martedì 23 settembre 2014

"Il segreto della bambina sulla scogliera" di Lucinda Riley

"Tutti mi chiedono sempre come mai sembra che io non abbia paura. Perché mi sembra che troppo spesso sia proprio la paura a impedire alle persone di essere felici".
Aurora ha il nome di una principessa delle favole ma la sua storia non è scritta per avere un lieto fine. Grania la incontrerà una notte di tempesta su una scogliera, lo sguardo perso nel buio, il corpo intirizzito dal freddo. Viene da una vecchia dimora di cui tutti parlano con timore. Nella sua famiglia, disgrazie e storie di fantasmi, l'ultima sulla bellissima e giovane madre della piccola, morta suicida.
Ma Grania, in fuga dalla perdita del suo bambino e dall'amore della vita da cui si sente tradita, vede nella piccola solo un essere in cerca di aiuto, affetto. Sarà lei a donarglielo, a conquistare la sua fiducia, a farla sentire una bambina come altre, a regalarle la famiglia che le è sempre mancata. E Grania scoprirà che Aurora in fondo fa già parte della sua famiglia, lo dice il suo cuore e un mucchio di vecchie lettere che raccontano di una donna straordinaria, del suo coraggio e del suo amore indiscusso per una bambina venuta da lontano. Attraverso le due due guerre mondiali, tra Londra e la vecchia Irlanda, nobili famiglie e domestici dal cuore d'oro, sacrifici, sogni e passioni dolcissime Grania ricostruirà il passato della sua famiglia, perdonerà colpe taciute, aprirà il suo cuore all'amore più puro, fino a scoprire che è possibile perdonare, perdonare se stessi per troppo orgoglio, vincere la paura e l'insicurezza per donarsi alla speranza di un futuro carico di promesse.. perché per amore si è in grado di fare qualsiasi sacrificio.

Un lunghissimo romanzo costruito pagina dopo pagina per attanagliare il lettore in una narrazione complicata, dove ogni minimo particolare non può essere lasciato al caso a rischio di apparire forzato. Una storia che a prescindere dalle intenzioni dell'autrice si perde nell'anonimato di una scrittura troppo simile a tante altre. 

lunedì 22 settembre 2014

"La donna è un'isola" di Audur Ava Olafsdottir

"Sono molti, gli eventi carichi di conseguenze che possono accadere a una donna nel breve arco di una giornata. La maggior parte degli errori si commettono in un attimo, si contano nell'ordine di secondi: una curva sbagliata, il piede sull'acceleratore anziché sul freno, un sì al posto di un no, o di un forse. Invece, è molto raro che gli errori siano il risultato di un concatenarsi di decisioni logiche. Ci sono donne, ad esempio, che si ritrovano a un pelo dall'amare con tutta la loro anima, essere proprio sul punto estremo, senza averci riflettuto neanche per un istante".
Così ad una donna inarrestabile, caotica, a volte un po' originale, può capitare nella stessa giornata di lasciarsi convincere di consultare una chiaroveggente, pensare di poter tenere insieme amante e lavoro, piegata dal senso di impotenza e al tempo stesso bisogno di riempire un vuoto che non ha nome e accettare di essere lasciata per una donna che presto sarà quello che lei non desidera essere: madre. Salvo ritrovarsi pochi giorni dopo a rimettere insieme i cocci della sua vita con un viaggio insolito e improvvisato, quasi una fuga, con un compagno inatteso: un bimbo di quattro anni, un bimbo speciale, con piccole disabilità fisiche, un bambino di cui prendersi cura, di cui essere responsabile.
Un viaggio in apparenza senza meta, di libertà, esperienze, errori, incontri fortunati, magici, irreali. Un viaggio che sa di rinascita e riconciliazione. Un viaggio per fare pace con il proprio passato e luce sul presente. Un viaggio per imparare il senso della parola cura. Un viaggio per volersi bene ed assaporare tutta la bellezza della vita, perché nessuno è sempre e solo un'isola.
Un romanzo inatteso, a tratti incerto nella scrittura, non sempre capace di rendere a meglio l'effimero di un tempo che consuma sentimenti e produce incertezze, con sprazzi di emozione e sensibilità che rivelano la bellezza di gesti semplici e condivisi, come la cucina o il cucito in una piccola comunità ai confini del mondo abitato che non ha dimenticato il valore dell'accoglienza.

