sabato 5 dicembre 2020

"I pesci non esistono" di Lulu Miller

Lulu è solo una bambina quando chiede al padre che senso abbia la vita.

La risposta, “nessuno”, la spingerà a fare di tutto per contestarlo, ripudiare parole che hanno il senso di qualcosa di inoppugnabile, irrevocabile. Non può semplicemente essere lasciato tutto al caos che irrompe e distrugge la vita degli uomini, non ci si può arrendere al concetto che non serva a nulla opporsi, reagire agli incidenti, gli imprevisti che costellano l’esistenza. E allora quando Lulu si imbatte nella vita di David Starr Jordan tutto sembra cambiare. Impossibile non riacquistare fiducia al cospetto di una figura leggendaria per il mondo scientifico internazionale, capace di partire da un piccolo paese della provincia americana a metà dell’Ottocento per diventare tra i più noti tassonomisti del mondo, scienziato, esploratore, pedagogista, docente universitario, il primo preside della Stanford University, capace di forza e resilienza non comuni.

“Una volta che la disavventura è passata smetto di preoccuparmene”, così alla morte della moglie, così al cospetto del terremoto che nel 1906 distrusse buona parte della sua collezione di esemplari sotto vetro, migliaia e migliaia di pesci catalogati in viaggi su mari in tempesta, in condizioni di viaggio estreme, così alla perdita dell’amata figlia che sentiva così simile a lui.

David Starr Jordan manteneva saldi i nervi e semplicemente ricominciava. Ricominciava a viaggiare, aveva recuperato con pazienza i pesci sbrindellati sul pavimento della Stanford, si occupava di tutti i dettagli, osservava tutto il mondo circostante e catalogava, sempre, come aveva fatto sin da piccolo, quando con il naso all’insù guardava le stelle o disegnava le mappe, quello l’aveva salvato dal dolore che l’aveva colpito alla perdita dell’amato fratello maggiore, morto nella guerra di secessione. Avere qualcosa da osservare, codificare, dare un nome a quello che non l’aveva.

Ma bastava questo a fare ordine anche nella vita delle persone? A placare la rabbia, il dolore? A dare forma al vuoto che spesso travolgeva una persona. Era accaduto a Lulu di sentirsi spaesata, persa a un tratto della sua giovane vita, non sapere cosa fare, guardarsi intorno e sentirsi impotente, fragile, non essere in grado di perdonare i propri errori.

Coraggio, determinazione, un progetto fermo. Questo sembrava aver riempito ogni giorno la vita di Jordan, che aveva ricostruito una famiglia, ripreso a studiare, viaggiare, porsi obiettivi.

Operosità, costruzione di un sé fiducioso, una prospettiva decisa, obiettivi a stretto termine, la certezza del successo, questo propugnava Jordan, e dopo di lui nel ‘900 molti hanno teorizzato la concretezza della proiezione positiva di un sé egotico, ma funzionava davvero? E soprattutto Jordan era davvero la persona che diceva di essere, un modello a cui tendere?

Nella sua ossessione su Jordan, Lulu si imbatte in un uomo deciso a tutto pur di mantenere il potere, finanche – sospetta qualcuno – l’omicidio della donna che aveva patrocinato il suo successo. Un uomo che osteggiava apertamente chi metteva in dubbio i suoi metodi, invidioso, fino a tarda età compiaciuto della sua fama, e che aveva sposato idee sempre più estreme, su tutte l’eugenetica.

E’ leggendo delle idee orribili in cui Jordan credeva e divulgava: la sterilizzazione forzata di individui ritenuti inadatti a vivere in società, che Lulu riflette sul caos personale che ha travolto la sua vita al punto di rimettere tutto in discussione, ripensare alle parole del padre, alla sua infanzia, a Darwin, spesso così frainteso. “Non può mai esserci un solo modo di catalogare gli organismi della natura”, perché in “ogni organismo che osserviamo risiede una complessità che non capiremo mai”.

Eh sì.. “gli esseri umani sono importanti, su piani più tangibili e concreti, per il pianeta, la società, gli uni per gli altri”. E che in fondo non vi sono certezze di quello che stiamo guardando, quindi può capitare di tutto, anche qualcosa di buono. Cosa avrebbe detto David Starr Jordan se qualcuno avesse alfine asserito che i pesci non esistono? Che tutto quello che lui aveva codificato semplicemente, un secolo dopo, i cladisti l’avrebbero messo in discussione?

Lulu Miller fa ordine nella sua vita: Jordan non è più il mito della sua infanzia, i pesci non esistono, e sì “ se riesci a vedere oltre i limiti dei risultati che vuoi ottenere, ti aspetta qualcosa di migliore”.

Biografia, saggio, romanzo, “I pesci non esistono” è una sorpresa. Un libro che fa riflettere, che scava a fondo nella vita della protagonista che ritroviamo per certi versi in noi. Un libro a tratti persino molto divertente, e illuminante per comprendere la società americana [anche attuale] e per converso il mondo intero. E’ più facile fermarsi alla superficie delle cose che impegnarsi nella complessità dei singoli.

Un libro illuminante.

venerdì 27 novembre 2020

"Una donna quasi perfetta" di Madeleine St John

Un bistrot, una coppia che beve del vino flirtando, una donna che li guarda.

