venerdì 24 gennaio 2014

"Il piantagrane" di Marco Presta

Giovanni è un vivaista. E' un uomo mite, rispettoso, timido.
Cura le sue piante con la stessa gentilezza con cui si approccia al prossimo. Ama da lontano Nina, una bella operatrice ecologica, e comprende con affetto le preoccupazioni di sua madre Emilia.
La sua sembra la vita di un uomo qualunque, forse persino in apparenza di un pavido, eppure inaspettatamente un mattino come tanti qualcosa irrompe nella sua quiete quotidianità per trascinarlo in un'avventura pericolosa e senza senso.
Una macchia umana accartocciata su se stessa, detto il Granchio, un figuro che grugna parole in un linguaggio tutto suo, lo trascina via dalle sue piante per metterlo al sicuro e spiegargli che deve imparare a controllare il suo potere, sì perché Giovanni non si è mai reso conto di un evento strano che si innesca in sua presenza: "ovunque fosse passato, s'era registrato un cambiamento, magari minuscolo ma essenziale, nella coscienza di un privato cittadino come nei meccanismi perversi di un'Istituzione".
Ovvero la gente semplicemente tornava a comportarsi civilmente, con giustizia, sensibilità, rispetto, faceva del bene, era altruista.
Giovanni, costretto a essere suo malgrado motore di un cambiamento, in fuga perenne, finisce per essere schiacciato dalle forze dell'ordine, i servizi segreti e e i potenti che speravano di servirsene prima, costretti a contenerlo poi, con ogni mezzo.
In un viaggio di crescita emotiva e brutale stordimento in una realtà sociale che soffoca qualsiasi cenno di dissenso, e fagocita chi forza l'omologazione, Giovanni finirà per essere un rivoluzionario a suo modo: "essere sempre originali e coraggiosi, senza pretendere di cambiare la realtà che ci circonda con una scelta ideologica, ma facendolo in concreto, con la qualità del proprio lavoro e la novità delle proprie idee".
Perché in fondo, Giovanni come tanti sperimenta che "le vere rivoluzioni sono spontanee e inevitabili, in poche parole, inconsapevoli e accidentali".

Una spietata allegoria dei tempi moderni, un'ironia graffiante che a tratti svia il lettore preso a capire il delirante viaggio di Giovanni e del suo mentore/angelo custode Granchio, chiare accuse al sistema, velate prese in giro a famosi personaggi pubblici e l'auspicio che una nuova coscienza si faccia strada nel cuore della gente, che ognuno sia un rivoluzionario a suo modo. 

