qualunque, in un bagno schizzato del suo sangue suicida. Di lì affannarsi a cercare il senso di una fine era durato qualche giorno, un anno, poi il ricordo era sbiadito nell'incessante costruzione della vita: lavoro, famiglia, figli o almeno nell'illusione della costruzione di una vita intorno all'artificio di una verità che sfiora la convenienza. "Prendiamo d'impulso una decisione e ci costruiamo sopra un'infrastruttura di ragionamento che possa giustificarla. Il risultato poi lo definiamo buon senso".
Era capitato così a Tony, che aveva dimenticato. Dimenticato che Veronica lo aveva lasciato e di lì a breve aveva preso a frequentare Adrian. Dimenticato che al permesso implicito dell'amico di amare la sua ex lui aveva risposto con una lettera velenosa e insulsa. Dimenticato l'asprezza del sopravvivere a chi si credeva amico solo per espiare con una vita scialba. Dimenticato di provare emozioni, semplicemente di vivere se non accettando la mediocrità. Dimenticato fino al giorno in cui il ricordo dell'amico perduto torna prepotente a chiedere ragioni, a fare i conti con il passato, con la propria vita rivelando un carico inaspettato di solitudine e sofferenza che nasconde un segreto che sì.. rivela il senso di una fine e la fragilità dell'essere umano. Una fragilità che fatalmente, finalmente.. così umanamente avvicina gli uomini. "Più impari, meno temi. Imparare non in termini di studio accademico, ma di comprensione effettiva della vita".
Capita di rado che una storia arrivi al lettore con la stessa immediatezza de "Il senso di una fine". Una scrittura viva, diretta, che cattura per l'immedesimazione e la voracità dei sentimenti dissotterrati dallo sfogo verbale del protagonista Tony. L'uomo comune al cospetto dei quesiti tutti della vita: amore, vita, morte, responsabilità a cui nessuno prima o poi può sottrarsi senza rivelare in qualche modo  la propria inadeguatezza al vivere. Mai macchine ma esseri pensanti, mai certezze ma dubbi, dubbi che possono sfiancare, lacerare, soccombere ma anche portare a nuova vita, mai solo rivalse ma anche colpe, errori, riscatti. Nella scrittura di Barnes c'è tutto, nel suo Tony c'è una parte di ognuno di noi, di quello che siamo stati o potevano essere o magari saremo, c'è l'inesperienza del vivere e la saggezza dell'accettazione del mancato perdono, c'è l'ansia di esistere e la spregiudicata felicità della medianità della vita.
Un libro di folgorante autenticità.  

