venerdì 1 dicembre 2017

"L'arrivo di Saturno" di Loredana Lipperini

"Abbiamo paura di vedere quello che dovremmo, rimandiamo ogni volta i nostri atti perché pensiamo di avere tempo, tutto il tempo a nostra disposizione".
E poi?
Poi accade che il tempo ti presenta il conto. Accade a Dora. Alle soglie dei sessant'anni si riscopre sola. L'anziana madre scomparsa da poco. Figli lontani. Un lavoro che consuma la sua quotidianità senza più entusiasmi. Nessun amore che abita il suo cuore. E il passato che torna. Riemerge da un quadro di Vermeer, e racconta dell'amica scomparsa, Graziella, e di una giovinezza di ideali, sogni e progetti. 
Graziella, giornalista agli inizi, svanita nel nulla in Palestina. Su di lei silenzi e omissioni di uno Stato assente e colpevole. 
Nel ricostruire la sua storia Dora si imbatte ossessivamente in Vermeer e in Han van Meegeren che ne replicò il genio dipingendo non falsi ma nuovi capolavori riconosciuti come tali dagli esperti d'arte di mezzo mondo. E ancora in Acca. Nel santuario su un piccolo monte del marchigiano e in una storia che fa rabbrividire perché si ripete da secoli sempre allo stesso modo. Una storia di sacrifici, morte e rinascita. Una storia che Dora crede frutto della sua fantasia di scrittrice e che invece scopre reale al punto da temere di esserne risucchiata. 
Dora non scriverà di Graziella ma ricorderà quel che è stato. Graziella se l'è portata via la verità. Dora si è lasciata conquistare dalla finzione. In fondo come nella loro amicizia di ragazze verità e finzione sono l'uno il completamento dell'altro.

Il libro della Lipperini è un incantevole gioco ad incastri. È cronaca degli ultimi quarant'anni della storia italiana, è narrazione, è quel pregevole mix di rimandi e citazioni che manda in brodo di giuggiole il lettore incantato dalla possibilità di scoprire nuove storie, nuovi libri da leggere. È un romanzo potente, un invito a mettere a nudo le paure, a riempiere i vuoti delle mancanze, a perdonare le colpe dei nostri egoismi.

sabato 4 novembre 2017

"È giusto obbedire alla notte" di Matteo Nucci

"Anche tu sapevi che c'era qualcosa che non si riusciva a dire e scoprirai che sarà così sempre. Ci sono cose che non si riescono a vedere e che non si riescono a dire, ma noi sentiamo che ci sono, che sono al di là di un limite, un confine, un precipizio".
Lungo il fiume Tevere l'osservatore distratto vede poco o nulla. Ma uomini e donne lo abitano. Ognuno ha alle spalle un vissuto che reca carichi di gioie e tormenti. Ognuno ha imparato ad accettare la nuova vita, ad abitarla di sentimenti nuovi. Ognuno a suo modo ha dato forma alla parola fiducia.
Segreti, omissioni, silenzi però riaffiorano dalle acque torbide del fiume e trascinano verso il fondo. 
Il Dottore, così lo chiamano lungo il fiume, lo sa. Lo sente. Il rischio è troppo alto. I suoi ricordi riemergono tra racconti fantastici, flashback, canzoni. 
Cosa siamo disposti a fare per le persone che amiamo? Come possiamo sopravvivere al dolore assoluto di una perdita? Dimenticando? Lottando? Ed è coraggio o egoismo quello che lascia libero il corpo del sofferente o lo trattiene? A distanza di tempo, con l'osservazione della natura, la cura di amici atipici, l'accettazione dei limiti imposti all'uomo, il perdono, la saggezza della vita sul fiume, il Dottore avrà obbedito alla notte specchiandosi nell'alba.
Il romanzo di Matteo Nucci è come sabbia nel letto, fastidioso ma necessario. Mantiene sveglio corpo e coscienza. Allena a guardare oltre il conosciuto. Supera l'ovvio. 
"È giusto obbedire alla notte" non è un romanzo di immediatezza emotiva. Non ha una scrittura facile, richiede tempo, attenzione, arriva sulla distanza ma strattona il lettore e lo trattiene a lungo coinvolgendolo infine in un mondo abitato da personaggi di poetica assoluta. Nucci tratteggia un mondo parallelo così vicino a noi, abitato da anime sperse, colme di una speranza aspra, accesa, che accoglie il lettore, quietandone le paure.
Un romanzo di fulgida, rara, bellezza.

lunedì 23 ottobre 2017

"Origin" di Dan Brown

"Permettere l'ignoranza significa concederle potere. Non fare niente quando i nostri governanti affermano delle assurdità è un reato di compiacenza".
Robert Langdon è tra i fortunati invitati del Guggenheim di Bilbao per la serata evento voluta dal giovane Edmond Kirsch, un tempo suo allievo, ora caro amico. Futurologo, miliardario grazie a scoperte high-tech, feroce ateista, Kirsch è deciso a rivelare al mondo sensazionali scoperte che metteranno in crisi le religioni, rispondendo alla domanda sull'origine della vita e sul futuro della specie umana.
Eppure quando il pubblico presente in sala e quello collegato sulle piattaforme digitali, affascinato dalla presentazione di Kirsch, è lì per lì per conoscere la verità rivelata del giovane miliardario altro è lo spettacolo a lasciare senza fiato. Qualcosa che forse priva dell'unica possibilità che il mondo sappia. Qualcosa che atterrisce e che in poco tempo scatena le ipotesi dei complottisti quanto dei media che prospettano persino il coinvolgimento della chiesa e della casa reale spagnola.
Tra omicidi in sequenza, scandali taciuti, incofessabili segreti, sedicenti spie, attacchi eretici e informatici Langdon proverà di tutto per portare a termine la missione di Kirsch e annunciare la sua scoperta.

Dan Brown confeziona un'altra avventura per il professor Langton. Gli elementi chiave ci sono tutti, una bella e intelligente compagna di scorribande, un sicario deciso a tutto per fermare la sua fuga, polizia e giornalisti in pati grado dirompenti, mille impedimenti nella scoperta della verità. Eppure qualcosa manca. Se è vero che il lettore si inchioda alla pagina fino alla fine, questa volta tutta l'indagine di Langdon cede il passo alla sensazione che qualcosa sia meno ecletante, meno intenso, meno tutto.
A dispetto del fortunatissimo 'Il codice Da Vinci', la narrazione di 'Origin' sembra qualsi divulgativa, saggistica. Tutto quello che viene rivelato nel libro non è fantasy ma potenziale prossima realtà. E' forse più evidente di altri suoi romanzi l'importante lavoro di ricerca fatto a monte. E non spiace affatto. Il compito di un romanziere sta anche nel far passare una certa buona informazione tra le pieghe di una bella storia. E 'Origin' di fondo lo è.

lunedì 9 ottobre 2017

"Le braci" di Sandor Marai

"Perché anche il cuore umano ha la sua notte".
E in una notte si consuma un'attesa lunga quarantuno anni. Un'attesa carica di tensione.
Due uomini. Due amici si ritrovano per riempire un tempo perduto. Per ascoltarsi. Capire.
Anni di silenzio. Uno in fuga verso terre lontane. L'altro tormentato in perenne ricerca di un perché.
Di mezzo, esistenze perdute e forse un sospetto terribile che rivendica verità.
"L'amicizia è il rapporto più nobile che esista fra gli esseri umani".
L'alba rivela che non è stato così tra questi due uomini. E l'ombra di una donna tra loro riporta al tradimento peggiore, quello della persona amata.
Una narrazione ipnotica, intensa che cattura l'attenzione del lettore. Dialoghi di una bellezza poetica e di una forza emozionale unica.
'Le braci' è uno dei migliori libri del '900. Per la scrittura, per la forza dei personaggi, per la storia, per la scenografia delle parole che descrivono le regole di una società sospesa tra due secoli oltre che le regole morali.
Una potenza evocata dalle parole, dalle atmosfere liriche dei cuori accesi dei protagonisti.
Un libro straordinario, formativo.