mercoledì 22 gennaio 2014

"Mani calde" di Giovanna Zucca

E' una sera di fine estate.
Davide e sua madre Giulia sono in auto, insieme. Anche se a Davide non va, devono acquistare il materiale di cancelleria per la scuola che riaprirà di lì a pochi giorni.
E' un momento. Un auto li investe in pieno.
Dall'impatto tragico Davide arriverà in ospedale in fin di vita. Sua madre, Giulia, sotto shock, si dirà responsabile: di aver insistito per compere che potevano essere rimandate, per essere sopravvissuta, per non aver pensato come era giusto fare a suo figlio, per non averlo protetto. E mentre Giulia piange disperata tra le braccia del marito Paolo, qualcuno si avvicina al corpo di Davide, che tutti credono perduto. E' un uomo orribile secondo il personale medico. Antipatico, incapace di relazionarsi con chi hai intorno, discutibile a livello personale eppure.. straordinariamente capace.
Pier Luigi Bozzi, neurochirurgo, si lascia conquistare dalla presenza di Davide, da quel corpicino devastato dall'incidente che reclama vita, che traspira gioia e che in un modo tutto suo riesce a farsi sentire da chi è lì per aiutarlo.
E operazione dopo operazione, giorno dopo giorno, mentre i genitori di Davide rabberciano il cuore ferito e si perdonano mille disattenzioni, scoprendo forze insospettabili in se stessi e nella famiglia, il terribile medico Bozzi si trasforma in persona, mette a nudo la sua anima tormentata e avvinto dalla semplicità del suo piccolo paziente impara a percepirsi come essere umano.
"Non è straordinario che attraverso un bambino questo dottore fa pace con se stesso? Grazie al bambino lui prende per mano quell'altro bambino, quello della casa del lago, sempre solo e taciturno, lo prende per mano e lo porta con sé, attraverso quello che è diventato. E soprattutto fa pace con senso di estraneità ed amore".
Perché per quanto terribile possa essere l'immagine di un bambino malato e di un medico che lo cura, Davide e Pier Luigi si sono trovati, hanno avuto fiducia l'uno nell'altro, si sono voluti bene sinceramente, inaspettatamente e come un miracolo si sono aiutati rivelando al mondo la bellezza di due bambini che si incontrano e si tengono per mano.
Davide tornerà alla sua famiglia, ai suoi giochi, alla sua vita ma non dimenticherà i giorni in coma, i giorni di forzato silenzio e quel suo strano modo di farsi intendere dagli infermieri e dai medici che si prendevano cura di lui, su tutti non dimenticherà Bozzi, l'odiato cafone come lo chiamavano tutti, quello che però aveva le mani calde e il cuore deciso a saperlo ascoltare, un cuore che avrebbe ritrovato la forza di amare, amare se stesso, quella figlia lontana e creduta perduta, quella strana donna apparsa nella sua vita e perché no, i suoi colleghi di lavoro perennemente bistrattati.
No, Davide non avrebbe potuto dimenticare Bozzi, non il suo eroe.

Un romanzo lieve come una carezza, vibrante come una scossa. 
"Ma l'amore è altro. E' la certezza che puoi contare sulla persona che hai accanto".
La fragilità della vita, l'insondabile fiducia nel prossimo, la straordinaria umanità delle professioni mediche, la struggente storia di un bambino che in fondo è parte di ognuno di noi.

domenica 19 gennaio 2014

"Sogni di marzapane" di Danila Bonito

"Le parole mi aiutano a mettere a fuoco i sentimenti, mi costringono a dire la verità, a dare un nome alle emozioni. A tirare fuori quello che nessuno avrebbe voluto sentirmi dire".
Una donna si racconta. Meglio, si racconta in relazione a qualcosa di cui non ha mai parlato. E non perché non fosse importante. Semplicemente non era la parte che di sé poteva definirla agli occhi della gente per quello che sentiva di essere: la malattia, il diabete.
Una parola che avrebbe portato negli occhi della gente la stessa domanda: puoi fare una vita normale?
"Le parole sono convenzioni, chi stabilisce cosa sia normale?"
E allora sin da ragazzina si prende per mano la malattia e si impara a farsela compagna. Ma è lì, e in fondo "è la malattia della paura, di una paura che non assomiglia affatto a quella della morte. E' sospesa, quotidiana, camuffata, a tratti ha le sembianze di un pozzo nero". E nel pozzo nero si cade più volte ma si trova altresì la forza di tirarsene fuori, sempre, perché alla malattia, alla paura si reagisce. Prima si impara a riconoscerla, poi a non farsene sopraffare, poi a vincerla.
E si attraversano stagioni, si alimentano sogni, si concretizzano desideri. Si ama, si soffre, si sperimenta, si viaggia, si scelgono compagni di vita, ci si accompagna ad amici speciali, ci si realizza professionalmente, si spera con tenacia nella cura, in una cura che liberi milioni di vite dalla malattia e ci si affanna per accettare che forse non accadrà mai, che forse la liberazione comincia dentro di noi nel momento in cui si comprende che "i limiti non sono quelli che la vita ci pone ma quelli che poniamo a noi stessi".