Simon e Gillian sono amanti da alcuni mesi, stanno bene insieme, non si sono promessi nulla se non vivere il momento. La donna che li fissa è Lydia e sta per scombinare l'idillio. Perché Lydia è una cara amica di Flora, la moglie di Simon. La figura assente dalla scena. Vera protagonista della storia, Flora è madre attenta e premurosa di tre figli, ha un lavoro impegnativo che le piace, cura la casa e ama suo marito eppure avverte che non tutto è come dovrebbe andare, il bisogno di fede latente che si riaffaccia sembra essere l'unico appiglio gentile a giorni di ansia. Il dubbio di non essere abbastanza la tormenta, e il marito spesso assente fino a tardi che ironizza sulle sue manie di perfezione, sul suo rapporto con la fede è un piccolo tarlo che scava buchi nella parete di felicità che Flora ha costruito nel tempo.

Felicità.

Tutti i personaggi del romanzo della St John sembrano approcciarsi all'idea di felicità con fatica, bisogno struggente. Case molto belle,   vite in tiro, vacanze nella douce France, aspettative ma anche progetti e duro lavoro. Tutto inscatolato in ruoli codificati. Simon che si lascia andare ad una relazione senza avvertire la colpa verso Flora e la famiglia messo alle strette dallo sguardo indagatore e giudicante di un'altra donna, Lydia, amica di Flora che pure, con la stessa oculatezza con cui fa acquisti, conti e progetti, mette alle strette Simon. Così Gillian impermeabile alla fine della storia con Simon, sempre centrata su di sé, sui propri obiettivi e come raggiungerli.

La St John descrive una donna quasi perfetta, Flora, la sua famiglia, i timori taciuti alfine in una domenica al museo, davanti a un dipinto che ispira la speranza di un incedere lento nella vita, così prossimo a tanti, che sì.. somiglia persino alla felicità.

"Uno deve decidere per sé il meglio che può" e quel meglio, giorno dopo giorno, è un bacio furtivo che sa di fuga, un pensiero di ribellione, uno sguardo attento verso chi abbiamo accanto, l'idea stessa di preservare la serenità di una famiglia.

Capace di una scrittura così attenta al personale, agli umori dei personaggi, ai particolari che svelano le peculiarità dei protagonisti Madeleine St John regala al pubblico un libro prezioso, leggero, di cuore.

Donne fragili in apparenza che con forza invece si mettono in discussione e relegano in un angolo le paure che spesso abitano l'uomo.

domenica 22 novembre 2020

"Il paese dalle porte di mattone" di Giulia Morgani

“Cosa volevate?” “Quello che vogliono tutti. Cose semplici, ora così lontane. Amare, sperare. Vivere. Confidando che il tempo cura ogni dolore”.

Giacomo è un giovane capostazione al suo primo incarico. Centunoscale è il piccolo paese a lui destinato. La guerra alle spalle e un amore sincero a cui anela tornare presto. E’ pieno di speranze quando arriva al piccolo paese avvolto da un coltre di nebbia. L’unica persona che è con lui sul treno è una donna che cerca di dissuadere la sua permanenza. “Non abbiamo bisogno di nessuno”.

Giacomo sembra non farci caso, non ha intenzione di lasciarsi scoraggiare benché la nebbia, il silenzio e l’abitato spettrale sembri suggerire altro. Poco più di un presagio. Ad ospitarlo due fratelli in una casa che nessuno vuole nemmeno indicargli. Teste basse e sguardi impauriti. E infatti sin dalla sua prima notte al paese rumori violenti, grida, un battere incessante sembra squarciare il suo sonno. Ma il giorno porta ristoro e tanta voglia di fare. Giacomo è deciso a far rinascere la piccola stazione abbandonata e sul punto di crollare. Ma intorno vi sono poco più che macerie e nessuno disposto ad aiutarlo.

Il paese è diviso in un abitato di vecchie case pressoché diroccate e disabitate e un piccolo centro nuovo. Solo Roberto, un bambino dagli strani capelli grigi sembra rivolgergli la parola più incuriosito dai treni che dal giovane venuto da lontano. In paese nessuno è ben accolto. Ogni presenza estranea è scoraggiata, sembra che tutti siano ostaggio di un incantesimo. Le case del borgo antico celano anime incastrate nel tempo, quasi tutti coinvolti in tragedie prossime impossibili da dimenticare, di cui è più semplice accusare la stregoneria, la malattia che l’orrore della guerra, dell’uomo che ignora quanto la perdita di piccoli innocenti possano stringere un intero paese nel silenzio di anni di pregiudizi, rinunce, dolore che ammanta tutto come una coltre di colpe collettive.

Giacomo è deciso a capire, a spiegare e spiegarsi tutti quei misteri e a sfidare il pregiudizio, la malattia aprendo il suo cuore alla speranza che si possa tornare a desiderare le cose semplici. A riunire il piccolo paese tutto intorno alla stazione, lì una fotografia aveva fissato l’ultimo momento felice della comunità, e lì si sarebbe offerta a tutti la possibilità di un quotidiano di speranza. Per Roberto, per il sarto, per la maestra, per l’anziano bottegaio, per il fornaio, per il prete che aveva smesso di celebrare scosso dalla tragedia di cui era stato testimone, la fragile Malvina, i suoi fratelli, il vecchio capostazione e tutti quelli che avevano smesso di vivere, vittime di rabbia e dolore, decisi a nascondere dietro una parete di mattoni i ricordi felici, la vita di un tempo e tutti i sogni perduti. E alla fine l’ostinazione di Giacomo, era stata ripagata, in un tempo che aveva ripreso a correre, minuto dopo minuto mentre crollavano le pareti di mattoni e i sogni tornavano a vivere e le voci tornavano a risuonare nel paese come la musica, i colori, semplicemente la vita.

