martedì 28 dicembre 2021

"Sembrava bellezza" di Teresa Ciabatti

"Questa è una storia di scomparsi, di giovinezze spezzate - in un modo e in un altro. E in queste giovinezze rientriamo tutti."

A dispetto di un'adolescente difficile, vissuta all'ombra dell'amica più cara, Federica, una scrittrice di successo ritorna ad abitare luoghi e persone della giovinezza. Non è una scelta ma quasi un obbligo morale prendersi carico anche di Livia, la sorella maggiore di Federica, vittima di un incidente domestico, la caduta da un terrazzino di casa. Nei ricordi l'istantanea di una bellezza perfetta, nella realtà una fragilità mentale che la blocca ad un'età acerba, a ricordi che si mescolano a realtà artefatte. Per la protagonista un tempo sfalsato che agita il suo essere, sempre in bilico tra senso di inadeguatezza e voglia di riscatto, gesti di bontà a omissioni, piccole cattiverie mosse da una rabbia antica, ritrosie e trasgressioni, in un tentativo nemmeno poi così inconscio di punirsi. 

"Sembrava bellezza" è un libro dolente e doloroso, che dal particolare, dal vissuto della protagonista -alter ego della scrittrice- arriva all'universale, a tutti i lettori, a quel dolore comune che appartiene ad ognuna delle nostre vite, alle fantasie represse dell'adolescenza, ai sogni infranti, ai silenzi colpevoli o conniventi, alle invidie, alle frustrazioni, alle aspettative disattese, alle cattiverie subite e inflitte.

La Ciabatti parla alle nostre coscienze, agli anni passati e perduti, ai successi adulti che non compenseranno mai le mancanze dei compagni di vita dell'adolescenza, dove, come con la bella Livia, sembrava bellezza e invece era fragilità, dolore, disperato bisogno di aiuto. Un libro che pure in mezzo a tanta inadeguatezza, rabbia, dolore, eccessivo indugiare sul bisogno di espiare colpe, riluce della possibilità di perdonarsi, riscattare i rapporti, ricucire legami importanti: madre-figlia, amiche.

Una narrazione, quella della Ciabatti, che scava nelle vite dolenti senza filtri. E arriva dritta al lettore senza fare sconti.

domenica 12 dicembre 2021

"Vita mortale e immortale della bambina milanese" di Domenico Starnone

Mimì è un bambino. Ha fantasia, l'ardimento degli piccoli eroi, la trasognata idea di mille avventure da vivere nel cortile sotto casa per impressionare la bambina che abita nel palazzo dirimpetto. La vede ballare, fare piroette, sporgersi dal balcone. La sente parlare in italiano, lui che indossa il dialetto come l'abito di tutti i giorni, complice la nonna che amorevole fin quasi soffocante si occupa di lui e della famiglia. Il suo amico Lello, chiama la bambina: la milanese. Per lei, un suo sguardo, una parola, il suo amore Mimì è pronto a tutto, a duellare con Lello che scalpita per portargliela via. Piccole schermaglie tra bambini, eppure Mimì prende tutto sul serio. Fino al tragico epilogo che incastonerà la bambina milanese nei ricordi di una vita, tornando a chiederne conto più e più volte per riacquistare concretezza, per mischiarsi all'amore viscerale, durevole, della vecchia nonna, punto fermo dall'infanzia alla giovinezza di Mimì, che saprà raccontarle dell'amore devoto per il marito perso in giovane età, del mondo dei morti che reclamano attenzione, di un dialetto -il napoletano- che si fa lingua animata, accorata, densa. E fa da viatico alla vita vera, saluta gli inciampi della giovinezza, le disillusioni d'amore, antiche e nuove, fugge i lutti.

"Ho imparato da un pezzo che persino le persone che ci vogliono bene fanno fatica a ricacciare indietro se stesse per lasciare spazio alle nostre smanie di centralità".

Eros e thanatos nell'ultimo libro di Starnone, che affonda nella lingua madre del dialetto per colorare il bianco e nero dei ricordi ed emozionare con l'"io bambino" a cui dà voce con struggente tenerezza, lasciando che sia l'amore a colmare i vuoti del tempo perduto.

venerdì 10 dicembre 2021

"La vita è un romanzo" di Guillaume Musso

Flora Conway non si dà pace. Giocava a nascondino con la figlia di tre anni, Carrie, in casa quando la piccola è scomparsa.

Nessuna effrazione, nessuna traccia che lasciasse pensare ad un rapimento. Nessuna presenza rilevata dalle telecamere di sorveglianza. Nulla. Come ne 'I delitti della rue Morgue' di Poe i detective devono capire cosa sia accaduto nell'appartamento del vecchio edificio di New York riadattato ad ospitare appartamenti di lusso. Oppure interrogarsi sulla Conway, scrittrice di successo estremamente riservata. Eppure a distanza di mesi la scomparsa della piccola sembra ancora avvolta nel mistero. L'unico ad avere percezione del dramma della Conway sembra essere un altro romanziere, Romain Ozorski. A Parigi, si strugge per la fine del matrimonio e la perdita del figlio, Theo, affidato alla madre. Sull'orlo della disperazione Romain si affida alla scrittura, ai suoi personaggi ed è allora, che Flora prende vita nella sua storia. Ma..

Chi scrive la storia di chi? Romain è il creatore di Flora o il contrario? E cosa è davvero accaduto alla piccola Carrie? È mai davvero esistita, come Flora? Eppure esistono suoi libri, editi e di successo. E Romain.. Romain ha rinunciato alla scrittura ma ha ritrovato Theo.

Se 'la vita è un romanzo' è anche vero che i romanzieri "interrano sassolini e piantono semi per pianificare, a distanza di anni, capovolgimenti di situazioni che interessano la tua stessa vita, e che t'investono nel momento in cui meno te l'aspetti". Così Romain rivela il mistero di Flora, Carrie e della scrittura. Della straordinaria, necessaria volontà di uno scrittore di inventare storie, farne mescita con la realtà, innervare vite, lasciarsene vincere, riempire, sommergere.

Fare il pieno di sentimenti, gioie, dolori, amori, rinunce, tradimenti, sconfitte e riscatti e trovarli su una pagina scritta, impastati di inchiostro e lacrime.

La storia di Musso è talmente ben congeniata da risultare un giallo perfetto, con l'aggiunta di un'autenticità narrativa e un microcosmo di personaggi e piccoli svelamenti di tecniche di scrittura da ingolosire i lettori. È al tempo stesso un romanzo appassionato, di sentimenti, che dosa sorprese sino all'ultima pagina.

"È una mia risorsa, forse il mio unico talento, in ogni caso ciò che so fare meglio degli altri: captare nelle persone quello che esse stesse ignorano".