Un diario intimo, "Sogni di marzapane". Il racconto nudo di una vita vissuta a pieno, a dispetto della malattia. Ricordi, poesie, aneddoti, stralci di viaggi, incontri, curiosità che ci parlano di Danila Bonito e della sua scelta, coraggiosa, di esporsi per aiutare quanti vivono la sofferenza di una malattia che ipoteca il futuro e fa dire "io nel mondo ci stavo in punta di piedi".
Una scrittura diretta, una narrazione profondamente vera. Riscrivendo una frase del libro verrebbe voglia di ringraziare l'autrice e dirle: 'ho letto senza neanche rendermene conto perché sentivo di avere davanti una persona che si fidava di me'. Ecco il lettore accetta la confidenza dell'autrice e ne fa tesoro.

"Le lacrime degli eroi" di Matteo Nucci

"Erano singhiozzi che tutta Atene avrebbe potuto sentire. Perché Pericle per la prima volta pianse. Pianse con tutta l'energia che aveva in corpo, tutte le lacrime che non aveva pianto per anni e anni di battaglie politiche e personali, vittorie, sconfitte, delusioni, amari trionfi. Pianse a lungo. E quando smise di piangere, attorno a lui erano rimasti solo i più fedeli".
Siamo persuasi che le lacrime siano segno di debolezza, fragilità, insicurezza, soprattutto in un uomo. Ma non è sempre stato così.
In un tempo lontano, nella Grecia antica raccontata dagli aedi e nei testi che oggi ascriviamo ad Omero gli uomini avevano la forza di piangere senza rendersi ridicoli, perché "solo chi piangeva a cuore aperto, senza timori, in singhiozzi violenti o lamenti disperati, ma comunque a viso aperto, solo chi era davvero capace di piangere sarebbe stato l'esempio del vero coraggio".
Matteo Nucci, rilegge le pagine dell'Iliade e dell'Odissea e racconta le lacrime degli eroi, guardando altresì ai miti antichi. In un viaggio che dalla carta si fa viaggio di vita, esplorazione, esperienza l'autore affonda nella storia, attraversa i campi di battaglia come le stanze private, esplora l'animo umano sondando sentimenti di inquietudine, rabbia, tormento, bisogni nuovi di rabberciare un cuore ferito dalle privazioni, dalle perdite, dai lutti, dalle attese infinitamente rimandate, le speranze sopite sotto cenere di nostalgie perdute.
E' bellissimo il racconto, lacrime dopo lacrime, di Odisseo che torna nella sua terra e rivendica i suoi affetti, il suo ruolo. E' violento il piangere di Achille al cospetto della vendetta per gli amici morti. Eppure in ogni caso il loro è un pianto necessario, costruttivo, che fonda la memoria, forma l'uomo, fortifica l'animo, lo rende solido al cospetto del nemico, qualunque volto abbia, qualunque forma prenda.
E' straordinaria la scrittura di Nucci, evocativa, immersa nell'analisi dei testi antichi come della vita vissuta, è pregna di curiosità, di voglia di rispondere a domande che ci pone da sempre, è appassionata, struggente, bellissima, perché belle sono le parole, le spiegazioni dell'agire umano.
"Comprendiamo l'importanza del Tutto quando non abbiamo più nulla, quando abbiamo perso ogni cosa, ogni affetto individuale, nella morte. E di questa comprensione possiamo avere consapevolezza nel pianto. Quando non abbiamo più nulla fuori di noi abbiamo ancora qualcosa in noi: la nostra vita che scorre nelle lacrime".
Un romanzo, un saggio, un racconto intimo, un viaggio dolcissimo alla scoperta della nostra fragile forza umana. Un libro da portare nelle scuole, un dono per le future generazioni di uomini.