Smettere di guardare all’altro come nemico, spiegare e accettare quello che non si conosce, superare il dolore e perdonarsi, questo aveva riportato Centunoscale a vivere mentre il treno allontanava Giacomo dal paese riportandolo alla città, al suo amore, alla sua di vita che cominciava davvero. Sembrava che il suo compito lì fosse finito, quando era arrivato nemmeno sapeva di averne uno, di certo non così impegnativo, ma Giacomo si apriva alla vita, sempre, aveva fiducia negli altri, condivideva il bene perché solo quello conosceva. Ma Centunoscale, la tristezza dei suoi abitanti, quei mattoni che avevano imprigionato la vita, li avrebbe portati con sé, sempre.

Esordio interessante quello della Morgani, una storia che occhieggia al gotico ma cela tutto l’orrore di cui è capace l’uomo e il dolore che lo soffoca al punto di costringersi ad una vita che è solo dubbio, rinuncia, sospetto, delazione. La narrazione è fluida, intrigante, appassionata come di chi racconta di una storia che è patrimonio di ricordi, atmosfere comuni. E arriva dritta al cuore.


domenica 8 novembre 2020

"Tommaso e l'algebra del destino" di Enrico Macioci


"Il 14 agosto del 2014, Tommaso Rovere, cinque anni e mezzo, fu vittima di tante piccole sfortune che sommate tutte insieme comportarono una sfortuna più grande".

Un auto parcheggiata all'incrocio di strade deserte. È ferragosto. Nessuno cammina, pochissimi sfilano sbadatamente accanto all'auto dove siede il piccolo Tommaso.

Stretto sul sedile posteriore, sul seggiolino che avrebbe dovuto proteggerlo, se non fosse che il padre l'ha lasciato lì solo, l'illusione di allontanarsi per pochi minuti, per correre dalla donna con cui da mesi tradisce la moglie, Sonia, la madre del piccolo Tommaso.

Sembrano lontani i tempi felici, lontani pure i rimorsi di guardare al figlioletto come ad un impedimento. Giorgio Rovere, così si chiama, svolta l'angolo, attraversa un sottopasso, il telefono in mano compone ostinatamente un numero a cui nessuno risponde, la strada e l'impatto con l'auto che lo travolge.

In ospedale non avranno nulla per identificare l'uomo che un medico opera, meccanicamente, come una cosa fatta bene, e basta.

Intanto passano i minuti, le ore e Tommaso capisce che il padre non tornerà. Fa caldo, troppo. Ha sete, fame, sonno. Ha momenti di sconforto, rabbia. Le sue mani sono piccole per liberarlo dalla stretta della cintura di sicurezza. Sente voci, immagina di vedere un compagno d'asilo cattivo con lui, non ha forza di gridare, fuori due bimbi lo guardano poi corrono via e le forze lo abbandonano, come ha fatto il suo papà. E la mamma, l'odore buono dei capelli quando si china su di lui per baciargli la fronte è poco più di un ricordo.

Le ore passano, l'ombra della sera rinfresca la pelle di Tommaso, è sfiancato, fuori piove, no.. diluvia. Un'ombra nera affianca l'auto. Tommaso è piccolo, non sa dare un nome ma sa che è il male, l'abisso da cui non si torna, che ghermisce e lui è piccolo, gli umori del suo corpo impregnano l'abitacolo dell'auto, piange, il corpo freddo si muove appena.

Sonia, la mamma di Tommaso ha lavorato fino al pomeriggio, la rabbia per il tradimento del marito che sente sta per travolgere la sua famiglia nasconde l'inadeguatezza di sapersi infelice a prescindere, quasi che il tempo, la vita le fosse sfuggita via senza sapere come, perché. Non sa raccontare il suo malessere nemmeno alla madre che le chiede del nipotino. È solo per un indisposizione del marito che Tommaso non è con loro. Ne hanno cura da sempre. Sono le parole del nonno che Tommaso continua a ripetersi in auto nei momenti di lucidità. 

Tommaso... che ignora che il padre è in un letto d'ospedale, che ignora che la madre è ferma in auto a poche decine di metri da lui, in attesa di cogliere in fragrante il marito lasciare la casa dell'amante, che ignora con ostinazione senza mai muovere il capo, spostare lo sguardo l'ombra nera che abita la notte, e si confonde alla pioggia.

Tommaso ha cinque anni e mezzo. Ha superato la notte.

Poi "..le circostanze sfortunate a un certo punto terminano, e da lì iniziano le circostanze fortunate. Accade semplicemente, terribilmente così. La sfortuna di uno finisce e comincia quella di un altro".

Con una forza dirompente la scrittura di Macioci incastra il lettore parola dopo parola, pagina dopo pagina. Lo incastra alla sua di coscienza, a quanto l'animo umano soccomba al quotidiano che diventa ordinario, a vite che si indossano come abiti comodi, troppo per essere cambiati, e invece smarriamo il senso profondo dei sentimenti, di quello che conta davvero, delle piccole cose che possono e fanno la differenza.

Che sia lo sguardo di un bambino che rifugge le paure tutte per superare la notte più buia a segnare il passo, è un invito di forza, è una forma di fede assoluta, una volontà di cambiamento, la certezza che a dispetto dell'algebra del destino c'è il desiderio di credere che tutto è possibile.