giovedì 28 settembre 2017

"Il giardino degli inglesi" di Vladimiro Bottone

"Lei vuole la verità. O crede di volerla. Ammettiamo senz'altro che lei la verità la desideri con tutto il suo cuore. Ma ci ha pensato bene? E' sicuro che sia conveniente sapere sempre ogni cosa?"
Napoli 1842. La città è un groviglio di vite, umori, odori, sentimenti, speranze. La grandezza della nobiltà accerchiata dalla povera gente che si arrabatta come può. La bellezza di una città che risplende sul mare a fronte delle vie anguste dei bassi. Ovunque le mani protese dei bimbi, cenciosi che vendono o si vendono per un tozzo di pane. Un male sordido che si annida ovunque, tra piccoli soprusi e ricatti. Questa è la città che ha accolto la bella e dolce Emma Darshwood. In fuga dalla sua Inghilterra e da un sentimento che deve soffocare ad ogni costo. Nei bimbi dell'orfanotrofio del Serraglio, a cui insegna canto, Emma vede la vita, a prescindere; una bellezza 'in potenza', che può tutto. Tra loro può spendere un impegno totalizzante che le impedisce di tacere il male a cui i piccoli sono esposti per mano di pedofili e profittatori. Le costerà la vita. Una perdita a cui il fratello Peter non saprà trovar ragione, al punto di abitare Napoli e la sua gente fino alla ricerca del responsabile di quello che non pare un delitto di passione come è stato dato ad intendere, tutt'altro. Peter soccomberà allo stesso modo della sorella, per mano di spietati decisi a non perdere i benefici acquisiti, il prestigio sociale e al tempo stesso dar sfogo a sordide voglie. Medici pedofili, uomini di legge asserviti ai potenti, povere anime sacrificate, traffici loschi, religiosi prezzolati. A cercare una spiegazione alle morti sospette dei figli, l'anziano pittore Edward Darshwood, che piangerà le anime perdute invocando giustizia, così pure il commissario Fiorilli che dovrà piegarsi ad un sistema che non prevede la parola giustizia.
"Provare dolore testimonia che amiamo. e se amiamo siamo ancora in vita. Noi e l'amato".
Un romanzo che è affresco del tempo, disarmante critica di un sistema dove malaffare e prepotenza prevalicano tutto e tutti. E' un giallo teso e vibrante. E' un romanzo di passioni taciute o violentemente espresse. E' la mano posata sul capo di piccoli orfani. E' il cuore piangente di Emma. E' l'anima tormentata di Peter. E' l'amore negato di una cantante che ha sacrificato passioni e sentimenti per un matrimonio di convenienza. E' il cuore nero di un medico che per molti è il volto rispettabile della città. E' Napoli, che dai bassi al mare prende al cuore e rapisce l'anima.
La scrittura di Vladimiro Bottone è come uno dei quadri del suo protagonista, Edward Darshwood, capace di guardare dentro l'anima, restandoci.

sabato 2 settembre 2017

"L'Arminuta" di Donatella Di Pietrantonio

"Ecco l'Arminuta, la ritornata".
Una ragazzina spaurita bussa alla porta di una casa di un piccolo paese di campagna. All'interno gente a lei sconosciuta. È la sua famiglia ma chiama altri mamma e papà.
Eppure ora l'hanno riportata nella casa natia. Forse per la malattia di quella che ha sempre chiamato mamma. Forse.. intanto il quotidiano è fatto di povertà, di asperità di sentimenti, di pochezza di parole, di silenzi. Facce di fratelli che la considerano un'intrusa. Ad eccezione di Vincenzo, il maggiore, il diverso, il ribelle e lei, Adriana, la sorella minore ma già così indipendente, capace di gestire ogni situazione, rivendicare un posto nella sua vita, proteggerla, amarla a suo modo con tutta se stessa. Solo un anno saranno insieme, poi la sua prima mamma la manterrà agli studi in città senza riprenderla in casa. E l'Arminuta conoscerà la verità. Dolorosa.
Più complicata delle idee e delle scuse inventate da una bambina che desidera solo l'affetto di una madre senza sapere chi considerare tale. "Restavo orfana di due madri viventi. Una mi aveva ceduta con il suo latte ancora sulla lingua, l'altra mi aveva restituita a tredici anni. Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute distanze. Non sapevo più da chi provenivo."
Una narrazione intensa. Piena di pathos. La disarmante storia di una bambina amata a metà, l'egoismo dei sentimenti degli adulti, la povertà come alibi per emendare la colpa degli abbandoni, le tradizioni popolari che contrastano con la modernità, la necessità di sopravvivere, la forza del legame unico tra sorelle.
"Mia sorella. Come un fiore improbabile, come un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza. Ora ci somigliamo meno nei tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate".
Una scrittura magica, aspra, ruvida come certi paesaggi abruzzesi di bellezza antica. Emozionante.

sabato 26 agosto 2017

"Il segreto di Jane Austen" di Gabriela Margall

"L'amore si rivelava nella più cruda delle verità: per amare occorreva mettersi completamente a nudo e affidare l'anima a chi poteva incrinarla rifiutando una carezza".
Superare i pregiudizi. Ricacciare indietro l'orgoglio. Affidarsi all'amore.
Laura e Julian sembrano in apparenza incompatibili. Nemmeno si trovano simpatici all'inizio. Lui è ammaliato dalla sua bellezza. Lei è spiazzata dai suoi silenzi.
In comune hanno l'amore per i libri e un passato di dolore e perdite.
E Jane Austen... sarà il linguaggio comune della loro narrazione d'amore.
Un insegnante di storia, un editore. La bellissima Buenos Aires, tra periferia e quartieri alti. 
La rivoluzione dei sentimenti. L'allegoria dell'amore. La passione... che supererà ogni condizionamento e disvelerà la realtà del cuore di Laura e Julian.
La Margall riesce a pieno a rendere l'amore per le opere della Austen. Attualizza il suo 'fare letteratura' (nel caso della Austen è legittimo parlare di letteratura) divagando tra salotti e sogni di fanciulle; descrivendo i sentimenti, tutti, persino la passione solo pel tramite delle parole, raccontando la società inglese di inizio '800, le aspirazioni negate delle fanciulle, gli sguardi indagatori della gente, gli interessi di classe. E racconta l'amore la Austen, lo stesso amore che una donna del XXI secolo sente di meritare proprio come Laura, la protagonista del libro della Margall. 
Bisogna amare davvero la Austen per raccontarla come ha daputo fare la Margall in questo libro, delizioso espediente di due giovani per innamorarsi.
La magia della parola, è tutto lì.
Il segreto di Jane Austen?
Incantare, sfidare, coinvolgere, incuriosire. Come l'amore. Sempre.

sabato 12 agosto 2017

"Il posto" di Annie Ernaux

"Sono scivolata in quella metà di mondo per la quale l'altra metà è soltanto un arredo".
Una figlia racconta il padre. Dopo la sua morte. 
Il tempo della guerra. La fatica del vivere. I sacrifici del lavoro. L'aspirazione a mettere da parte del denaro per emanciparsi dalla condizione di operaio.
La Francia di provincia. I modi semplici. Le abitudini. I gesti ripetuti a raccontare di un mondo lontano in cui ogni cosa è forma. E presenza. E ancora forma.
L'orgoglio inespresso per una figlia che ama studiare e che insegnerà, viaggerà, sposerà un borghese e quasi dimenticherà il paese natio, il genitore ombroso e severo il cui viso si apriva in un sorriso talvolta e il cui cuore era stato da sempre generoso.
Fino alla beffa della morte, mentre nel suo bar si serviva un pastis e ci si interrogava su quale fosse il proprio 'posto' nel mondo.