mercoledì 15 gennaio 2014

"Elogio dell'amore" di Alain Badiou

"L'amore non consiste semplicemente nell'incontro e nelle relazioni chiuse fra due individui, ma è una costruzione, una vita vissuta non più dal punto di vista dell'uno, ma dal punto di vista del due".
Una conversazione tra due amici filosofi, un interrogarsi su cosa sia l'amore ed ecco in una manciata di pagine una disanima aperta e sincera sul sentimento che domina il mondo.
Sfiorando tesi antiche e moderne, citando letterati e filosofi, confrontandosi con la religione e l'egoismo rampante del quotidiano che tutto riduce a forma, Alian Badiou espone la sua tesi sull'amore elogiandolo a suo modo: "sono convinto che l'amore sia esattamente questo, un progetto che include naturalmente il desiderio sessuale e le sue prove, che include la nascita di un bambino, ma egualmente mille altre cose, in realtà qualunque cosa, a condizione che viva una prova dal punto di vista della differenza".
"L'amore è costruzione di verità" scrive l'autore.
Eppure a dispetto delle buone intenzioni, delle parole semplici, del tono partecipato la conversazione di Badiou resta per certi versi in superficie; spiegare l'amore non si può, l'amore non si può dire, farlo lo priva della sua essenza, in fondo l'amore non è riducibile. Se mai sono interessanti le intuizioni che lascia al lettore: "l'amore rimane una potenza, una potenza soggettiva, una delle rare esperienze in cui, a partire da un caso iscritto nell'istante, si tenta una proposizione di eternità".

domenica 12 gennaio 2014

"La creatura del desiderio" di Andrea Camilleri

"Alma gli era entrata nel sangue, come un veleno sottile o meglio come una potente droga".
Non sapeva spiegare altrimenti Oskar Kokoschka il suo amore, di più la sua ossessione per Alma Mahler, giovane vedova trentenne del famoso musicista. 
Tra le donne più belle ed affascinanti della Vienna degli anni '10, Alma irretì l'inquieto artista, incuriosita com'era dalle personalità estreme, potenziali artisti di rottura. Per altri fu un incontro a spingere lui a volere con ogni spasimo Alma, al punto da desiderare il matrimonio, dei figli e saperla lontana dai tanti fascinosi amici che frequentavano il suo salotto.
Geloso, possessivo, inquieto Oskar ne fece la sua musa, la sua amante, la sua sua eroina ma restò schiacciato dal peso di un amore che era troppo. Semplicemente troppo. Ne è una prova La sposa del vento. Il loro amore consumato dal malessere, dal desiderio impetuoso, dal parossismo di un controllo che non ammette cedimenti, bugie, semplici spazi vitali è imprigionato in quel quadro, che è il loro tutto, il loro niente. Di lì a poco Alma abortirà il figlio che aspettava da Oskar e lo lascerà, cancellando se possibile le prove dello stordimento del loro amore. Lui invece partirà volontario nel primo conflitto mondiale, sperando in una morte eroica. Non verrà, ci saranno se mai patimenti fisici e mentali e su tutto, reduce, il ricordo di lei, così devastante da spingerlo a volerla accanto ad ogni costo, anche solo come un simulacro, la proiezione di quello che lei era, un corpo finto, una bambola in tutto e per tutto a lei simile con cui instaurare una relazione insana ma necessaria. Pochi mesi di assurda follia, di sfibrante finzione. "Egli pretende che nell'ardente crogiolo della loro passione avvenga una sorta di rinascita, di rigenerazione". E' follia. Pura follia. Portare Alma al teatro, in giro in carrozza, ricevere ospiti al suo fianco fino alla farsa di una festa finita tra ubriachi gracchianti e coppiette disinibite e lei, quel che di Alma il mondo guardava, discinta tra le braccia di altri. Il dramma della gelosia torna d affacciarsi nella mente di Oskar, e con lei l'assurda percezione che la finzione somiglia troppo alla realtà e come tale fa male, perché Alma è l'espressione del desiderio che si legge negli occhi degli altri, è quello che lui non può avere e che deve essere negato agli altri, il dolore della perdita è così forte da spingerlo ad un assassinio. Il corpo rinvenuto da alcune guardie nel giardino della sua casa allarma tutti salvo rivelarsi un terribile scherzo. "E' solo una bambola"
Solo una bambola. Quel che apre alla redenzione, alla rinascita di un uomo un tempo innamorato.