"Madrigale senza suono'" di Andrea Tarabbia

Un manoscritto trovato per caso, un compositore geniale del Novecento, Igor Stravinskij, e lui, Gesualdo da Venosa, principe e madrigalista tra i più noti, vissuto tra il XVI e il XVII secolo, bollato da fama sinistra di uxoricida e ossessionato dalla musica in cui rifletteva tutti i sentimenti: ansia, dolore, tormento, speranza, espiazione, purezza, gioia, fino allo spasimo.

"...trovare una frase che racchiuda un sentimento, che lo incarceri una volta per tutte in una formula assoluta, che impedisca a chi legge di raccontare quello stesso sentimento con parole diverse da quelle che trova scritte. Questo è il sogno della scrittura. Ma è anche la sua chimera".

In un testo a due voci, tra Stravinskij che prova ad interpretare la musica di Gesualdo adattandola al suo tempo, e quello di Gioacchino Ardytti, autore della cronaca sul principe di Venosa, il lettore si perde consapevolmente. Ogni pagina da romanzo, finzione, si mescola alla storia, alla verità, raccontando di un uomo destinato a governare un territorio a dispetto della sua vocazione naturale a fare musica, in modo innovativo, ignorando le regole scritte per farne di nuove, con effetto dirompente. Gesualdo da Venosa, però ha visto il suo nome macchiato dall'assassinio dell'amata moglie, Maria D'Avalis, rea di averlo tradito. E a breve la sua vita sarà attraversata da dolori, perdite, tormenti. La morte di un figlio in tenera età, il dolore cieco della seconda moglie, l'odio del primogenito che gli rinfacciava l'assassinio della madre, l'ansia del futuro incerto. Un tormento, struggimento, misto a impotenza a dispetto del potere che deteneva che lo facevano l'uomo tormentato che trovava diletto, ristoro solo dalla musica che sperava lo consegnasse alla storia, gli tributasse l'onore che sapeva di meritare.

A fare da sfondo alla storia di Gesualdo da Venosa una ricostruzione storia/scenica si può dire che come la partitura della sua musica racconta con puntiglio un territorio, un tempo, una società, un quotidiano dove trovano spazio le descrizioni persino degli odori, degli umori delle persone. Che siano umili servitori, o il medico di famiglia che sullo studio dei cadaveri improvvisa cure per il suo principe, le guaritrici, o l'uomo di chiesa che promette il perdono divino, soldati, contadini, e lui quel Gioacchino, storpio, vigile e fidato servo sempre al fianco del suo principe, sin dai tempi del convento.

Digressione, falso, o riflesso dell'anima nera di Gesualdo, Gioacchino è voce narrante della vita del principe, raccoglie la sua rabbia, e le sue confidenze, nasconde nei sotterranei il segreto del suo crimine efferato e dallo stesso verrà annientato, null'altro che la coscienza che chiede di essere mondata dal peccato prima di ricongiungersi a Dio.

Un romanzo che è storico, gotico nei toni e nei colori, tratteggiato di densità, gravità e al tempo stesso leggerezza, la stessa che svolazza su una partitura. Racconta l'amore totalizzante per la musica, come la furia amorosa, la determinazione di un musicista ad interpretare e riadattare al meglio una musica lontana per regalarla al mondo, con la capacità di una scrittura che si fa davvero visiva, piena, destinata a catturare l'attenzione del lettore.

Tarabbia indaga l'animo tormentato di un uomo che riflette il suo malessere e il suo essere tutto nelle note e attualizza il messaggio di potenza costretto nell'opera dell'artista geniale e innovatore che fu Gesualdo da Venosa.

domenica 25 ottobre 2020

"La nuova stagione" di Silvia Ballestra

Nelle terre marchigiane sferzate dal terremoto, in paesi che hanno trattenuto la bellezza antica e le asperità di chi abita, cura e vive la terra, due sorelle tornano per vendere le proprietà di famiglia. Nadia e Olga, hanno studiato, lavorato e messo su famiglia lontano dalle campagne duramente lavorate dal padre ma rispondendo all'appello della terra a cui sempre si torna, stanche degli impicci e dispetti dei contadini, di affitti miseri, beghe legali, tasse e delle stramberie di un'anziana madre, si son decise a vendere ignare di dover lottare contro l'atavico spirito maschile campagnolo che reputa poco capaci le donne, da liquidare con poco, dissuadere. Per anni, in un andirivieni tra campagna e città, perse in contrattazioni surreali, tra uffici provinciali, consorzi, notai, due donne reggono il peso di una decisione che coniughi il giusto interesse al sentimento di vendere a chi in qualche modo si prenderà cura di terre amate per generazioni, di più di un territorio che non venga snaturato, abbruttito, che resista agli inciampi della natura e dello scempio dell'uomo.

Di mezzo, storie di donne, sorelle, amiche, operaie, macchiate dal giudizio degli uomini, estromesse, tacciate di pazzia, quando non uccise per la terra, la 'roba,' di verghiana memoria.

La Ballestra racconta l'amore per un territorio ferito e la speranza di un futuro migliore, una "nuova stagione" appunto, più rispettosa, che amplifichi la bellezza ricevuta in dono.

Una narrazione intensa, ironica, intelligente. Empatica, al punto da sentirsi parte della famiglia delle sorelle Gentili.