venerdì 8 novembre 2013

"La macchina per fabbricare spagnoli" di Valter Hugo Mãe

"Non posso lasciarla qui da sola. Non sarebbe sola. Sarebbe sola di me, che è la solitudine che mi interessa e della quale ho paura, e questo non è mai successo".
Laura, la compagna di una vita -quasi cinquant'anni insieme- è morta e il signor Antonio Silva deve "imparare a sopravvivere ai giorni". E farlo in una casa di riposo dove l'hanno accompagnato i figli, con "due borse di vestiti e un album di fotografie".
A nulla servono le parole del dottor Bernardo o la premurosa cura che gli riserva il giovane infermiere Americo, il signor Silva sembra chiuso in un ostinato mutismo, una rabbiosa resistenza ad accettare quel residuo di vita in cui si dibattono voraci e inquieti i ricordi, i rigurgiti di coscienza di un uomo perbene confinato nell'agire dal regime fascista di Salazar, padre premuroso, ostinato osservatore dell'amore che riluceva negli occhi della sua compagna. Fino a quando, giorno dopo giorno, il signor Silva si lascia conquistare dalle parole degli altri ospiti della casa di riposo, vite straordinarie e semplici allo stesso tempo, che gli regalano momenti di speranza: "questo resto di vita mi ha dato questi amici, e io che non avevo capito l'amicizia, che non mi ero mai aspettato nulla dalla solidarietà, solo dalla contingenza della coabitazione, un procedere obbedendo, da pecoroni, avevo bisogno di questo resto di solitudine per imparare questo resto di amicizia". E così nel trascorrere dei giorni c'è la possibilità di conoscere l'uomo che ha ispirato una celebre poesia di Pessoa o crederlo solamente, camminare accanto a chi gli strappa un sorriso e lo aiuta ad opporsi alla violenza della terza età dove il nemico è il corpo, ritrovare il bisogno dell'amore negli occhi di una donna che lo aspetta da tempo, in chi come la vecchia Marta "leggeva sull'amore tutto quello che io avrei dovuto dimenticare", ma anche fuggire dagli incubi di una fratellanza insolita, inattesa, insperata in un luogo di forzata attesa, dove il buio attanaglia, ghermisce.
"I sogni dei vecchi sono come la memoria dei pesci, durano qualche secondo e per qualche secondo ne valgono la pena".
Un libro di dolcissima e dolente attenzione al tema della terza età, ai bisogni, ai desideri, alle paure insite nella vecchiaia, di più in chi resta solo. Scritta con una leggerezza nella forma che per contrappasso pesa nell'anima del lettore raccontandogli i nostri cari, raccontando di quel che saremo noi, costringendo a vedere con sguardo nuovo e attento oltre la banalità di un involucro creduto incapace di emozioni, sentimenti, pensieri. Di più l'autore rivela la profondità e l'umanità negli occhi di un uomo anziano che lotta con il suo passato per perdonarsi e perdonare, capace di accogliere, di guarire dall'egoismo del dolore. Un bellissimo romanzo, personaggi autentici, parole che accarezzano il cuore.

sabato 2 novembre 2013

"Un bel sogno d'amore" di Andrea Vitali


In quel di Bellano si proietta il discusso film 'Ultimo tango a Parigi'. Figurarsi la gente, l'anatema del parroco e le chiacchiere.. le chiacchiere... eppure la Adelaide giovane operaia del cotonificio sembra disposta a tutto pur di andare al cinema, farsi una certa idea di mondo, persino accettare la corte ruffiana del nuovo collega Ernesto visto che il suo spasimante, Alfredo Denti, onesto meccanico, sembra prender tempo, sospeso com'è al giudizio che su ogni cosa esprime l'anziana madre Benvenuta.
Eh sì che l'Alfredo vuol bene ad Adelaide, al punto di credere alla leggerezza della fidanzata, coinvolta in un giro poco chiaro di contrabbando di sigarette nella stessa fabbrica da quell'Ernesto, detto il Taglia, e sposarla sfidando quel tanto l'anziana madre.
Lo sa bene il maresciallo dei carabinieri Pezzati che di quel piccolo paese sul lago conosce vita, morte e miracoli. I soliti beoni di piazza, il cameriere del bar dell'Imbarcadero che vede e sento tutto, i ladri di galline che ogni tanto proprio come il Taglia tentano il colpo grosso salvo dirsi redenti al primo rischio concreto di finire in galera. E così a distanza di anni, il Taglia ci ricasca ma prima.. prima c'è l'ilare faccenda della vecchia Benvenuta spiata per volere della nuora, una solitaria anziana improvvisamente ebbra di vita e soprattutto di segreti.. su tutti le passeggiate in riva al lago al fianco di un uomo, e ancora il desiderio di maternità dell'Adelaide, i traffici strambi di improvvisati pescatori e giovani carabinieri decisi ad indagare.
Intorno.. tutto intorno, la vita di paese, gli sguardi, il confabulare della gente, giudizi e pregiudizi duri a morire finanche alle soglie della definitiva modernità degli anni '70. Un microcosmo di provincia che rischia di ghettizzarsi, soffocato dalla nebbia e da una quotidianità spiccia che finisce per annoiare. Quel che nei primi libri del Vitali era fresca novità, cicaleccio leggero si ripete stancamente in storie che poco o nulla hanno di interessante, avvincente, al punto che le piccole indagini dei carabinieri soccombono all'incedere lento del passo di beghine in chiesa.
Peccato, Vitali dovrebbe svecchiarsi e guardare oltre il suo lago.