Narrazione breve, intensa. Prosa asciutta, sguardo attento, ricostruzione verosimile. Semplicemente perfetto. Un pugno di pagine che rivela al mondo di un amore malato, di un quadro e di un fantoccio che rubò l'anima a un cuore innamorato.

sabato 11 gennaio 2014

"In città zero gradi" di Daniel Glattauer

"C'era di nuovo una persona per cui valeva la pena preparare una torta di pere a mezzanotte".
Max ha trentaquattro anni, scribacchia per piccoli giornali, ha una repulsione per i baci e un cane, Kurt, in perenne catalessi.
Katrin cura gli occhi della gente, ha due genitori apprensivi, un ex fidanzato petulante e amiche lagnose.
Entrambi, non sopportano il Natale. Max per l'atmosfera di felicità forzata che vi si respira, Katrin per la famiglia opprimente che vorrebbe festeggiare il suo trentesimo compleanno con la notizia del suo imminente matrimonio.
A farli conoscere Kurt. Max cerca qualcuno che possa occuparsi del cane in sua assenza, Katrin sembra disposta a farlo.
Introversi, disarmati nel loro approcciarsi al mondo senza i filtri delle convenienze sociali da rispettare, autosufficienti nel loro guscio di protezione che basta a saperli normali tra anormali, eppure inconsapevolmente in cerca di qualcosa, qualcuno capace di sciogliere la diffidenza del cuore per spingerli ad amare.
Ironici, semplici, poetici, imbranati Katrin e Max sapranno riconoscersi, aspettarsi, comprendere e aiutarsi nel superare paure e fobie. Un prendersi cura reciproco che coinvolge il buon cane Kurt... tutt'altro che addormentato.

"Ci sono storie che offrono l'opportunità di guardarsi negli occhi, di fare un cenno col capo, di sorridere ad oltranza, anche se non sono spassose. Quando sei innamorato, non racconti storie spassose, racconti a te stesso e all'altro la possibilità di vivere l'innamoramento senza l'obbligo di restare in silenzio. Ci sono storie che offrono la possibilità di spiare le mani intrecciate alle tue".
Ecco, Glattauer ha scritto una storia così, piccola, semplice, diretta al cuore del lettore.

martedì 7 gennaio 2014

"Un amore più forte di me" di Maria Duenas

"Per la prima volta nella vita capii quanto siano fragili in realtà le cose che crediamo permanenti, capii la facilità con cui si spezza ciò è stabile, e che certe realtà possono volar via per una ventata d'aria che entra dalla finestra".
Blanca è sola. La separazione dal marito l'ha privata della fiducia, della linearità prestabilita costruita negli anni, dell'ingenuità. Deve reinventarsi, ricominciare, imparare di nuovo a respirare.
L'occasione di un lavoro in una università californiana le regala l'opportunità di porre una giusta distanza da Madrid, dal caos che è diventata la sua vita privata. Tre mesi per mettere ordine nelle carte di Andres Fontana, letterato di origini spagnole morto da più di trent'anni. Tre mesi per rimettere in piedi la sua vita. Si è imposta di non farsi coinvolgere da nulla, nessuno e invece scartabellando in archivio Blanca cede al fascino della vita di Fontana, dei suoi studi e delle sue ultime ricerche sulle missioni cattoliche dei francescani in California fino a confrontarsi inaspettatamente con il più apprezzato e conosciuto dei suoi allievi, Daniel Carter, ricomparso dopo anni di silenzio. 
Leggere tra i mille documenti, appunti, diari di Fontana serve a Blanca per ricavare una storia dalla storia ufficiale, che racconta dell'ostinazione di un povero ragazzino a studiare, di un amore dolcissimo tra due giovani, di una piazza, un bosco, un angolo di città da salvare dalla cementificazione. 
E di più, mette a nudo l'intensa determinazione di una donna a sopravvivere al dolore senza quasi accorgersene, a dare forma a quel tuo per sempre inatteso, a quell'amore più forte di se stessa da spingerla ad agire "poi lo chiamai e gli dissi vieni adesso".

