lunedì 26 gennaio 2015

"Il tredicesimo dono" di Joanne Huist Smith

Uno dei doni più grandi che tutti possediamo è la capacità di donare. Non serve essere facoltosi. La compassione e un cuore buono sono tutto ciò che serve”.
Joanne ha perso l’amato marito Rick a poche settimane dal natale. Scrive in un giornale e ha tre figli: Ben, Nick e Megan. Finge di aver ripreso in mano la sua vita, ma non è così.
La casa avrebbe bisogno di essere rassettata, e i suoi figli hanno dimenticato il calore di un tempo trascorso insieme. Ognuno pare faccia di testa sua, rinchiudendosi in silenzi, ostracismi, ribellione, solo la piccola Meg sembra credere alla forza della sua mamma di rimettere insieme la famiglia, sostenendola con inarrestabile fiducia fino a quando a pochi giorni dal Natale rifacendo il verso ad una vecchio canto delle feste un dono compare sull'uscio della porta di casa.
Una piantina colorata.
Ne seguiranno altri, un giorno dopo l’altro.
Nastri colorati, carta da regalo, mele dorate, dolci.
Prima infastidita poi incuriosita infine spronata a reagire per restituire un sorriso ai suoi figli, Joanne riprende in mano la sua vita: “non si studia per affrontare il dolore; arriva e basta, quindi bisogna trovare dentro di sé il modo di superarlo”.
Faranno il resto alcuni incontri inaspettati, rivelatori di tutto l’amore di cui si è circondati, e che non si è più in grado di riconoscere; ignari e straordinari esempi di quanto difficile e necessario sia “andare avanti, perdonare gli errori e custodire i ricordi anche se dolorosi”.
Il tredicesimo dono Joanne lo custodirà gelosamente nel cuore. E’ “capire che gioia e dolore possono coesistere senza sensi di colpa”. E’ ricevere e condividere, è dare per la gioia di poter essere d’aiuto a qualcuno.
A distanza di anni Joanne riuscirà a dare un volto ai veri amici che in quel natale di lutto hanno riacceso in lei e nei suoi figli la speranza ma non aggiungerà molto alla straordinaria esperienza vissuta, solo sapere che c’è sempre un tempo per sorprendersi, un tempo per tornare a vivere a dispetto del dolore più grande, un tempo per aprire il cuore alla gioia, alla sorpresa più grande: amare ed essere riamati.

Una scrittura semplice che fatica nelle prime pagine a catturare l’attenzione del lettore, rivela con pazienza la storia di Joanne Huist Smith e della sua famiglia. Di più l’autrice ci invita a credere che se lo vogliamo ‘ogni giorno è natale’. Al netto di buonismi e smancerie, il messaggio è disarmante e potente al tempo stesso. Dare conforto a chi ha bisogno scalda il cuore e rinsalda la speranza, e la fiducia a trovare in se stessi il coraggio per ricominciare.

Il tredicesimo dono’ è uno di quei libri che si leggono d’un fiato. Una scrittura gentile che fa lieve il cuore e abbraccia il lettore.

sabato 24 gennaio 2015

"Avrò cura di te" di Massimo Gramellini e Chiara Gamberale

“Avrò cura di te”.
Così Filemone a Giò.
Poche parole, chiare, forti, ineludibili necessarie a dare coraggio ad una donna abbandonata dal marito. Una giovane donna insicura che ha tradito senza sapere nemmeno perché o forse sì, per insoddisfazione, indolenza, o semplicemente per una storia personale irrisolta.
Ma Filemene non è un amico come tanti, è un angelo custode.
Tanto improbabile credere che sia vero quanto bello, romantico, struggente perché è Giò a volerlo, a confidare che le sue parole di aiuto siano state ascoltate da qualcuno che è lì per lei, per supportarla. Era stato così anche per sua nonna, la magia può dunque ripetersi.
Ma.. non sarà semplice guardarsi indietro, definire le proprie paure. Né superare il dolore dell’addio, quel fastidioso senso di colpa per una storia finita per un suo errore. Soprattutto Giò dovrà trovare la forza per mettere in moto il cambiamento necessario a perdonarsi, perdonare: “Chi resta fermo ad aspettare che la vita gli restituisca ciò che gli ha tolto otterrà soltanto rancori mescolati a rimpianti”. Solo quando acquisterà fiducia in se stessa, passo dopo passo, supportata dalle parole lievi e sagge di Filemone facendo suo l’invito a lasciarsi andare perché: “Tu esisti davvero soltanto quando non pensi. Perché è quando smetti di pensare con la testa che cominci a sentire con il cuore” Giò ritroverà la sua identità e ricomincerà a vivere, a dare un senso alla parola amore… pur sapendo che “l’amore perfetto non esiste: quello reale è la somma di tante imperfezioni”.