Se esiste scrittura prossima alla perfezione nel linguaggio oggi viene dalla Ernaux.
Lirica e intensa pur scarna nella sua forma, evocativa, prossima al lettore che tende a rievocare, a confrontarsi con il vissuto della scrittrice comune a molti lettori.
Riandare ai tempi del secondo dopoguerra, confrontarsi con un pensare comune che dava valore solo ai bisogni primari, che fuggiva da ogni esperienza che potesse mettere a rischio lo status quo appena consolidato e valutasse finanche con cinismo l'alterità è argomento principe di una scrittura che da personale si fa universale.
Impossibile non lasciarsi coinvolgere dalla Ernaux. Bastano poche frasi, i dettagli, per decretarne la grandezza: "A misura delle privazioni, un'immagine: un giorno, è già buio, in una vetrinetta, l'unica illuminata di tutta la strada, brillano delle caramelle rosa, ovali, spolverate di bianco, in sacchetti di cellophane. Non ne avevamo diritto, c'era bisogno della tessera annonaria".

domenica 30 luglio 2017

"La ragazza sbagliata" di Giampaolo Simi

"Dove sta scritto che la verità è la salvezza? La verità è il peggior fantasma che può incrociare i tuoi passi".
Lo sa bene Dario Corbo, giornalista in cerca di rivalsa dopo la chiusura del suo giornale e la fine del matrimonio. 
La verità Corbo va a riprendersela nella sua Versilia, rimestando in un passato nebuloso fatto di bugie e reticenze. Solo una voce pare nitida: quella della sua coscienza, che lo spinge a confrontarsi con la sua prima vera inchiesta giornalistica, e a non perdonarsi nulla.
Irene aveva diciotto anni al momento del suo assassinio. Aveva dato la maturità ed era una ragazza piena di sogni. A negarle il futuro, Nora Beckford, eccentrica figlia di un artista inglese, gelosa di lei.
Colpevole.
Così la giuria, così l'opinione pubblica.
Lunghi anni di carcere e il ritorno ad una esistenza di isolamento, infine rinascita. Fino alla sfida di tornare in Versilia, occuparsi di una mostra sulle opere del padre e lasciarsi risucchiare dal passato, dalle colpe mai abbastanza emendate e dal fantasma di Irene che reclama vendetta.
Perché nulla è come appare.
Non c'è solo una vittima.
Ma tante, troppe persone, al posto sbagliato nel momento peggiore per esserlo.
Coadiuvato dal magistrato Lavinia Monforti, Dario Corbo metterà a nudo l'animo tormentato di Nora e le tante implicazioni storiche di un'estate non facile a livello politico e sociale. È il 1993, la morte di Falcone e Borsellino è un ricordo che brucia l'anima e gli attacchi della mafia allo Stato hanno sconvolto il paese. Gli uomini del terrore si nascondono tra la gente comune. Comune come Irene, innamorata e curiosa.
Strane coincidenze che segnano il destino di persone che vent'anni dopo non potranno negare le proprie responsabilità.
Costretto tra il desiderio di pubblicare la verità e riprendersi credibilità e fama e l'obbligo morale verso chi ha avuto fiducia in lui, Corbo sceglierà di ricominciare da capo, in pace, confidando nell'amore.

Un romanzo dalla trama perfetta quello di Simi. Tentare di raccontarlo priva il lettore del piacere di perdersi nelle indagini del protagonista e nelle inquietudini della storia recente del nostro paese che mette i brividi. Intrigante la scrittura. Oggettive le riflessioni sulla fine della "informazione", sul protagonismo dei media.
Un romanzo che si ama dalla prima all'ultima pagina. 

venerdì 14 luglio 2017

"La sala da ballo" di Anna Hope

Lo sai che bisogna rischiare per avere quel che si vuole, vero? Che cosa sei disposta a perdere?".
È possibile l'amore, l'amicizia, là dove le istituzioni hanno immaginato solo tormento, sofferenza, alienazione?
Il manicomio di Sharston nello Yorkshire ospita soggetti affetti da melanconia, esaurimenti nervosi, ossessioni ma anche poveri, disattatati e semplici insofferenti alle regole di una società che rinnega i suoi figli più deboli. Siamo nell'Inghilterra del primo nonovecento dove non è insolito imbattersi in teorici dell'eugenetica.
Eppure a Sharston si applicano nuovi sistemi di cure. Per quanto la segregazione sia evidente, il controllo asfissiante, il lavoro duro e umiliante come qualsiasi espressione di contenzione, il giovane dottor Fullon crede che suonare ai pazienti musica e coinvolgere i più disciplinati in un ballo settimanale possa aiutarli a ristabilirsi.
Sarà nella sala da ballo del maniconio di Sharston che si conosceranno Ella e John, e che scopriranno di amarsi con la complicità di Clem. Se Ella è finita in manicomio per aver rotto un vetro nella fabbrica in cui lavorava, ribelle agli occhi del mondo, John si è arreso alla sofferenza per la morte della figlia e l'abbandono della moglie ma Clem, ospite pagante, ha rifiutato di conformarsi al ruolo ascrittole dal suo ceto, di madre e moglie, desiderosa di studiare ed emanciparsi.
Ad accomunarli il bisogno di libertà.
A negaglierla proprio quel dottor Fullon che aveva alimentato le loro aspettative con i momenti di socializzazione. Il suo errore: aver ceduto alla corruzione di pulsioni erotiche improprie, dimostrazione della colpa di cui sono latori i malati di mente. E allora è opportuno sosostenere l'eugenetica, mondare la società di soggetti deboli e degenerati, impedendo loro di procreare.
Invischiati nelle idee maledette di Fullon, Clem, Ella e John lasceranno Sharston ognuno nell'unico modo possibile per loro. A qualsiasi prezzo, per riassaporare la libertà e ritornare ad amare.
"Ho dovuto fuggire. E mentre fuggivo pensavo a te. Alla tua libertà. Alla libertà che mi avevi regalato. Ovunque tu sia ti mando il mio amore".

Un romanzo coinvolgente, emotivo, che racconta la tragica esistenza delle vite spezzate di tanti uomini e donne colpevoli di non essere adeguati al concetto di 'normalità' imposto dalla società.
"La sala da ballo" racconta di un amore dolce e necessario e di un'amicizia inattesa. Parla di sogni e speranze. È a tratti di una disarmante tenerezza e di una tragica verità.

venerdì 7 luglio 2017

"Le notti blu" di Chiara Marchelli

"Se c'è una regola dell'amore è questa: soccorrersi senza bisogno di chiamarsi".
Larissa e Michele sono insieme da ragazzini. Una coppia sposata, borghese, come tante. Hanno fatto di New York la loro città. Michele è un docente universitario. Larissa si occupa della casa e della famiglia con amorevole cura. Sembra tutto perfetto ma è apparenza. Superficie. In profondità i due sono automi che ripetono gesti quotidiani, che si aggrappano l'uno all'altro per sopravvivere all'evento luttuoso che ha stravolto le loro vite: il suicidio del figlio Mirko. 
Hanno continuato a chiedersi all'infinito: perché? Non hanno trovato risposta.
Giovane geologo, sposato con la quieta Caterina, aveva deciso di vivere in Italia, rinunciando alla ricerca per lavorare in un ente pubblico. Poi una mattina l'avevano trovato senza vita.
Non era rimasto nulla di lui.
Se non il ricordo.
Una lettera, cinque anni dopo, aveva riaperto la ferita di quell'assenza per dilaniarli semmai di più: Mirko aveva avuto un figlio da un'altra donna.
Poteva essere vero? Chi era allora davvero Mirko? Chi e cosa aveva taciuto quel figlio bellissimo?
Larissa incline a sapere in un primo tempo si rifiuta poi di andare avanti, terrorizzata dall'ipotesi di sgretolare il ricordo del figlio perduto, e le sue giornate di pacifica realtà di sopravvissuta. Michele, esperto sulla teoria dei giochi, restio in principio sarà capace di superare la paura anche di perdere la moglie per sapere, ritrovare un po' di Mirko negli occhi di un altro bambino e sarà allora, solo allora, che smetterà davvero di chiedersi perché.
Per ricominciare a vivere.