 

domenica 11 ottobre 2020

"La lotteria dei divi morti" di Susan Swan

 ".. non ho idea di come sia passato dall'essere Dale Paul, la balena dei fondi speculativi, all'uomo che adesso è in grado di vedere come ha rovinato la vita di migliaia di persone e di come ha reso difficile a suo figlio volergli bene".
Dale Paul è un uomo d'affari. Straordinarie le sue fortune, leggendarie le sue imprese. Conosce uomini potenti, politici, personaggi famosi. E' stato l'uomo dell'impossibile ma anche uno sfrontato che ha speculato con i soldi di tanti illusi dal facile guadagno. Dale Paul è senza scrupoli quando fiuta un buon affare, è inarrestabile. O almeno lo è fino a quando il più grosso affare della vita sfuma lasciando sul lastrico migliaia di persone che hanno perso non solo le speranze di un buon affare ma i risparmi di una vita e peggio, i propri fondi pensione.
E allora come una mannaia il Governo gli chiede conto di tutto, l'opinione pubblica reclama una punizione esemplare e le porte del carcere si aprono sull'uomo dei sogni.
Dalle ville sfarzose agli spazi angusti della cella, dai viaggi in giro per il mondo ai pochi passi in cortile nell'ora d'aria, dagli abiti firmati alla divisa del penitenziario, dal lusso al nulla il passaggio è devastante, di più percepirsi come ingiustamente carcerato è impossibile da accettare.
Dale Paul non si arrende all'idea di aver commesso errori, di aver giocato con il denaro e quindi con la vita di altre persone; arrogante, supponente, convinto di essere il migliore, sempre: un solo fare, un solo agire, inarrestabile.
Dagli anni in cui tutto è stato possibile alla crisi economica americana e mondiale dei primi anni del XXI secolo, un passo breve, dove non viene perdonato nulla, tanto più se a rimetterci sono i veterani.
L'uomo che entra in carcere è un uomo che ha lasciato a casa le donne della sua vita: l'ex moglie alcolista, la giovane donna amata, la cugina, la donna che gli ha fatto da madre. E poi Davie, il figlio che si vergogna di lui, delle accuse che lo inchiodano in carcere. Ma non è pronto ad arrendersi Dale Paul, pensa ancora di poter trovare il modo per guadagnare denaro, se non altro considerazione, in carcere. E con le parole, come ha sempre fatto, incanta piano piano tutti, a partire dal direttore del carcere. Insegnerà ai detenuti come cavarsela con l'economia reale, un progetto folle che prevede di scommettere sulla morte di alcuni personaggi famosi. In parallelo la nuova moneta virtuale - i bitcoin -  pagherà le vincite in una lotteria parallela che si gioca fuori e rischia di coinvolgerlo in affari molto più rischiosi.
E nel tempo che scorre lento in carcere Dale Paul ha possibilità di riflettere sulla sua vita, sul suo passato, le persone che hanno segnato la sua crescita, amici, parenti, affetti. La morte della madre prima e del figlio subito dopo sembrano costringerlo ad arretrare dai suoi progetti ma è un illusione, Dale Paul si convince che nulla di quanto accade è reale davvero, non merita la sua sorte, rivendica un ruolo migliore nella società, attribuisce ad altri parte delle responsabilità che ricadono su di lui e si affanna a cogliere l'importanza dei legami familiari.
Su tutto recuperare il rapporto con il figlio che non crede morto. Nella turbolenta sua presenza in carcere Dale Paul sente di essere finito - per una volta - in affari con qualcuno di più pericoloso di lui, qualcuno disposto più di lui a tutto per far soldi, persone per cui la vita non conta nulla e allora fuggire, salvarsi diventa imprescindibile.
Perché nella lotteria dei divi morti adesso c'è il suo nome.
In una disarmante lotta contro il tempo, tra astuzie, violenze fisiche e mentali, schermaglie verbali, ricatti, silenzi e tentate fughe corre l'affare più pericoloso mai tentato dal genio tormentato di Dale Paul, con un riscatto finale inatteso, forse... 
"La prigione ti ha cambiato?" 
"Non sa proprio se il cambiamento che sta vivendo durerà, perché anche lui è spesso attraversato da dubbi e sospetti su se stesso. Qualche volta quei dubbi svaniscono nel nulla, altre volte, invece, è sopraffatto dalla paura che questi cambiamenti lo trasformeranno nell'opposto di quello che spera di diventare e a dispetto delle sue migliori intenzioni tornerà a essere quello che era. Così alla fine, in totale sincerità, non può dare una risposta onesta".

Susan Swan tratteggia un personaggio interessante, difficile da amare. Nervoso, antipatico, con una totale incapacità di relazionarsi in maniera sincera con le persone, a partire dalle persone a cui dovrebbe dimostrare amore, su tutti il figlio che inscena il suicidio per liberarsi dall'ombra maligna della figura paterna.
Dale Paul è un concentrato di tante figure letterarie. E' un uomo del Novecento, un uomo conscio del suo potere, o meglio del potere che può dare, avere e gestire, non solo con il denaro. 
E' interessante come l'autrice insceni, con il doppio racconto del ghostwriter Tim Nugent, l'occasione per offrire un altro punto di vista sulle azioni più significative della vita del protagonista; da cui si apprende come Dale abbia sempre fornito una sua verità o abbia usato determinati eventi per ricattare e usare amici e parenti. Tutto, "pro domo sua". Dimenticando la base dell'essere parte integrante di una famiglia, di una comunità, in senso più ampio di una collettività. Allo stesso tempo vi è un finale aperto che lascia intravedere la possibilità di una redenzione o almeno la semplice accettazione di non poter aver il potere sulle vite altrui.
Un romanzo che racconta con tratti di feroce ironia il nostro tempo, il mare di piccoli pesci che tentano la sopravvivenza sfuggendo agli squali, in un'economia che sfugge i titoli in borsa per affondare nel reale del quotidiano.
Un romanzo che fa riflettere, strappa qualche sorriso amaro, racconta e smonta alcuni stereotipi e lascia al lettore la speranza nel cambiamento.
Non poco. 