La coppia Gramellini-Gamberale sforna un libriccino di frasi fatte - “Solo chi si vuole bene è capace di volerne anche al prossimo”-  e buoni sentimenti. Una sorta di tutor per emendare cuori infranti dalle sofferenze spicce di un tempo e una società che non perdona manchevolezze e cadute. Narrativa consolatoria. Stilisticamente un compitino ben fatto, ma la storia non scalda davvero il cuore.


domenica 18 gennaio 2015

"La parola contraria" di Erri De Luca

Uno scrittore ha in sorte una piccola voce pubblica. Può usarla per fare qualcosa di più della promozione delle sue opere. Suo ambito è la parola, allora gli spetta il compito di proteggere il diritto di tutti a esprimere la propria”.
Istigazione alla violenza. Di questo è accusato Erri De Luca. Per via di alcune parole pronunciate nel corso di un’intervista telefonica poi pubblicata sul sito Huffington Post. ‘La Tav va sabotata’. Poco conta tutto il resto.
In poche pagine appassionate, con parole scarne ed essenziali, di una verità che appare quasi banale per quanto semplice e incontrovertibile, Erri De Luca, spiega il significato delle parole al centro dell’accusa contro di lui, rivendica l’importanza del ruolo dello scrittore, portavoce di chi è senza ascolto, ispira l’auspicio di un tempo e una società che riconosca il valore assoluto dell’art. 21 della Costituzione della Repubblica Italiana.
“La parola contraria è un dovere prima di essere un diritto”. Rivendica partecipazione De Luca, e che le parole ispirino ragionamenti e azioni.
Ripercorre la surreale vicenda giudiziaria di cui è improbabile protagonista De Luca, e va oltre: a prescindere dalla sentenza del 28 gennaio 2015: “Se la mia opinione è un reato, continuerò a commetterlo”.
E noi con lui.
http://iostoconerri.net/

giovedì 15 gennaio 2015

"Ieri, oggi, domani. La mia vita" di Sophia Loren

La favola senza la vita perde tutta la sua magia, e viceversa. Il bello è camminare nel mezzo, senza mai rinunciare né all’una né all’altra”.
Lo sa bene Sofia Scicolone, in arte Sophia Loren.
La sua vita, il suo ‘ieri, oggi, domani’, è un racconto sincero e articolato che testimonia come la vita possa essere straordinaria, un miracolo inatteso di possibilità, un coraggioso viaggio verso la felicità.
Da un piccolo paese di provincia, dalla miseria della guerra, da un corpo gracile alla capitale, agli anni della rinascita, all’esplosione di una fisicità e di una bellezza a suo modo unica.
Da Sofia a Sophia… il passo non è breve.
Ci vorrà determinazione, sacrificio, studio e un pizzico di fortuna a spianare la strada della ragazzina di Pozzuoli verso Hollywood. Ma quella ragazzina non perderà mai di vista le sue origini, i sacrifici della sua famiglia, non smetterà mai i panni della bambina cresciuta senza padre, né si lascerà vincere dalle mille tentazioni del successo, deciderà di affidarsi solo a se stessa, alla sua forza, alla sua onestà per realizzare i suoi sogni: dalle copertine dei fotoromanzi alle prime esperienze da comparsa, dal cinema sul Tevere alle produzioni internazionali, da attrice emergente a star internazionale, fino all’ambita statuetta come migliore attrice.
Niente accade se non si ha il coraggio di sognare” e Sophia l’ha sempre fatto, ha sognato per conto suo e per conto di sua madre Romilda, che rinunciò ai progetti di attrice per metterla al mondo e prendersi cura di lei, da sola, in un tempo in cui essere ragazze madri era più che una vergogna. Ha sognato per aiutare economicamente la sua famiglia, ha sognato per riscattare la sua infanzia di capi chini e corpi additati, ha sognato per cancellare persino il ricordo della fame, ha sognato per meritare l’affetto di un padre assente, ha sognato per avere una famiglia, dei figli che l’avvolgessero di quello stesso calore che mai le aveva fatto mancare la madre, la sorella Maria, gli amatissimi nonni materni, ha sognato per il suo paese che come lei andava rialzandosi dopo un’amara caduta. Ha avuto coraggio Sophia, non ha mai smesso di credere e vivere il suo sogno, lo sta facendo anche ora che viene ripagata dal regalo più bello della vita: i suoi nipotini.

