sabato 12 agosto 2017

"Il posto" di Annie Ernaux

"Sono scivolata in quella metà di mondo per la quale l'altra metà è soltanto un arredo".
Una figlia racconta il padre. Dopo la sua morte. 
Il tempo della guerra. La fatica del vivere. I sacrifici del lavoro. L'aspirazione a mettere da parte del denaro per emanciparsi dalla condizione di operaio.
La Francia di provincia. I modi semplici. Le abitudini. I gesti ripetuti a raccontare di un mondo lontano in cui ogni cosa è forma. E presenza. E ancora forma.
L'orgoglio inespresso per una figlia che ama studiare e che insegnerà, viaggerà, sposerà un borghese e quasi dimenticherà il paese natio, il genitore ombroso e severo il cui viso si apriva in un sorriso talvolta e il cui cuore era stato da sempre generoso.
Fino alla beffa della morte, mentre nel suo bar si serviva un pastis e ci si interrogava su quale fosse il proprio 'posto' nel mondo.

Se esiste scrittura prossima alla perfezione nel linguaggio oggi viene dalla Ernaux.
Lirica e intensa pur scarna nella sua forma, evocativa, prossima al lettore che tende a rievocare, a confrontarsi con il vissuto della scrittrice comune a molti lettori.
Riandare ai tempi del secondo dopoguerra, confrontarsi con un pensare comune che dava valore solo ai bisogni primari, che fuggiva da ogni esperienza che potesse mettere a rischio lo status quo appena consolidato e valutasse finanche con cinismo l'alterità è argomento principe di una scrittura che da personale si fa universale.
Impossibile non lasciarsi coinvolgere dalla Ernaux. Bastano poche frasi, i dettagli, per decretarne la grandezza: "A misura delle privazioni, un'immagine: un giorno, è già buio, in una vetrinetta, l'unica illuminata di tutta la strada, brillano delle caramelle rosa, ovali, spolverate di bianco, in sacchetti di cellophane. Non ne avevamo diritto, c'era bisogno della tessera annonaria".

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