mercoledì 23 settembre 2020

"La felicità del cactus" di Sarah Haywood

"A Londra ho costruito una vita perfetta per me. Ho una casa che soddisfa le mie attuali esigenze, un lavoro adeguato alle mie capacità e facile accesso a stimoli culturali. Fino a qualche tempo avevo quello che si potrebbe definire un compagno, anche se si trattava di un rapporto di reciproca convenienza".
Susan ama definirsi così. Efficiente, determinata, insofferente alle finzioni e alle formalità della società, organizzata, indipendente.
Fino a che un giorno il suo mondo perfetto inizia a sgretolarsi. La morte della madre, un testamento che pregiudica l'eredità a favore del fratello, una gravidanza del tutto inattesa. Mentre monta la rabbia nei confronti del fratello che sembra averla estromessa dalla vita dell'anziana madre, al punto da fargli causa, Susan si trova costretta, suo malgrado, a mettere in discussione tutte le sue certezze. 
Abitudini, controllo, programmazione, ottimizzazione di tempi e spazi, l'idea che poco o nulla meriti il sacrificio di intaccare la propria libertà per condividere emozioni, sentimenti, interessi con un'altra persona.
Legami famigliari, amicizie, amore, tutto passa in secondo piano.
Ma è davvero così?
Susan vive sempre in difesa. Si è creata un suo mondo, e non lascia che nessuno vi entri.
È così da sempre. Muri, barriere, per reggere dispiaceri, tradimenti, disillusioni.
Come i cactus che ama, Susan pensa di tenere lontane le persone pungendo con ironia mordace, distanza. Ma gli aculei non sono solo difesa, ma ombra, vita per la pianta e così giorno dopo giorno Susan comprende che la battaglia legale al fratello nasconde la necessità di comprendere davvero cosa pensasse la madre, finanche accettare i suoi segreti, che rimescolano le carte della sua vita, in prossimità del parto, regalandole la forza di perdonare, perdonarsi, concedersi la possibilità di amare, rischiare, fare qualcosa di non programmato, e forse essere felici davvero.
"La felicità del cactus" di Sarah Haywood è un piccolo libro compiuto. Ha una protagonista femminile forte e fragile al tempo stesso, in cui riconoscersi. Dinamiche esistenziali e familiari coerenti, personaggi ben tratteggiati, un finale aperto e positivo. La Haywood impacchetta il tutto in una storia da film che non lesina una morale d'altri tempi. Il libro si legge con lo stesso piacere di un buon Harmony anni '80 solo un po' più strutturato; ha le caratteristiche per piacere, la zia stramba, le cugine impiccioni, il fratello sbandato, la vicina di casa con cui condividere storie mangiando cioccolatini sul divano, e l'uomo misterioso e romantico che aprirà il cuore della protagonista.

sabato 19 settembre 2020

"Finché il caffè è caldo" di Toshikazu Kawaguchi


"Se vuole la gente troverà sempre la forza di superare tutte le difficoltà che si presenteranno. Serve solo cuore. E se quella sedia ha il potere di cambiare il cuore, di sicuro un senso deve averlo".

In un caffè giapponese si dice si possa tornare indietro nel tempo, e non solo. Leggenda. Forse. Ma da più di cento anni in un caffè dove poco o nulla è cambiato, tre orologi alle pareti segnano il tempo: passato, presente, futuro.

Per caso o volutamente chi entra nel caffè sembra non essere più lo stesso. Il cuore in subbuglio, nulla è come prima.

Le regole per tornare indietro nel tempo sono tante, alcune assurde. Tra tutte il limite del tempo concesso scandito dal calore del caffè.

Finché il caffè è caldo.

Ascoltare, rimediare alle parole non dette, perdonare, perdonarsi, sorridere, avere fiducia in chi siede accanto.

E sfidando ogni logica il tempo sembra offrire una seconda possibilità.

Non per cambiare lo stato delle cose. Solo per rivelare che in fondo la vera forza abita già in noi, nel cuore che chiede di essere ascoltato. Amarsi per amare.

Quattro storie di donne si intrecciano nel caffè, Fumiko, Kotake, Hirai, Kei. Il pudore di rivelare i propri sentimenti, perdonare il proprio egoismo, accettare i propri limiti, sapersi amare nel sacrificio.

Mani che stringono una tazza di caffè, afferrare il sogno di cambiare la propria storia, farsi beffe del tempo, fino a scoprire che in fondo basta poco, magari guardare le cose da un'altra prospettiva per essere sereni, felici.