La Marchelli confeziona un libro di una struggente forza emotiva. Una scrittura potente e chiara che evidenzia tutto il tormento che attraversa l'animo di un genitore che sopravvive al figlio suicida e si interroga sugli errori commessi per averlo spinto al gesto estremo. Due figure molto razionali, Larissa e Michele, che pure superano le notti blu, insonni, con un velo di dolore soffocato nel cuore ma evidente negli occhi. Insieme sapranno affrontare anche la speranza di una nuova vita che se non restituira' loro Michele, offrirà la possibilità di un nuovo inizio.
Un romanzo potente.

sabato 1 luglio 2017

"Ciò che inferno non è" di Alessandro D'Avenia

"La vita dentro dei confini sicuri è soltanto un'illusione".
Palermo. Estate 1993.
Federico ha diciassette anni. Ama le parole. Le poesie. Aspetta la ragazza per cui scriverle, l'amore che lo ispiri. È in partenza per l'Inghilterra, dove perfezionare il suo inglese quando si lascia convincere a seguire il suo professore di religione.
È padre Pino Puglisi.
E il suo obiettivo è aiutare i bambini della sua parrocchia in uno dei quartieri ghetto della città: Brancaccio.
"È necessario che al mattino i ragazzi vadano a scuola e al pomeriggio al centro. Solo così si può sottrarli alla strada e alle sue regole. L'inferno è il posto in cui lo spazio per i desideri è già tutto occupato. Allora si fa quello che viene ordinato a testa bassa".
Federico all'improvviso vede cose che non si possono ignorare. Sente di dover dare il proprio contributo. Di aiutare. Scopre così se stesso, impara a riconoscere i bisogni degli altri, a dare un volto al male, a dar forma alla parola coraggio, sognare nuovi progetti e incrociare gli occhi della ragazza più bella, Lucia, reale e determinata quanto la vita.
E non si lascerà sopraffare dalla violenza né piegare dalla morte di Padre Pino Puglisi. Il suo esempio lo spingerà a "tirare fuori la vita dalla vita, per trovare il fuoco del coraggio di non barattare la bellezza con il compromesso. E rimanere fedele ai propri desideri, nel tempo".
Un romanzo di formazione, un romanzo di civiltà, impegno che racconta la vita straordinaria di un uomo che ha fatto della bellezza dei sogni, dell'ardore dell'esempio, la parola concreta per costruire 'vita'.
"Il sacrificio di don Pino non è la sua morte, quella ne è la conseguenza. Il suo sacrificio è ciò che la parola sacrificio dice: fare sacre le cose. Don Pino rendeva sacro ciò che toccava, lo difendeva come la cosa più preziosa: bambino, ragazzo, uomo che fosse. Da qui deriva il suo coraggio".
D'Avenia come il protagonista del suo romanzo ama "cercare le parole giuste". Per raccontare, creare emozione, in questo caso risvegliare la coscienza di quanti, troppi, dimenticano con facilità l'esempio dei 'giusti': Padre Pino Puglisi, tra loro.
Una poetica disarmante per descrivere le mille anime di una città bellissima e contraddittoria, capace al tempo stesso di irretire o annientare chi la abita: Palermo.

lunedì 26 giugno 2017

"La rete di protezione" di Andrea Camilleri

"Macari lui aviva gridato che la verità è rivoluzionaria, che la virità va sempri ditta. No, no, era da tempo che sapiva che la verità, certe vote, è meglio tinirla allo scuro, allo scuro cchiù fitto, senza manco la luci di un fiammifiro".
In una Vigata disegnata a mo' di cartolina anni '50 per esigenze di copione, una troupe svedese vi gira un film che coinvolge a più modi l'intera popolazione, Montalbano si trova ad indagare su due casi senza vittime.
Eppure omicidio ci fu e strage ci "scampò"!
Da vecchi superotto di un notabile del paese riemergono riprese fisse di un muro, sempre la stessa, nello stesso giorno, nella stessa ora.
Il figlio si interroga sul perché. Curiosità, semplicità curiosità che pure rivendica una ragione, la stessa che per amicizia e interesse solo un bravo investigatore come il commissario può cercare.
Per contro in una scuola due uomini mascherati irrompono armati. Certa stampa parla di terrorismo, eppure il commando appariva per certi versi una mezza armata brancaleone ma sembrava sapere chi intimidire.
Occasione per Montalbano per scontrarsi prima, confrontarsi poi, con la generazione dei giovanissimi, in apparenza chiusi in un mondo tutto loro, distanti eppure vicinissimi e straordinariamente capaci.
"A lui avivano 'nsignato di scinniri 'n profunnità, loro avivano 'mparato a navicari a mari aperto".
E alla fine Montalbano si era trovato bene con i "giovani", solo con il rimorso di non aver voluto scorgere oltre il velo delle apparenze.
E del segreto di quel muro sempre ripreso Montalbano era venuto a capo ma aveva preferito tacere perché a volte le verità fanno male, e a distanza di più di cinquant'anni non possono cambiare lo stato delle cose, solo raccontare di un dolore profondo e senza fine, perché a voltre così è che si ama, con un dolore che si bagna di struggimento.
"Quanti modi di protizioni esistivano! C'era 'na gana diffuda di proteggirisi da ognio cosa: da quello che s'accanosci, da quello che potrebbi essiri e che non è ditto che sarà".

Camilleri incanta sempre. la sua narrazione prende il lettore dalla prima parola e lo avvilluppa in un mondo piccolo fatto di tante voci e volti di vivace spessore umano.
Ci sono gli uomini del commissariato, tutti amici, di più, fratelli per Montalbano.
Ci sono le donne, amori passati, passioni inespresse, figure materne, confidenti, compagne di vita.
E la gente di paese, gli uomini di mare, gli artigiani, i cui volti, le cui mani raccontano più delle parole.
A descrivere, a intrecciare storie, a rievocare, a dare forma e voce alla coscienza dell'uomo, Camilleri è maestro.
Basta poco, ma quel poco riempie pagine di pregevole narrativa.

domenica 4 giugno 2017

"Nel guscio" di Ian McEwan

"Come è possibile che io, neppure nato ieri, sappia già quanto basta per sbagliarmi su tante cose? Beh, ho le mie fonti, io ascolto".
E dal grembo materno il futuro nascituro ascolta musica, lezioni sullo scibile umano, notiziari. Si interroga sull'amore, sui sentimenti e i bisogni umani, sulle difficoltà e le guerre, fino a chiedersi del male. Perché il male è nel cuore della donna che lo ospita, Trudy, e dell'uomo, Claude, che presto l'aiuterà ad ammazzare il padre, John. Un editore, poeta mancato, la cui unica colpa è quella di non aver svenduto i propri sogni.
Pochi giorni alla nascita e già l'amara sensazione di essere abbandonati.
"Soltanto nelle fiabe i figli indesiderati vanno a stare meglio partendo dalla condizione di orfani".
Una grande casa su Hamilton Terrace, qualche milione di sterline questo è il prezzo della libertà che porterà la morte di John alla giovane e bella Trudy. Poco importa che il legame adulterino con il cognato Claude sia ormai cosa conosciuta, John non si rassegna a perdere l'amore della moglie. Tenta la carta della gelosia, la sfida a lasciare la casa, mentre decanta il loro amore perduto.
E il futuro nascituro lì, impotente ad evitare la tragedia.
Riuscirà a impedire agli assassini la fuga con l'unico atto possibile: nascere, essere.
Una presa di posizione che lo segnerà per sempre come "il genere di poesia che colpisce e fa male prima che uno riesca a capire esattamente quanto è stato detto".

