domenica 26 maggio 2019

"La versione di Fenoglio" di Gianrico Carofiglio.

Pietro e Giulio. Due uomini, vite che si sfiorano in un centro di riabilitazione. Esercizi di fisioterapia sotto gli occhi attenti della materna e simpatica Bruna che ha visto nell'incontro dei due la possibilità di un'amicizia, forse qualcosa di più. Perché vincere la ritrosia, riempire il silenzio, colmare l'imbarazzo si può in certe circostanze raccontando qualcosa di sé. Nel caso di Pietro, carabiniere prossimo alla pensione, l'occasione è opportuna per confrontarsi con il passato di esperienze di lavoro, ricche di intuizioni, errori, impacci, inciampi, buone indagini, successi, necessari ad addolcire il solco amaro del tempo che fugge ma soprattutto viatico per il giovane Giulio, ventenne dal futuro ancora da costruire. Cosa vuol far da grande Giulio ancora non lo sa, tanto bravo a mimetizzarsi tra amicizie, studio, famiglia, tra quello che gli altri si aspettano e quello che sogna, forse scrivere. 
Pietro "si chiese se avesse senso, se valesse la pena di raccontare certe cose". Gli occhi di Giulio, la sua capacità di ascoltare sono il passo necessario a vincere le paure di Pietro e accedere alla valigia dei ricordi e passare esperienze, sensazioni, desideri al ragazzo. Come un ragazzo si sia trovato per caso a fare il carabiniere, come abbia avuto la prima intuizione in un'indagine, come abbia imparato nel tempo a rispettare qualunque persona avesse di fronte, come avesse preso a riconoscere la paura, e soprattutto la menzogna, come avesse dato peso all'umanità in ogni gesto, come non avesse mai dimenticato lo sguardo di un assassino, come la vita riservasse versioni infinite di felicità ed infelicità, come non si dovesse mai perdere rispetto per se stessi, come temere chi si lascia corrompere dalla sete di potere, come rispettare la legge, come diffidare delle etichette, come dare forma ad un progetto di vita, non mancando mai di rispettarla, averne cura.
Giulio farà tesoro del tempo condiviso con Pietro Fenoglio, delle sue parole, pronto a tuffarsi nella vita, viaggiare, trovare la sua strada, fidando nelle divergenze, ovvero "non di quello che conferma, ma di quello che contraddice".
Una narrazione decisa per l'intensa e coinvolgente storia del giovane Giulio e del suo mentore Pietro. Un piccolo manuale su come eseguire una corretta indagine che si presta ad essere un prontuario di vita, un corredo di riflessioni buone ad animare gli animi indecisi. Una scrittura elegante, curiosa, intelligente.

lunedì 13 maggio 2019

"Non fa niente" di Margherita Oggero

"Di fronte a ogni ostacolo la reazione era stata sempre: nicevò".
Nicevò. Non fa niente.
Esther ricorda le parole della sua trisnonna.
Le ha fatte sue. Ha dovuto. Quando da ragazzina sua madre si è innamorata di un altro uomo e lei ha sofferto la sua partenza. Quando il suo primo grande amore Manfred si dimentica di lei preferendole Hitler, il nazismo, la supremazia della razza ariana sulla gente come lei, rea di essere ebrea. Quando il suo paese, la Germania, diventa terra di conflitto e orrore e lei è costretta a fuggire in Svizzera, nascondendo la sua identità. Quando suo padre muore in Germania lontano da lei.
Nicevò. Non fa niente. E invece sì. Fa male. Sentirsi tradita, abbandonata, sentirsi sempre spiata, come con quel giovane ingegnere italiano che dimostra interesse per lei. Parla tedesco, frequenta i suoi corsi in università.
Solo coincidenza. Sì, nicevò. Non fa niente. La guerra sta per finire e lui, Riccardo Olivero, ha attraversato l'Italia per raggiungerla a Zurigo, dichiararle il suo amore, chiederla in moglie. Può resistere questo amore, alla vita, nonostante tutto? 
Esther sposa Riccardo e lo segue in Italia, in un piccolo paese di provincia. L'Italia è un paese da ricostruire, ovunque miseria e patimenti. Lei è una straniera, ebrea, è sfuggita alla morte, ha studiato, è ricca ma agli occhi della gente di paese a partire da sua suocera è una donna fredda, altera, inadatta agli Olivero. Proprio come Rosanna, la giovane cameriera di casa. Bella, bellissima ma additata dalla gente come una poco di buono. La vera colpa di Rosanna è la povertà, un padre violento, ubriaco, poco più che una larva quando reduce dalla guerra torna a casa. Rosanna non vuole la vita della madre, sacrifici, silenzi, schiaffi. Desidera di più, essere felice, libera, provvedere a sé stessa. È curiosa, instancabile, intelligente. Esther riconosce in lei un'anima affine, sincera, onesta, buona. E a lei propone di partorire suo figlio. Perché a Riccardo, che ha iniziato ad amare davvero, vuole dare un figlio che lei non può partorire. È un'idea folle. "Può esistere un amore di madre che non contempli l'esclusiva, che accetti di essere condiviso con chi madre non è ma risulta ufficialmente esserlo?"
Sì, e a dispetto del tempo, del vissuto personale, dei dolori, Esther e Rosanna sapranno essere madri, rispettare il loro ruolo, volersi bene. Giorno dopo giorno, Esther insegnerà a Rosanna, trasmetterà sapere e riceverà amicizia, affetto. Rosanna riuscirà ad emanciparsi, aiutare la sua famiglia, costruirsi una nuova vita in città, a Torino. Continuare a studiare, lavorare, persino innamorarsi, senza mai allontanarsi da Esther, Riccardo e il piccolo Andrea.
Coraggiose, determinate, appassionate Esther e Rosanna torneranno ad abitare insieme dopo la prematura scomparsa di Riccardo, si sosteranno a vicenda. Protagoniste nel lavoro, del loro tempo, consapevoli della loro unicità, unite dall'amore per Andrea, straordinariamente donne.
'Non fa niente' di Margherita Oggero è una storia semplice, di una bellezza struggente. Una narrazione definita, l'amicizia di due donne che attraversa il Novecento. Una pagina della nostra storia recente che fa da sfondo alla risolutezza di chi a dispetto degli orrori della guerra che impatta e travolge tutto, decide di sopravvivere e concedersi la possibilità di essere felice, perché dopotutto 'nicevò', non fa niente. 