Il libro di Kawaguchi non è un capolavoro, ma è come una carezza lieve, basta a sollevare l'animo quel tanto che serve per capire che c'è sempre la possibilità di volere e volersi bene, a dispetto degli inciampi della vita.

sabato 12 settembre 2020

"Invisibili" di Caroline Criado Perez

Invisibili.
Questo sono ancora oggi le donne.
Dati alla mano, la giornalista e attivista Caroline Criado Perez spiega perché le donne sono sempre un passo indietro gli uomini, scarto per una società che in ogni suo settore ha come unico punto di riferimento l'uomo.
Pagina dopo pagina, l'autrice rivela quanto difficile sia ancora oggi la condizione della donna, addirittura estrema, al limite della sopravvivenza, in molti paesi dei continenti asiatico e africano.
E non ci fanno una bella figura nemmeno i paesi occidentali.
Pensate ai gesti quotidiani, risulta difficile tenere in mano uno smartphone? È pensato per la mano di un uomo. Il sedile dell'auto da avvicinare al volante? Ovvio, la seduta dell'auto è pensata per un uomo dell'altezza media di un metro e ottanta. Con evidenti conseguenze in caso di incidente, va da sé che i crash test sono settati su manichini maschili.
I test sui farmaci? Sugli uomini, le donne non sono attendibili per via del ciclo ormonale. Peccato che proprio gli ormoni inficino l'azione dei farmaci più comuni. E il metabolismo sia diverso. Quisquilie.
Il tempo di cura che una donna dedica alla famiglia, alla casa, figli, genitori anziani? In alcun modo preso in considerazione. Ore in più di lavoro sommato a quello fuori casa.
Le donne si spostano più con metro, bus, treni eppure tratte, orari, frequenza delle corse sono definite sugli orari di lavoro degli uomini che usano più l'auto. Per non parlare della sicurezza, è proprio sui mezzi di trasporto o alle fermate degli autobus che le donne sono oggetto di aggressioni o violenze.
La meritocrazia? Assente.
La sicurezza sui luoghi di lavoro, i dpi (dispositivi protezione individuale) pensati per gli uomini. Adattati malamente alle donne, quando presenti.
Il dolore fisico delle donne magari legato al ciclo mestruale? Bollato come isteria. Ne soffre una donna su tre, spesso diventa invalidante eppure non merita attenzione in ambito medico.
Le diagnosi? Sbagliate quando del tutto assenti.
Si potrebbe continuare all'infinito.
La verità è sotto gli occhi di tutti, semplicemente non la si vuole vedere.
Caroline Criado Perez raccoglie per la prima volta "dati", il primo gap da superare è proprio corredare i fatti di prove, dati, evidenze scientifiche. E quello che mette su è un torrente in piena di informazioni impossibili da confutare.
È un pugno allo stomaco.
"Invisibili" fa male alle donne, rabbia, perché tra le pagine si legge della battaglia quotidiana, silenziosa, che le donne sono tenute a combattere; dell'indifferenza, acquiescenza in cui accade; dell'assenso implicito degli uomini, talmente abituati a 'essere' la parte dominante da ignorare le difficoltà delle donne, loro mamme, sorelle, mogli, amiche, compagne e perdersi il loro sguardo sul mondo, la loro intelligenza, la loro forza, la loro sensibilità.
Un saggio di formazione, che andrebbe letto e diffuso tra gli uomini, per cominciare a modificare la loro percezione della donna nella società, affinché nelle future generazioni non vi siano differenze ma pari diritti per tutti.

Ps. Sfido qualsiasi donna, a fine lettura, a non desiderare ardentemente di picchiare il primo uomo che le capita a tiro.

mercoledì 26 agosto 2020

"Passaggi segreti" di Federico Pace

"Subito prima dell'alba e subito dopo il tramonto" è il momento in cui le strade minori "hanno un fascino intenso, e sono aperte, invitanti, enigmatiche: uno spazio dove l'uomo può perdersi".
Viaggi, di poche ore, giorni. 
Attraversano le stagioni come attraversano i luoghi. Abitati, o arresi alla furia del tempo che passa. 
Tempo, nel viaggio, dilatato, magico, inatteso. Tempo condiviso, amato, disatteso. Tempo che si fa dono, rivelazione come il viaggio tutto. Che sia ispirato dal racconto di un amico, che sia riflesso negli occhi di una donna, che sia ispirato da un contrattempo, una strada sbagliata, una coincidenza perduta. Viaggio come regalo, come venire al mondo all'improvviso, sogno, messaggio per noi, noi soltanto, capitati in un luogo sfuggito agli altri, ai più, che parla e racconta chi ha abitato il luogo, chi lo ha attraversato di sentimenti.
Che sia un lago o nel fitto di un bosco, su una strada statale che attraversa un paesaggio lunare o nella laguna, tra le saline o dall'alto di una scogliera o semplicemente nella prossimità di un giardino, tutto può rivelare un passaggio segreto che ci apre il cuore inondandolo di sensazioni uniche. 
Alcuni luoghi meravigliosi e misconosciuti del nostro paese diventano l'occasione di viaggi, riflessioni, scoperte. Un segreto da condividere sull'onda di emozioni semplici che restituiscono valore alla parola tempo.
Un breviario da usare come guida tascabile per viaggiare fuori e dentro di noi, un libro che fa bene all'anima, scritto con grazia ed equilibrio di penna.
"I luoghi, quelli in cui siamo nati, quelli che scegliamo come d'adozione, quelli in cui torniamo infinite volte, i modi per raggiungerli, le strade, le vie, quelle che ripercorriamo una o più volte, si innestano con tanta precisione, con così ostinata forza dentro di noi, che finiamo per somigliargli".