Semplicemente geniale 'Nel guscio'. 
Se non fosse che l'Amleto di Shakespeare è lì a ricordarci che qualcuno ha già scritto  un capolavoro diremmo che Ian McEwan c'è andato vicino.
Lasciare che il protagonista sia un bimbo prossimo alla nascita è una soluzione narrativa eccelsa come la scrittura tutta dell'autore.
È lui la coscienza ignorata di Trudy, lui giudice impietoso che a suo modo infine si fa giustiziere, lui che dubita su tutto, si interroga, reclama il diritto di vivere, di essere persona, di essere felice a dispetto della scelleratezza della madre: "bellissima, amorevole, assassina".
Il libro si legge tutto d'un fiato. È pregevole in ogni dettaglio narrativo. Le parole non sono mai scritte a caso ma pensate. L'evoluzione della preparazione dell'assassinio si affianca al racconto degli ultimi giorni di gravidanza, alla torbida relazione dei due amanti, al senso di finitezza della vita di John e il melanconico ricordo del suo amore perduto, struggente come una poesia che può tutto o quasi.
L'ascolto di quel piccolo, nel guscio materno, ricalca l'ascolto primigenio della vita. E si fa infinito.
Un libro meraviglioso. Come capita di rado di leggerne.

sabato 3 giugno 2017

"Il giardino delle mosche" di Andrea Tarabbia

"Come è potuto succedere, Andrej? Che cosa ti ha fatto diventare questa cosa che sei?"
La cosa è Andrej Cikatilo. È lui l'assassino che ha sconvolto la Russia per più di vent'anni. 
Cinquantasei vittime. Giovani, giovanissimi, bambini. Maschi, femmine.
Corpi. Nient'altro.
Corpi su cui accanirsi, con violenza. Corpi di cui fare scempio. Da abusare, finanche mangiare.
Corpi non persone.
Persone ai margini, sole, spesso bisognose, semplicemente sperse, numeri nelle grandi città sovietiche. Soggetti ideali per la caccia dell'assassino. 
Lui, Andrej, buon padre di famiglia, lavoratore, comunista della prima ora, rispettoso delle regole eppure "si può vivere accanto a una persona senza conoscerla".
Chi è davvero Andrej Cikatilo? L'uomo grigio, che tutti ignorerebbero o l'assassino impietoso? Il folle che parla con il fratello morto, che si sente onnipotente nel decretare la fine di singole esistenze?
È il 14 febbraio 1992 quando Andrej viene giustiziato.
"Le persone, anche le più buone, sanno essere crudeli".

Romanzo, biografia, 'Il giardino delle mosche' racconta il male. Le ossessioni di un uomo malato, a sua volta vittima, che perpetua l'orrore della morte.
Analitico, attento, spiacevole nella scrittura quando è costretto a cedere alle descrizioni più raccapriccianti, Tarabbia cerca di dare un senso al male che alberga nel cuore dell'uomo.

mercoledì 31 maggio 2017

"Una storia nera" di Antonella Lattanzi

"Le persone danneggiate non guariscono mai".
Così si sentono Carla e i suoi figli Nicola, Rosa e la piccola Mara.
Danneggiate da un amore malato. Un amore, quello di un marito, padre, Vito Semeraro, che ha rotto l'incanto di una famiglia solo in apparenza perfetta.
Perfetta agli occhi della piccola comunità di paese come alla grande città che abitano.
Perfetta in chi non comprende come non si possa non amare un uomo bello, ricco, un ottimo professionista.
E invece.. l'apparenza maschera liti giorno dopo giorno per le cose più assurde, perché anche il pane acquistato in un posto diverso può far saltare i nervi a Vito Semeraro, farlo impazzire di gelosia, spingerlo alla violenza.
Ogni giorno, anno dopo anno.
Uno stillicidio per Carla: parole sbagliate, umiliazioni, violenze fisiche, psicologiche.
Un tormento aver rinunciato a tutto, lavoro, studio, sogni, finanche l'amore per colpa di chi credeva perfetto.
Insieme da ragazzini, poco più che quarantenne Carla trova il coraggio di dire basta. Di lasciare il marito e ricominciare con la piccola Mara da crescere, per risparmiare almeno a lei le violenze di cui si erano riempiti gli occhi i figli grandi.
E quando, con ostinazione, la speranza comincia a riempirle il cuore di normalità, quella normalità fatta di un lavoro umile, di cure per la piccola di casa, parole gentili con i figli, finanche un uomo comprensivo e amorevole accanto, tutto precipita.
La festa della piccola Mara. Una serata da trascorrere in famiglia, come una volta. Poi, il giorno dopo, la scomparsa di Vito Semeraro.
L'ansia, l'attesa, il non detto, i sospetti fino al ritrovamento del cadavere e la confessione di Carla.
Da vittima a carnefice il passo è breve.
Lo è per i media che seguono il processo, lo è per la gente, lo è per la sorella di Vito che reclama vendetta, non giustizia.
Ma è davvero così?
Carla, minuta e bellissima, combatte, si difende, spiega con parole sue l'angoscia di una vita soffocata dalla paura di essere uccisa e sfida tutti chiedendo: "Voi lo sapete perfettamente quello che pensate? Quello che volete? Voi potete dividere tutto con certezza, giusto e sbagliato, sì e no, questo e quello? Se voi potete io vi invidio con tutte le mie forze".

Giusto o sbagliato? Continua a chiederselo il lettore fino all'ultima pagina. Troppo amore. Un amore distorto che corrode ed entra nell'anima. E fa male, ogni parola arriva al lettore e provoca un intenso fastidio.
Malefico come può esserlo un veleno che attraversa il cuore di Nicola, che spesso si sente troppo simile al padre. Protettivo, ma anche violento, irrequieto, instabile, costretto a crescere troppo in fretta, l'ansia di dover difendere le sorelle, aiutare la madre, fino a quell'ultimo sguardo in carcere, uno sguardo che mette a nudo la verità e apre la disfatta dell'anima, perduta, forse per sempre.
Condividere un segreto, comprendere, perdonare o emendarsi, fuggire.
Impossibile dirlo.
"Una storia nera", un racconto in presa diretta sull'evoluzione di un crimine. Banalmente si potrebbe risolvere in una storia vera. Vera come sa esserlo il male quando prevarica il bene. Quando annienta la coscienza. Quando corrode i pensieri.
La descrizione di un mondo, di un tessuto sociale che spiega la percezione erronea dei rapporti uomo-donna, la distorsione dell'amore che si fa gelosia, possesso, una morsa che stringe la gola di chi vuole solo vivere.
Meccanismi perversi, insondabili. Eppure resi perfettamente dalla scrittura della Lattanzi. Bastano pochi particolari, descrizioni che paiono fotografie tese a cogliere l'anima, la personalità dei personaggi.
E' quella della Lattanzi una scrittura a tratti cinematografica a tratti introspettiva, analitica. Il lettore sembra di conoscere Nicola, Rosa, persino la piccola Mara e su tutte le donne della storia, Carla, l'amante Milena, la spietata  Mimma.
Un romanzo potente. Che atterrisce. Un peso sul cuore.
"Sono una donna sola da quando ho conosciuto Vito, ma da quando l'ho lasciato sono una donna sola e viva, prima di lasciarlo ero già morta. Era già scritto".

mercoledì 24 maggio 2017

"La più amata" di Teresa Ciabatti.