Leggere i ricordi di Sophia significa attraversare gran parte del novecento, confrontarsi con i miti del cinema e della cultura internazionale, come pure partecipare ai suoi affetti più intimi, gioie e dolori che la rendono più vicina alla gente, meno patinata. Non più immagine da copertina ma corpo e anima, e che anima. La donna che volle esser mille volti e mille voci recitando per vincere le sue paure, che sgranò gli occhi grandi e riempì il suo sorriso di vitalità per conquistare il mondo e portarlo con sé, si racconta con la semplicità e la saggezza di una di famiglia, incantando.

venerdì 9 gennaio 2015

"Il mercante di luce" di Roberto Vecchioni

"Vivere è una maledetta indecente illusione".. lo sa bene il diciassettenne Marco, affetto da una rara malattia, la progenie, che non lascia speranza alcuna. Eppure Marco sa anche che "non importa quanto si vive ma con quanta luce dentro, senza rimpiangere e senza piangere". Ma quanto è difficile, di più quanto lo sarebbe se non ci fosse suo padre Stefano, un eroe tragico a suo modo, a regalargli il sorriso, la forza e trasmettergli la passione per quella che da sempre sembra essere la usa unica ragione di vita, la letteratura greca, difesa e oltraggio in una vita contrassegnata dalla diversità, da qualcosa che insegni a sopravvivere, a contrastare la mediocrità, l'omologazione, il brutto esaltando la bellezza, i valori che appartengono ad un tempo lontano, sospeso tra mito e realtà in cui tutto sembra possibile, in cui tutto ha senso, in cui le emozioni, i sentimenti sono vivi, necessari, inebrianti; un tempo in cui gli uomini attribuivano un senso al 'fare' e in cui mortali e immortali si scambiavano 'fiato' di forza.
Stefano ha solo la poesia, i suoi eroi tragici per strappare la paura dal cuore del figlio morente, ha solo la parola per salvarlo, emendarsi dal peccato da cui sarà dannato per sempre: sopravvivergli. "Ti voglio passare non quel che vedi o credi di vedere, non quel che ami o credi di amare, ma la bellezza di vedere, di amare: non avrò modo, e lo sappiamo, di dirtelo esempio dopo esempio nella tua vita; non ci è concesso, non è possibile. Devo farlo subito, ammassando tutti i languori e i deliri di anni e anni in un attimo che li concentri e te li renda vivi, come vissuti. Noi Marco stiamo tentando di cantare un poema in una strofa, Una lirica in unverso".
Lo struggente, delirante, impossibile racconto di un padre al figlio che apre il cuore, trasmette con la passione per la letteratura greca, l'interezza dei sentimenti, passionali e violenti, così vivi da bastare ad un recluso alla vita, così necassari da rifulgere di una sfrontatezza che irride la morte.
Un viaggio a due quello di Marco e Stefano che salva entrambi... "non ho più paura".
 
Vecchioni tratteggia un personaggio sfrontato e disaffettivo, Stefano, chiuso in un modo tutto suo, affascinante quanto irrisolto, incongruo, incapace di trasmettere a chi gli è vicino quell'amore di cui legge da sempre e che racconta ai suoi allievi, capace però di riconoscere nella prossimità della morte del figlio la possibilità per dare senso alle parole e con loro alla sua vita, salvare e salvarsi. "Ho aspettato che resistesse fino all'ultimo. oltre ogni limite. Solo allora ho deciso che si meritava l'umanità e la bellezza".
Umano più che umano lo diventa quando sfiora la follia Stefano, quando si libera degli spettri del passato, per smettere i panni delle sue paure ancestrali.
Impossibile non cedere al fascino delle parole di Vecchioni, i continui rimandi alle tragedie greche sono grazia per il cuore.