domenica 21 settembre 2014

"La musica provata" di Erri De Luca

"La scienza cerca nei calcoli le regole che governano il pianeta. A Napoli s'impara che la macchina mondo è un'orchestra musicale. S'impara ad andare a tempo, stare in una partitura".
E la musica è in testa da sempre in Erri De Luca, mosso all'intonazione a forza di fatica, studio e infinito amore materno. E la musica accompagna consapevolmente e non la vita di ognuno di noi, di più cuce i ricordi, rimargina ferite, cura l'anima, illumina di sorrisi, si fa compagna, stordimento, lotta, stimola fantasie, giochi, pensieri. Di certo è sempre presente, provata, cercata voluta, necessaria a volte a dar forma e forza alle parole e sprovata, ovvero "urgente, che non chiede permesso, sta sopra le righe e sopra i toni, quella che svuota i polmoni e strizza gli occhi e l'anima, generosa e irriverente". Un po' come la vita.
Il progetto de "La musica provata", libro e dvd, è di una bellezza gentile. Le storie che De Luca ha tutte scritte nelle rughe del suo volto antico e negli occhi chiari come il mare della sua Napoli, riflettono a perfezione le note della musica, canzoni prestate da un secolo generoso di note e passioni e canzoni nate intorno a parole necessarie a raccontare storie spesso taciute dalla vergogna del nostro tempo: guerre, migrazioni, ingiustizie. Ma c'è anche il tempo della memoria privata, di una famiglia capace di trasmettere emozioni, desideri e impellenti moti di libertà.
Con voci amiche di attori, scrittori, cantanti il percorso corre veloce, improvviso "sono piovute le musiche, ognuna stava in grembo a qualche nuvola. Ogni canzone è stata prima scroscio e le sue note gocce".
La parole di De Luca si sposano alla musica di Di Battista, alla voce di Nicky Nicolai e si colorano di bellezza.

venerdì 12 settembre 2014

"Come fossi solo" di Marco Magini

"Sparo, sparo per non sentire più quelle urla, sparo perché non posso non sparare, sparo perché non voglio ricordare chi sono veramente, chi sono diventato".
Srebrenica, metà luglio 1995.
Dieci, cento, mille corpi scivolano per terra, ammonticchiati in un angolo come fossero meno che carne da macello. Ed è per coprire le voci strozzate di paura, rabbia, orgoglio, per salvare la propria vita e quella della propria famiglia che Drazen spara. Sa che è sbagliato, sa che quel gesto atroce segnerà la sua fine di uomo, mangerà la sua coscienza, irriderà la sua vita di lì in poi, sa che ipotecherà il futuro ma non ha altra possibilità. E' un uomo solo, vile, impotente.
Così Dirk, casco blu olandese, testimone del massacro degli innocenti che bagnerà di sangue la città sotto il controllo del contingente Onu e tingerà di vergogna l'Occidente tutto, silente e altero nei suoi palazzi di vetro. "Obbedire è non pensare", ripete ossessivamente Dirk, illudendosi di fingersi utile per sopravvivere al nulla di mani che non possono usare arma alcuna per difendere chi chiede aiuto, protezione.
Così tempo dopo Romeo Gonzales, giudice al Tribunale penale per la Ex Jugoslavia incaricato di far luce sui colpevoli dei crimini di guerra. Salvo scoprire che il crimine si cela nelle carte di una burocrazia sterile che non sa leggere le pene di chi non ha alibi per sottrarsi agli orrori della guerra.
In fondo "quella che noi siamo abituati a chiamare storia non è altro che l'insieme delle azioni di grandi uomini, siano essi esempio di grandezza assoluta o sintesi di malvagità estrema. Ma il motore della storia è un altro. Il motore della storia sono i milioni di uomini che lottano con le loro inadeguatezze, con le loro paure e le loro ambiguità. Persone che non prendono decisioni nette, ma che fanno del loro meglio. Magari sbagliano, magari reagiscono troppo tardi, ma comunque cercano di resistere ai loro istinti e, anche se non sempre l'hanno vinta, scelgono di andare controcorrente per continuare a sentirsi umani".
In quei giorni, mesi, anni nei territori della Ex-Jugoslavia in un tempo che credevamo di pace, molti, troppi uomini hanno smesso di sentirsi umani per essere vittime o carnefici, lasciando inquieti tutti quelli che pur imponendosi di non vedere hanno sentito lacerarsi qualcosa dentro.
Marco Magini trasforma i fatti in pagine di un romanzo che lacera dentro a distanza di tempo, costringendoci a confrontarsi con la banalità del male, a sporcarci duramente la coscienza con quelle scene di stupri e assassini di massa che credevamo relegati in un'epoca lontana. Lo fa indagando con semplicità, veridicità e pathos l'animo dei protagonisti di quei giorni, uomini, uomini lasciati soli, cui guerra e odio hanno strappato la speranza. Un romanzo intenso e necessario.