E poi ci sono quelle storie che ti entrano dentro e ti chiedi perchè.
La voce narrante è la stessa dell'autrice, Teresa Ciabatti, che ricorda, impietosamente, la sua infanzia infelice - ma lo era davvero?- e la sua adolescenza, che l'hanno resa la donna inadatta al ruolo di madre, moglie, finanche persona -sa essere impietosa con se stessa la Ciabatti nel giudicarsi- che non si perdona sciatteria, silenzi, mancanze. E nel farlo racconta la sua famiglia, su tutto il rapporto totalitario con il padre, il professore, il medico famoso, la brava persona cui i poveri cristi aspiravano per farsi curare, ricco, ricchissimo da fare invidia, che mal celava i legami con massoni, politici e affaristi. Uno che credeva di potere tutto, finanche fregare la morte.
E invece no.
Ha fregato tutto il resto. Sacrificato tutto. Esposto la famiglia, i figli a stordimenti, bugie, disagi.
E lei Teresa, la più amata. Così si sentiva al cospetto del padre che la vezzaggiava al punto di permetterle di giocare con il suo anello, quel simbolo di potenza che scoprirà solo dopo essere stato parte della sua rovina. La massoneria, le simpatie con i golpisti di Borghese, il clima asfittico degli anni di piombo, il sequestro e ancora l'illusione di altri affari ancora più grossi, un gioco al rialzo con la sorte. 
Teresa se ne sta lì, a nuotare nella piscina che nasconde un bunker, irriverente, sempre più viziata, prepotente, lagnosa quando non può avere quello che sa il padre può comprarle. Tutto ma non il suo amore, non il tempo. Quello il grande professore con la figlia non l'ha mai trascorso, sempre a delegare. E lei Teresa che fa di tutto per attirare la sua attenzione, fino ad odiare la madre e tutti quelli che ostacolano il suo rapporto con lui.
Non farà mai in tempo a recuperare l'affetto negato. Nè a mediare con la sua infelicità.
Scrivere forse è per la Ciabatti il tentativo di emendare l'insolenza di essere sopravvissuta: "Chi è migliore? Colui che sopravvive al dolore, e io lo sono, sono qui, sopravvissuta al buio del passato (era così buio?), al gelo di un'infanzia infelice. Io sono una sopravvissuta, e voi no".
E il lettore la prende per mano la piccola Teresa e diciamolo pure fatica a sopportarla. Sempre così delirante nel voler essere la prima.. prima ballerina pur non avendo grazia e fisico, prima agli occhi del mondo intero, prima a rinfacciare, ingigantire la sua ricchezza, le conoscenze del papà. Il lettore percepisce quell'"Io", "Io", "Io" ripetuto ad oltranza da Teresa, un "Io" che sta come un grido soffocato per dire agli adulti "sono qui', amatevi davvero, preendetevi cura di me.
Una scrittura diretta, che testimonia per certi versi, la storia recente del nostro paese, impietosa, brutale.
E alla fine nella scrittura la Ciabatti ritrova se stessa, o almeno comincia a scoprirsi ben oltre l'immagine riflessa nella specchio. Oltre quella dismorfofobia dell'anima oltre che del corpo, se così si può dire.
E nel farlo colpisce al cuore di chi legge.

venerdì 19 maggio 2017

"Le otto montagne" di Paolo Cognetti

"Da mio padre avevo imparato che in certe vite esistono montagne a cui non è possibile tornare".
Pietro. L'eredità di un padre che lo ha molto amato. Il fare al posto delle parole. E un luogo: la montagna, testimone di un vissuto a cui tornare, sempre.
O quasi. 
Per ritrovare l'affetto dell'amico di una vita, Bruno. Il fratello mancato. 
Rivelare l'autenticità dei legami.
Superare le perdite, le sconfitte, gli intralci della vita. Fare progetti. Sognare. Ripartire. 
Cognetti delinea con una scrittura asciutta la storia di una grande amicizia maschile, l'intenso rapporto padre/figlio, la sfida all'emancipazione dal conformismo. 
La sensazione che arriva al lettore è di immedesimazione con il protagonista. Un racconto che sviscera sentimenti, emozioni. Che sembra rivelare verità assolute. Una narrazione che impone riflessione. 

lunedì 1 maggio 2017

"Gli innocenti' di Paola Calvetti

"La verità è che non so più distinguere fra quello che ricordo effettivamente, quello che mi hanno raccontato e quello che racconto a me stesso".
Così Jacopo, violinista cinquantenne. 
È a Firenze dopo anni di assenza, per un concerto. Al suo fianco la giovane violoncellista Dasha. Da quando si sono conosciuti, a Parigi, sono trascorsi poco più di sei anni. Quel giorno a Parigi Jacopo ha afferrato per la prima volta la felicità.
Lui, così introverso, malcela l'animo tormentato dell'orfano che è stato. L'abbandono all'Istituto degli Innocenti di Firenze, le origini ignote, l'adozione ne segnano ancora i passi nella vita quasi a farlo sentire sempre fuori posto, in attesa dell'ennesimo colpo a tradimento, solo la musica, il suo violino a tenerlo in piedi.
Pure Dasha è una sopravvissuta. In fuga dall'Albania, lontana dall'amata famiglia, ha fatto del suo violoncello l'occasione per rinascere altrove e imparare ad essere felice.
Nel mare della vita due anime solitarie si sono riconosciute e hanno saputo appartenersi ma per assaporare davvero la felicità è necessario pacificare gli ultimi tormenti di un passato che reclama attenzione, perdonarsi e abbandonarsi all'amore cui la musica di Brahms fa eco.
Un romanzo atteso quello della Calvetti. Tra le poche autrici italiane a dare forma alle emozioni con un pathos ed un sentimento che coinvolge il lettore nella storia. La tenerezza di Dasha e al contempo la sua forza a dispetto delle prove della vita che ha dovuto sopportare la rivelano come la giusta compagna per Jacopo, anima complessa, tormentata, implacabile verso se stesso e quell'abbandono che sente addosso più di un marchio e che lo spinge a credersi incapace di prendersi cura di un figlio.
Ma l'amore può tutto. Ce lo rivela la grazia del cuore di Dasha e la musica di Brahms.
Un piccolo romanzo incantevole che scalda il cuore e riconcilia con la vita.

lunedì 24 aprile 2017

"La ragazza di prima" di JP Delaney

Folgate Street 1, Londra.
Monkford Building.
Emma e Jane.
Due donne, due voci per raccontare un incubo, un'ossessione, un amore malato.
Un uomo, l'architetto Edward Monkford. Giovane, brillante, deciso. La sua casa, espressione di sé, elaborazione di un lutto, esemplificazione di una nuova forma di vita improntata al controllo, all'austerità, alla purezza dove la pulizia esteriore rispecchia quella interiore, dove l'essenziale è sublimato.
Ma quanto di vero c'è in quel che chiede Edward Monkford agli affittuari della sua casa? La domotica e un controllo virtuale di ogni attività della casa può sostituire il contatto umano? 
E cosa è davvero accaduto a Folgate Street? Un omicidio? Un suicidio? Chi è davvero Edward Monkford? Perché i suoi affittuari sono solo donne, somiglianti alla moglie defunta?
Un giallo inquietante a tratti snervante. 
Un ossessivo cambio di rotta nella trama. Mai è quel che sembra nel romanzo di Delaney. 
Interrogativi dilanianti che coinvolgono il lettore in una dicotomia azione/pensiero che sfinisce.
Cosa è davvero essenziale nella vita di ognuno di noi? A cosa potremmo rinunciare? Cosa consideriamo lecito? Cosa siamo disposti a fare per proteggere le persone che amiamo?