venerdì 3 maggio 2019

"Superga 1949" di Giuseppe Culicchia

"Solo il fato li vinse".
Il 4 maggio 1949, un aereo si schianta contro la Basilica di Superga, avvolta nella nebbia. 
A bordo, la squadra di calcio del Torino. 
Del Grande Toro. 
La squadra che con il suo bel gioco non solo ha inanellato vittorie su vittorie ma ha conquistato un'intera nazione, dalle Alpi all'Etna.
Un gruppo di ragazzi talentuosi che con passione domenica dopo domenica scendeva in campo, non solo per vincere, ma per divertirsi, con l'entusiasmo dei bambini che rincorrono un pallone. 
Ragazzi semplici, che lavoravano, sorridevano, vivevano la città, la quotidianità con l'allegria dei vent'anni e la consapevolezza del privilegio di vivere il proprio sogno.
Un sogno in cui identificarsi per un popolo provato dal secondo conflitto mondiale e deciso a ricominciare a vivere, a credere, pronto a rialzarsi, a correre, vincere come quei ragazzi vestiti di granata. 
Difficile spiegare, rievocare la passione che evocavano quei calciatori, nomi entrati nella leggenda, su tutti il grande capitano Valentino Mazzola, di più descrivere la commozione di una città, di un paese al cospetto di quell'immane tragedia. 
"Abbiamo la forza di piangere: è la sola cosa che possiamo fare per attenuare l'angoscia che ci stringe il cuore". 
Una forma di comunanza, di sentire che unisce uomini e donne nel ricordo di quello che un gruppo di ragazzi, di sportivi hanno rappresentato per intere generazioni. 
Anche oggi, per chi anagraficamente è lontano da quel tempo e vissuto, è impossibile non ricordare la magia del Grande Torino, la gioiosa indomita voglia di combattente del capitano Mazzola, capace di trascinare dietro di sé tutto il Torino, e gli spettatori a seguire. 
Per tutti quelli che hanno tirato calci ad un pallone, che hanno amato la gioia di chi sorrideva alla vita, e hanno visto nei giocatori del Torino la lealtà, lo straordinario impegno, la serietà di chi può tutto per realizzare un sogno, lo specchio di una società che aveva bisogno di immedesimarsi negli occhi di ragazzi dalla faccia pulita, che tendevano la mano, un sorriso aperto alla vita. Un simbolo di coesione. 
A settant'anni dalla tragedia di Superga le pagine di Culicchia arrivano dritte al cuore per raccontare i ragazzi del Torino e l'Italia che eravamo. Una narrazione complice, diretta, evocativa, partecipata, necessaria. 

mercoledì 1 maggio 2019

"Il censimento dei radical chic" di Giacomo Papi

"La cultura non può essere consumata, mentre oggi quello che ha valore deve essere divorato fino alla distruzione, fino a farlo sparire".
Il professor Prospero viene assassinato sul pianerottolo di casa. Un uomo onesto, sincero, uno stimato studioso. L'appartamento "era affollato di libri che dalle pareti modellavano lo spazio intorno alla sua vita e la popolavano di parole possibili", finanche quelle di Spinoza, nel corso di una trasmissione televisiva attirando le ire del presentatore, del pubblico, del primo ministro, additandolo come un mostro, un radical chic, reo di parlare in modo da sminuire, ridicolizzare il popolo.
Seguiranno altri assassini di insegnanti ed intellettuali. Il primo ministro coglie al balzo l'occasione per comunicare che è necessario censire gli intellettuali per proteggerli, a loro spese, così come semplificare la lingua e la sintassi, sfrondare il vocabolario delle parole difficili fino alla desertificazione del sapere, di ogni forma di conoscenza che possa cioè generare pensiero, dubbio, interesse.
In una società che inneggia al capo, che vive di rabbia e alimenta rancori, in cui si evoca il passato, gli intellettuali si nascondono, rinnegano il sapere o si mostrano compiacenti a messe in scene istituzionali e spettacolini al paio degli animali allo zoo per sopravvivere, silenti ombre.
Agli occhi di Olivia, la figlia del professor Prospero, da tempo lontana dal suo paese natio, tutto appare straniante, improbabile, incomprensibile.
Possibile che la cultura faccia paura? Che abbia smesso di "ricondurre a ragione gli istinti"?
Forse il padre aveva conservato la purezza di credere alla forza delle parole, del ragionamento perché "la cultura è una scommessa sul fatto che alla fine ci si possa capire. Per questo può dare fastidio".
In una narrazione che mette insieme ironia tagliente e spietata disamina sociale, al limite di un 'istant book' per l'assurdo plausibile scenario che delinea, con toni che rievocano Orwell e una comicità irridente, l'opera di Papi si rivela vincente in ogni sua pagina. Convincente, strappalacrime e strappa risate. Amare, anzi amarissime.