La bellezza del romanzo della Duenas sta tutta nella semplicità, nell'autenticità, nella forza di una storia che è credibile perché affonda nel racconto di vite vissute a pieno, raccontando di sentimenti quali passione, amore, rabbia, speranza, vendetta, sacrificio, invidia, solidarietà, compassione. Un incastro perfetto di vite che si fondono o semplicemente si sfiorano per dare un senso alle scelte comuni, quotidiane, alcune approssimative altre decisive, ma tutte ineludibili, necessarie. Un romanzo che apre alla rinascita ed invita a ringraziare per quello che abbiamo.

domenica 5 gennaio 2014

"L'ombra del silenzio" di Kate Morton

"Ti rendi conto, vero, che potresti scoprire qualcosa di terribile? Qualcosa che trasformerà in una menzogna tutto quello che credevamo di sapere di lei?"
Laurel lo sa, ma deve conoscere la verità che cela sua madre da sempre. Deve dare un senso alle parole confuse sussurrate dall'anziana donna malata. Un momento che ha risvegliato in Laurel il ricordo di un pomeriggio d'estate di quarant'anni prima, lei persa nei suoi sogni sulla casetta sull'albero che guarda la madre sulla soglia di casa proteggere il figlio più piccolo e reagire con efferatezza alla visita di uno sconosciuto, un aggressore. Un crimine cancellato, nascosto alle sorelle, a quello stesso piccolo testimone per tornare prepotente anni dopo a reclamare attenzione. Chi era la vittima? Cosa voleva dalla giovane madre di cinque figli Dorothy Nicolson?
"Non bisogna mai escludere la possibilità di trovare una risposta che nessuno aveva previsto".
E prepotente, necessaria la verità si affaccia in casa Nicolson e rievoca la storia di un'amore e di un'amicizia impossibili nella Londra del 1941, tormentata dalla guerra e dai bombardamenti. Racconta di un'orfana abituata a ritagliarsi la felicità nel suo mondo fatato di luci, diventata donna e vittima suo malgrado di un legame violento negato a se stessa e al mondo per pudore e per espiare un senso di colpa radicato da spietati pregiudizi; di una ragazza vivace e testarda decisa a sfuggire dalla vita semplice di provincia per vivere l'avventura della città e del bel mondo, e dell'uomo che amò entrambe rinunciando a loro per salvarle.
"Credevo non pensasse mai al futuro"
"Non penso mai al mio futuro"
Le inspiegabili pieghe della storia creano opportunità che è impossibile fuggire, uniche vie di fuga per la serenità, la pace e forse la felicità.
E quando il tuo incubo peggiore bussa alla porta non c'è che difendersi. Cacciare il diavolo fuori dalla tua mente per sopravvivere e proteggere quello che hai di più caro: le persone che ami.

Un libro di grande intensità emotiva, una narrazione spiazzante ad incastri temporali e logici studiata nel dettaglio, una toccante storia d'amore, un personaggio femminile -quello di Vivien- di una struggente e poetica bellezza, la descrizione realistica della Londra degli anni '40, la sensazione appagante di leggere una storia che tiene col fiato sospeso fino all'ultima pagina. Uno di quei libri che ti lasciano addosso una piacevolezza indescrivibile, che si ha voglia di condividere e di consigliare.