La scrittura di Delaney è accattivante, ma la trama non è originale e soprattutto non è così convincente la costruzione dei personaggi. Un sotteso senso di incompiuto delinea il tutto quasi che ancora qualcosa andrebbe spiegato, definito.

domenica 16 aprile 2017

"Longbourne House" di Joe Baker

Longbourne House. I Bennet. Cinque ragazze da maritare. In poche parole 'Orgoglio e pregiudizio'. Romanzo tra i più amati e letti. Ma là dove Jane Austen si è fermata, riprende Jo Baker. Nel descrivere il complesso, duro e ostinato lavoro della servitù nelle dimore inglesi di inizio ottocento. La bellezza della scrittura della Baker va oltre il dettaglio dei lavori più umili, si esalta nel dare corpo, voce e volontà a uomini e donne, considerate poco più che ombre nella vita di altri. 
Così conosciamo gli altri abitanti di Longbourne House: Mr e Mrs Hill, la giovanissima Polly e lei, Sarah, desiderosa di spingersi oltre i confini della proprietà dei Bennet: "cerco un posto dove poter essere e basta, senza avere sempre l'obbligo di fare qualcosa". 
L'arrivo inatteso e misterioso di James Smith spingerà Sarah a dare forma ai suoi desideri e lottare, rischiare per realizzarli perché "la felicità era ancora una cosa possibile".
Una narrazione coinvolgente che riporta al fascino dei libri della Austen. Esaltante.

lunedì 27 marzo 2017

"Il caso Maurizius" di Jakob Wassermann

"Impari bene: le cose sono sempre diverse da quel che sembrano. Sono perfino misteriore per chi le vive".
Germania, anni '20. Un sedicenne - Etzel Andergast - insofferente alla rigida guida paterna, allontanato da piccolo dalle cure materne, si imbatte quasi per caso nel carteggio del caso Maurizius, di cui lo stesso genitore, procuratore generale al tempo si era occupato. 
Condannato all'ergastolo per uxoricidio, Maurizius si è sempre professato innocente.
Il giovane Etzel decide di farne una sua battaglia personale. Lette le carte processuali, ascoltato il vecchio padre di Maurizius, comprende che la verità può rivelarla solo ed esclusivamente il testimone che ha incastrato Maurizius, il suo amico Warenne. Costretto alla fuga, Etzel partirà per un viaggio alla ricerca del senso profondo della giustizia, un viaggio che dia senso alla sua giovane esistenza e che sconvolgerà la vita del padre, costretto a confrontarsi con il suo passato, a rimettere in discussione i suoi valori, il suo lavoro. Al cospetto del detenuto Maurizius, l'uomo di giustizia Wolf Von Andergast, comprenderà il senso profondo della vita, l'abiezione del male e di una giustizia troppo lontana dagli uomini.
"Non creda mai a un uomo quando le dice che, in certe condizioni, non ha potuto agire diversamente da come ha agito, falso. Si tratta semplicemente di sapere fin dove bisogna risalire per trovare il punto in cui il suo libero arbitrio era ancora intatto".
Un romanzo di travolgente profondità. Un continuo affondo alla coscienza dell'uomo. Un interrogarsi su questioni filosofiche, religiose, politiche. La trasfigurazione della verità sul viso ora innocente di una giovane ora nella voce di un uomo capace di asservire ogni spirito libero al proprio volere.
Un ritratto della società tedesca del primo dopoguerra tra gli ultimi fuochi ardenti di un grande impero e il buio ghermente di una povertà che spegne i sogni e ricaccia indietro gli ultimi aneliti di bontà umana.
La scrittura di Wasserman è potente. Il lettore resiste pagina dopo pagina, si lascia totalmente avvincere dai personaggi e dalla loro storia. Il rapporto padre/figlio, per certi tratti simili nell'ostinazione a ricercare la verità. La figura straniante di Maurizius, questo resistere all'annientamento della persona in carcerce, il suo sacrificio per anni votato ad un'idea di onore da preservare a dispetto della propria stessa vita, e su tutti la figura di Warenne, un Faust terreno, che si vorrebbe distruggere con lo sguardo per quanto si rivela malefico.
Assolutamente da leggere.

lunedì 13 marzo 2017

"La ferocia" di Nicola Lagioia

"Il dolore di cui nessuno sa niente possiede solchi in cui è possibile nascondersi".
E si annida sul corpo nudo della giovane donna rinvenuto sull'asfalto di una strada di periferia, Clara Salvemini, figlia di un noto costruttore edile barese.
Lei così amata, corrosa dal dolore come il fratello Michele, il figlio diverso, il ribelle, che torna dal suo esilio forzato romano, per comprendere, lasciarsi sopraffare dalla rabbia, dal dolore appunto di una famiglia che vampirizza emozioni, sentimenti, pronandoli al bisogno, alle necessità di un capofamiglia che vede nella realizzazione professionale, negli affari l'unico motivo di esistenza, pazienza se ci si macchia la coscienza di qualsiasi nefandezza, pazienza se si trascina nell'abiezione moglie e figli. In un panorama desolante di corruzione, affarismo, droga, sesso e festini, dove la normalità è per troppi l'anonimato dell'anima, un ragazzo attraversa la città alla ricerca degli uomini che hanno conosciuto la sorella riducendola alla figura estranea che abitava il suo corpo.
Tra ricordi d'infanzia e incontri allucinati di una vita difficile, l'esistenza dolente di una famiglia.
Una narrativa straniante, disturbante per la ferocia delle descrizioni.
Una lettura a tratti difficile, ma brutalmente vera.
Difficile da spiegare ma La Gioia trasmette al lettore tutte le sfaccettature delle emozioni, i colpi sul corpo devastato della bella Clara che le hanno scavato dentro e arriva improvvisa tutta la sua sventura, l'impossibilità a vivere, la decisione di imputridere un'anima corrotta ormai da tempo, vinta dall'impossibilità di salvarsi e salvare il fratello Michele; l'inettitudine del grande Ruggero che nasconde dietro quel suo salvare vite umane, l'assenza di scrupoli per essersi lasciato convincere dal padre a venir meno ai suoi ideali, i corrotti al soldo del vecchio Salvemini, tutti uguali, tutti viscidi, laidi, la sporcizia esteriore e interiore di una città che soccombe al soldo dei dannati danarosi.
Devastante.

