venerdì 22 maggio 2015

"La notte dell'innocenza" di Mario Desiati

“Il calcio è la raffigurazione plastica della nostra notte e dei conflitti che nasconde”.
Scendono in campo i giocatori della Juventus e del Liverpool.
Scendono in campo nonostante tutto, quel 29 maggio 1985.
Scendono in campo ma hanno nel cuore silenzio, dolore e rabbia.
Gli occhi spersi, pieni solo di quella massa di corpi ridotti a niente, maschere di sangue, lasciati lungo i margini della pista d’atletica che circonda il rettangolo verde.
Lo stadio dell’Heysel doveva accogliere gente festante per la finale della Coppa dei Campioni, uno dei suoi settori, il settore Z, si sbriciolerà sotto il peso dei tifosi juventini costretti alla fuga dalla carica degli hooligans inglesi. Lo stadio sarà la tomba dei sogni infranti di quanti speravano di condividere un momento di spensieratezza, di lasciarsi coinvolgere dal gioco più bello al mondo.
Incompetenza e inadeguatezza delle forze dell’ordine, degli organizzatori dell’evento e degli stessi soccorsi, ma anche il cieco sguardo degli uomini di potere del calcio imprigionati da obblighi, regole, contratti da rispettare firmeranno le responsabilità della tragedia.
Una tragedia umana.
Di questo si trattò, di tragedia umana.
Nomi di uomini, bambini; volti, vicende personali che meritano rispetto e un posto nella memoria collettiva del popolo italiano. Non elemento di discordia negli stadi, non ripicche, non oggetto di odio nei confronti di una tifoseria o l’altra. Brutalmente vittime innocenti dell’abisso del male in cui può sprofondare l’uomo, per liberare le proprie ansie, vendicare i torti subiti, scatenare la rabbia. Allo stadio gli hooligans andavano per questo, per invadere il territorio del nemico, vincerlo. Andavano in guerra. Sembrerà la stessa cosa la partita che infine si disputò la sera del 29 maggio 1985. Per pochi istanti, in alcuni momenti salienti dell’incontro, ognuno spinto da motivazioni diverse, quei ventidue uomini in campo giocarono come se non sapessero fare altro, come se non potessero fare che quello: giocare, guerreggiare, vincere o perdere.
Era il loro mestiere.
Furono criticati per questo. Attaccati. Ancora oggi da alcuni sono addirittura disprezzati.
Ma erano uomini. Ingranaggi, qualcuno dirà, di meccanismi regolati da altri. Era necessario giocare per consentire alla polizia belga di riorganizzare la sicurezza e permettere i soccorsi. Fu lo stesso per quel giro di campo chiesto ai campioni juventini, per liberare la curva dei tifosi inglesi ed evitare ulteriori scontri.
Ma erano uomini appunti, umani, più o meno fallibili.
Platini era inarrestabile, forse l’unico davvero presente a se stesso in campo. Una roccia. Determinato, arrogante quasi. Altri erano smarriti, ghiacciati da quello che avevano visto e non avrebbero dimenticato mai. Così Rossi, Cabrini, a tratti lo stesso Scirea, che avrebbe smesso di giocare di lì a due anni perché “aveva capito che il calcio è cambiato proprio in quel momento ed è un mondo a cui lui non appartiene”. Uno straordinario Tacconi, capace di parare anche la vergogna degli assassini.
E poi Boniek, che riassume l’essenza di quella giornata: “Corre come se in fondo vedesse la meta, una meta che non è il gol ma qualcosa di più, la libertà, la vita, il disegno ulteriore di un mondo che dà risposta a tutte quelle domande che in quell’istante risposta non hanno”.
Non ci sono risposte a quel 29 maggio 1985. Se non nei nostri cuori, nelle nostre coscienze.


Desiati racconta la strage dell’Heysel con una grazie del cuore che rispetta vivi e morti. Spiega le logiche del calcio anche a chi non ne sa nulla. E’ il suo, uno sguardo disincantato, fermo, attento ai fatti. Raccoglie le voci, ascolta i testimoni, legge il dramma negli occhi di chi visse quel giorno, e lo mescola al suo ricordo di bambino.
La notte dell’innocenza” è un piccolo libro che fa peso nel cuore.

lunedì 11 maggio 2015

"Numero zero" di Umberto Eco

L’ultimo romanzo di Umberto Eco è un puro esercizio di stile, un’esuberante e al tempo stesso rigorosa lezione su come si ‘fa’ un giornale, su come si creano, maneggiano, inventano notizie; un gioco in prosa sul rimestare ricordi con autentici fatti inanellando lezioni di retorica ad assenze di vita vissuta.
Il protagonista è uno scribacchino disilluso costretto a fare da ghostwriter per tirare a campare, coinvolto nel diabolico piano di un potente uomo d’affari deciso a far da editore per una nuova pubblicazione: ‘Domani’, non un quotidiano qualsiasi ma un mensile deciso ad approfondire la notizia, svincolando tra i paletti dei propri interessi personali, presentandola nella forma più accessibile al lettore, con un linguaggio semplice al limite del semplicistico ma efficace al punto da rivelarsi un’arma di ricatto verso politici ed affaristi.
Nella strampalata redazione di ‘Domani’, confidenti dei servizi segreti, complottasti e cospiratori, pedanti analisti, volenterose penne. In un tempo costellato dalle indagini di mani pulite e gli attentati di mafia ai giudici Falcone e Borsellino, un terreno fertile dove imbandire brogliacci fantasiosi sulla finta morte di Mussolini e il fallito golpe di Valerio Borghese, Gladio e le Brigate Rosse.
Disamina della nostra società e irriverente divertissement linguistico, ‘Numero zero’, è sferzante, ironico, brutale nella sconcertante capacità di leggere nella impietosa realtà l’abbruttimento di una lingua che si consuma nella riduzione ai minimi termini, assenza di vergogna nel far passare ogni orrore, errore materiale, di forma e non come naturale, necessario, l’indiretta denuncia della connivenza del popolo ridotto al silenzio e all’inebetimento nei peggiori misfatti.
Eco descrive una realtà in ci si è abituati al peggio e racconta di una verità che non riconosciamo nemmeno quando ce l’abbiamo davanti, salvo chiedersi se il lettore medio coglie l’ironico sbeffeggiamento o crede di trovarsi di fronte ad un romanzo e nulla più.