giovedì 2 gennaio 2014

"Livelli di vita" di Julian Barnes

"Ogni storia d'amore è potenzialmente anche storia di sofferenza. Se non subito, in un secondo tempo. Se non per l'uno, per l'altro. Per tutti e due, qualche volta. Ma allora perché non facciamo che ambire all'amore? Perché l'amore è il punto di incontro fra verità e prodigio. Verità, come nella fotografia; prodigio, come nel volo aerostatico".
Fotografia e volo aerostatico. Ovvero.. Felix Tournachon, alias Nadar celebre fotografo e Fred Burnaby, militare inglese, viaggiatore e aeronauta. Di mezzo la divina Sarah Bernhardt, per molti la più grande attrice di tutti i tempi, indisciplinata, eccentrica, indipendente. Fotografata da Nadar, amata da Burnaby. Vero e verosimile. Il volo aerostatico come l'amore. Ci vuole coraggio a lasciarsi andare, certi che forse spireranno venti contrari o che si perderà la rotta quanto che se l'impresa riuscirà sarà straordinariamente felice, unica, entusiasmante.
Burnaby e Bernhardt, ordine e disordine, dovere e potere, rettitudine e irriverenza ma "metti insieme due persone che insieme non sono mai state: a volte il mondo cambia e a volte no. Può darsi che si schiantino e prendano fuoco, o che prendano fuoco e che si schiantino. Ma a volte invece ne nasce qualcosa di nuovo, e allora il mondo cambia".
E se Burnaby e Bernhardt non si sono amati e forse non si sono nemmeno conosciuti se non tra le pagine di un libro o nei sogni di viaggiatori del cielo, Julian e Pat sì. Julian Barnes mette insieme le storie di Nadar, Fred e Sarah per ricordare Pat, sua moglie, sua compagna di vita per trent'anni.
Lei "il cuore della mia vita, la vita del mio cuore".
Lei che improvvisamente viene a mancare. Una manciata di giorni dalla scoperta della malattia alla morte. Tempo insufficiente per abituarsi alla perdita. Ma non c'è mai tempo sufficiente per abituarsi all'amore strappato, alla felicità rubata, al vuoto che attanaglia. Non bastano le parole degli amici, la certezza che arriverà il giorno in cui il cuore tornerà ad essere abitato dal ricordo di lei che vale più della sofferenza della mancanza. Non si smette di soffrire, di piangere, di sentirsi tristi, semplicemente un giorno il dolore come è venuto se ne va. Lascia posto ad altro. Ma Pat è lì, perché come scrive Julian "mi manca in ogni attività e in ogni inattività". 
E pensi ancora al volo aerostatico, a quei folli del tempo, ai precursori dei viaggi in cielo, a sognatori che non si limitarono a desiderare ma a sperimentare, proprio come gli innamorati, folli appunto. E rifletti che forse esistono anche "diversi livelli di solitudine: quella di chi non ha trovato qualcuno da amare, e quella di chi è stata privata della persona amata" e non sai dirti cosa è peggio o meglio lo sai. Ma in fondo la solitudine, come la paura dell'abbandono che non si supera, e il dolore, sono compagni di viaggio che stranamente ti ricordano di esistere. Come venti avversi che ti tengono sospeso in cielo, rapito da scelte che non sono tue. Poi capita che il dolore si attenui, si faccia silente e ti permetta di ricominciare a fare le cose di sempre senza pena, colpa, rimprovero come quando il cielo si rasserena e venti favorevoli sospingano la navicella oltre il punto critico.
Ma "non siamo stati noi a far entrare in scena le nuvole, come non abbiamo il potere di diradarle. Il caso ha semplicemente voluto che da un qualche punto si sia levata una brezza inattesa che ci ha messi di nuovo in moto".
Julian è di nuovo in moto. Come Fred Burnaby prima di lui.

Una straordinaria metafora dell'amore, una struggente e necessaria elaborazione del lutto esplicitata per il tramite della narrazione, una manciata di pagine di intensa partecipazione emotiva, un discorso amoroso mai interrotto che vive nel sempre di un tempo senza fine.