domenica 5 marzo 2017

'Stoner' di John Williams

Stoner. Dalla campagna della provincia americana alla Columbia University. Una vita improbabile, l'estraneità quasi fisica dai suoi genitori, l'incontro con un docente di letteratura inglese che gli ispirerà il cambiamento: "deve decidere chi è e chi ha scelto di essere e il significato di quello che sta facendo". Quarant'anni di insegnamento e in mezzo: un matrimonio fallito, una figlia amata che pure non ha saputo davvero tenere con sé, una carriera universitaria osteggiata e il vero amore immolato alla decenza.
Dove sta la straordinarietà della sua vita? Nell'animo puro, in una sorta di resilienza, nell'ostinata declinazione del suo essere, nel coraggio delle sue azioni, piccole quotidiane abitudini che rivelano al mondo più di quanto Stoner non avrebbe creduto possibile condividere. Un uomo in divenire che pure a tratti dischiude al mondo passioni e sentimenti.
Ci si affeziona a Stoner come ad una persona cara. Lo si vorrebbe aver conosciuto, avuto come insegnante, amico. Stoner attraversa il '900, la grande depressione, due guerre mondiali, una società in mutazione senza segnali di insofferenza ma di continua analisi, speranza, perseveranza, resistenza.
Una narrazione intima, sincera, sensibile che regala un personaggio unico. Impossibile da dimenticare.

lunedì 27 febbraio 2017

'La caduta delle consonanti intervocaliche' di Cristovao Tezza

È un giorno importante per Heliseu de Motta e Silva. L'università dove insegna da quarant'anni filologia romanza rende omaggio alla sua carriera. Settant'anni riflessi allo specchio in una mattina di bilanci. Solo in apparenza positivi. Lo studio forsennato sulla caduta delle consonanti intervocaliche cui si deve tra il X e l'XI secolo la nascita del portoghese e l'amore per la moglie Monica, occhi da cerbiatta incrociati allo sportello in banca tra un investimento e l'altro.. perché è importante dare senso ai risparmi di un lavoro promettente e sicuro come quello di professore. Ma è davvero tutto qui? Una casa, una donna da amare, un figlio, il riscontro della società? O non è forse una solidità di facciata, che cela la distanza di un figlio che riflette l'anaffettività del suo vecchio genitore, la vivacità di una moglie decisa a fare carriera, viaggiare, avere amicizie eppure diventata all'improvviso estranea, disturbante quasi quanto il calpestio sonoro delle parole dei colleghi che si fa silenzio alla sua comparsa, accuse verso la sua totale assenza di partecipazione, un uomo senza opinioni, sempre ai margini, in attesa perenne.. di qualcosa, qualcuno magari qualcuna come la giovane e bella dottoranda francese che accende la sua passione, il senso del proibito; un fuoco fatuo che immola per il tributo alla sua professione e ad una famiglia che va sgretolandosi al cospetto di un incidente che riallinea la sua vita. E a distanza di anni, la coscienza presenta il conto. Se tributo deve essere sarà solo il preludio di un tempo che resta per ammonire i ricordi e fare ammenda, a partire dal figlio lontano, e un 'io' da ridimensionare perché in fondo "le parole sono come le monete, valgono solo quelle in corso".
Superba scrittura quella di Tezza. Un romanzo fascinoso e introspettivo che regala un personaggio unico.
La bellezza delle parole al servizio di una  narrazione poetica.

venerdì 24 febbraio 2017

'La donna che scriveva racconti ' di Lucia Berlin.

"È così che funziona l'arte. Ferma la felicità nel tempo. Leggendo questo racconto può rivelarla tutte le volte che gli pare".
E arriva felicità, rabbia, dolore, inadeguatezza, speranza, passione, tristezza da ogni racconto di Lucia Berlin che tratteggia personaggi inconsueti, unici. Scrive di sé. Sempre, anche quando delega ad altri la parola e arriva il tormento di un'infanzia difficile in giro per il continente americano, all'ombra di una madre anaffettiva, a tratti sprezzante con il prossimo, di parenti ubriachi sempre ad un passo dal suicidio un attimo prima di gesti eclatanti, un talento per la scrittura soffocato dalle scelte d'amore, figli, mariti, lavori diversissimi anche umili ma necessari a mantenere una famiglia che cresce e la vita che scorre: incontri, fallimenti, viaggi perigliosi, esperienze stravaganti, l'alcool come compagno di sempre, e la scrittura che torna prepotente a bloccare l'attimo, l'istantanea di un giorno, di un incontro, un sentimento che merita il ricordo. Volti che restano impressi nel lettore, storie che parlano di noi. Il novecento declinato nelle tante esperienze di vita di una donna che si è fatta 'uno, nessuno, centomila'. 
Una scrittura asciutta, definita, che arriva al cuore del lettore per restarci.
La pagina scritta della Berlin è come una foto di Vivian Maier, vera al punto da essere quasi disturbante

domenica 15 gennaio 2017

"Gilgi, una di noi" di Irmgard Keun

Merito all'Orma Editore per aver pubblicato un libro di straordinaria intensità quale 'Gilgi, una di noi'. Censurata nel 1931 in Germania, tra i libri messi al rogo nel 1933 dai nazisti, l'opera della Irmgard Keun torna nella sua interezza al lettore ed è con un sussulto dell'anima che pagina dopo pagina la narrazione si fa concreta e Gilgi, la protagonista della storia, diventa davvero "una di noi".
Fa la sua comparsa sulla scena come una indomita ragazzina determinata ad avere successo, metodica, piena di certezze e poco avvezza a perder tempo. Decisa ad essere indipendente, studia, lavora, si cuce da sola gli abiti, ha un suo stile e una sua personale morale. Nella Germania travolta dalla crisi del primo dopoguerra e scossa dai conflitti sociali e politici - i nazisti sono a un passo dal prendere il potere - Gilgi va dritta per la sua strada fino a che la sua granitica volontà viene spazzata via dall'amore. Inatteso, indesiderato ma impossibile da respingere, e l'amore ha un volto, un nome: Martin. Quanto di più diverso da lei: un girovago scrittore squattrinato che vive di una piccolissima rendita ben al di sopra delle proprie possibilità e che non si interroga mai del domani. Ordine contro disordine. Ma l'amore può tutto, anche travolgere chi è abituato a considerare la vita come un registro contabile: entrate, uscite.  La crisi economica incalza. Gilgi perde il lavoro e non ne cerca un altro, vive come fa Martin, lasciando che le giornate volino via poco più che oziando. Ma per Gilgi i rimorsi della coscienza divorano l'io. È troppo. Mischiarsi alla folla di indolenti e rassegnati che sopravvivono con il sussidio quando si sa di avere la forza di conquistare il mondo corrode l'amore che la lega a Martin. Una gravidanza inattesa e l'incontro con un ex fidanzato schiacciato dai debiti e condannato all'infelicità la costringono a reagire, riprendere in mano la sua vita. Non sarà mai davvero felice se non torna a far parte del suo operoso mondo, se non sente di far qualcosa di utile per la società. E pazienza se dovrà rinunciare a Martin. L'amore aspetterà il suo turno: prima la coscienza, la rettitudine.
La Keun scrive un libro che letto oggi sembra di un'attualità sconvolgente. Descrive la crisi della società tedesca degli anni '20 lasciando presagire il clima di disperazione in cui si anniderà il verme del nazismo. Scava nell'animo della protagonista rendendola così umana. Spensierata e spudorata nei suoi primi convincimenti; persa e spaurita quando è privata del suo quotidiano. Ribelle e mansueta. Due anime. Sarà il contatto con la dura realtà della povertà, dei patimenti dei suoi amici a farle comprendere il dramma del suo tempo, a raffigurarsi le masse per cui tanti giovani si impegnavano a far lotte sociali e politiche rischiando la prigione, salvo scoprirsi coraggiosa davvero al momento di sacrificare l'amore per proteggere la vita che le cresce dentro e riappropriarsi dei suoi sogni.
Un libro di rara fascinazione che pure contiene un che di tragico che lo rende necessario.