venerdì 1 novembre 2013

"Figli dello stesso padre" di Romana Petri

"Hai una madre che ti adora, una moglie che ti ama e due figli meravigliosi. Non ti basta?"
"E' il passato Jenny. Si tratta del mio passato. C'è sempre un momento in cui bisogna farci i conti"
"Ma chi l'ha detto che con il passato bisogna sempre farci i conti? Qualche volta non si può semplicemente lasciarlo dov'è?
"E' quello che ho fatto fino ad oggi. Ma è arrivato il momento, Jenny. E tu lo sai come la penso: quando arriva la chiamata, bisogna andare".
Emilio ha quarant'anni. Insegna matematica in una prestigiosa università americana. E' da sempre un uomo metodico, preciso, studioso. Adora le formiche, 'il rigore puro'. Ma non ha mai accettato di essere il figlio 'non voluto', quello che ha scombussolato il padre Giovanni, quello che ha rovinato la vita al fratellastro Germano, che non l'ha mai perdonato per essere venuto al mondo.
Figlio di una relazione extraconiugale, di un amore proibito, forse nemmeno di un amore, Emilio ha sempre desiderato l'affetto negato del fratello e del padre scapestrato, personalità narcisista, permeato di sano egocentrismo, incapace di leggere le necessità dei suoi figli.
Neppure sul letto di morte del padre, Emilio e Germano sono riusciti a riconoscersi, perdonarsi. Neppure la straordinaria bontà e l'intelligenza della madre di Germano, Edda, di accettare Emilio, di non fare una colpa a Giovanni del suo tradimento, di costruire una nuova vita, finalmente la felicità con un nuovo compagno, sono bastate a Germano per accettare la perdita della sua famiglia, le attenzioni tutte di quel padre idolatrato, follemente amato, e così superare la rabbia verso quel fratellino colpevole di aver distrutto tutto il suo mondo.
Neppure gli anni trascorsi, i successi nel lavoro, l'anaffettività esibita come scelta matura di non far soffrire alcuno aiutano Germano a capire, riconoscere quel bisogno di armonia, normalità che può venirgli dal ritrovarsi negli occhi di Emilio, in quell'affetto sincero che il fratello minore ha sempre dimostrato. Una sua personale in un prestigioso museo romano è l'occasione per i due fratelli di ritrovarsi. Affrontarsi, rischiare di mandare ancora tutto a rotoli, accusarsi, ingelosirsi, ricordare il tempo condiviso, e infine ritrovarsi, volersi, sapersi frutto di una sola appartenenza: quell'essere 'figli dello stesso padre', e oltre: unicità che si appartengono, perché si può negare all'infinito, ma il cuore sa, "le persone normali lo sanno a chi vogliono più bene".

"Le famiglie non sono come la matematica"
"Sarà ma c'è sempre un risultato finale"
"Sì, certo, un risultato c'è sempre. Il risultato c'è ma bisogna arrivarci"
E Romana Petri ci arriva al risultato prendendo per mano il lettore, presentando tutti i componenti di una famiglia allargata, gli Acciari, a cavallo degli anni '60 e '70, quando convivenza, relazioni extraconiugali, figli illegittimi sono ancora tabù; anni in cui personalità equivale a diversità, e dove la conflittualità affettiva di due fratelli appare come elemento di disturbo, e non grido di aiuto. Un romanzo forte, ricco di emozioni, vibrante, acceso capace di riflettere con poetica magia le personalità incredibili di Germano, Emilio e suo padre Giovanni ma che spingono a declinare amore ed orgoglio per la saggia Edda e la dolente Costanza. Un romanzo che ispira ricordi, partecipazione, interesse per le dinamiche familiari.