sabato 15 agosto 2020

"Gli anni del nostro incanto" di Giuseppe Lupo

La rivista tra le mani di una donna.
La foto di una famiglia in Vespa. Un bambino di sette ani circa, il papà che guida, la mamma in equilibrio precario, una mano abbraccia lui, l'altra tiene ferma una piccola di pochi mesi. Sguardi sereni, la bellezza sui loro visi di giovani felici, l'aria di festa, la vita addosso.
La foto cattura un momento privato di una famiglia come tante negli anni '60 nella Milano che abbaglia tanti italiani in fuga dalla miseria di una guerra che si porta addosso come un abito stretto.
La foto rievoca nella donna tanti ricordi, troppi, inattesi e la sconvolgono al punto da farla precipitare nel silenzio prima, smarrimento poi, amnesia infine.
Mentre la nazionale di calcio di Bearzot trascina il paese tutto verso la gioia sfolgorante di una vittoria mondiale, una ragazza aiuta sua madre a ricordare, a ricostruire la sua vita a partire da quella foto.
Che racconta della ribellione di un figlio del Sud ad una vita già scritta, di una grande città che accoglie ma chiede sacrifici e duro lavoro tra mille contraddizioni; dell'amore per una donna e i figli da accontentare in tutto; la felicità a portata di cambiale all'Upim; gioie materiali che pure non bastano a rattoppare il cuore ferito dai dolori: il mancato perdono del padre morto all'improvviso, le vacanze al sud che lasciano la malinconia addosso, un figlio che sposa il silenzio dell'abito talare prima e l'indefinito della lotta armata poi verso uno Stato che si avverte nemico più di quello stesso Dio cercato e non trovato: "Dio è morto", risuona in una canzone. E come un temporale improvviso il lutto abita ancora la famiglia e il cielo si tinge di grigio in una città che non luccica più, è tempo di austerity. Gli anni di piombo trascinano sogni, sorrisi, speranze verso l'oblio del tempo che fu, di lavoro e infinite possibilità.
La foto stretta tra le mani, il sorriso di una donna in un letto d'ospedale mentre Paolo Rossi tira calci ad un pallone e conquista l'Italia intera.
I silenzi all'improvviso si riempiono delle parole di una ventenne che restituisce alla madre il senso del tempo e della vita, e nel farlo ricompone la propria, elaborando lutti e partenze, segnando i confini del possibile da quelli della realtà, strappata agli occhi immobili di un fratello che ricompare nell'unica notte in Italia in cui tutto può accadere, la notte della finale dei mondiali di calcio.

Giuseppe Lupo scrive una storia evocativa che è parte di tutti noi, racconta l'Italia, la "nostra" storia. Lo fa attingendo alla musica - note e parole che danno voce ai personaggi della storia - agli eventi che segnano il quotidiano di uomini e donne, progressi scientifici, elettrodomestici come simbolo di un benessere a rate, l'emancipazione della donna che lavora e studia, i viaggi nello spazio, un tempo nuovo che ispira, le luci della città che riflettono l'utopia di un mondo migliore, un vanto verso chi è rimasto indietro, in paese, che aspetta che il miracolo italiano bussi alla porta di casa.
Un libro di tenacia emotiva, che racconta gli anni di un incanto che in tanti hanno vissuto. L'incanto di una vita spesa a credere che il futuro sarebbe stato migliore. Un incanto spezzato dagli anni di piombo e ricomposto un gol dopo l'altro su un campo di calcio. "Davanti a te si è aperto un orizzonte di nebbia, a me è toccato il compito che spetta ai sopravvissuti: riempire il silenzio con le parole, lottare contro il vuoto. Qualcosa si salva".

sabato 8 agosto 2020

"Riccardino" di Andrea Camilleri

'Riccardino' è l'ultimo libro di Andrea Camilleri, edito  dalla Sellerio, a distanza di un anno dalla sua scomparsa, come da disposizioni dell'autore. Scritto nel 2005, segna l'uscita di scena del commissario Montalbano. 

Scritto in un momento di stasi dell'autore, stanco fisicamente e forse un po' accerchiato dal successo mediatico dei suoi gialli e dalle piccole e grandi invidie del mondo letterario, 'Riccardino' ha il pregio di essere un buon romanzo, di certo un chiaro esempio della narrativa di Camilleri.

'Riccardino', sottoposto a una sorta di upgrade nel 2016, è un romanzo davvero interessante, non solo per la trama, per il giallo in sé, ma per la comparsa al fianco di Montalbano del suo doppio, l'Autore. Espediente non nuovo in letteratura, che pure dà forza alla narrazione, che a tratti si fa catartica, di certo mai autoreferenziale.

Montalbano non le manda a dire all'Autore, che troppe volte sembra suggerire la strada da prendere. E che si fa sua coscienza, rimproverato di essere troppo quiescente al cospetto dei poteri forti, quasi un voler ricordare che troppe volte il giallo affondando nella realtà ha lanciato invettive, reprimende sull'uso distorto del potere, sul peso deviante della politica, sui media corrotti che ricercano audience, creano mostri, affondano la verità, dimenticando che le indagini spesso si fermano alla superficie delle cose. In questo Camilleri per il tramite di Montalbano viene etichettato politicamente, e a discapito dei suoi critici e detrattori, acquista forza, carattere, dimensione.

Le indagini di Montalbano sono ispirate dalla cronaca; brutale, violenta, banale nel riproporre schemi antichi, e il quotidiano è fatto purtroppo di gente che ancora non vede, non sente, non parla. Ad ogni livello della società. Per paura, superficialità, ignoranza.

"Riccardino" è l'ennesima dimostrazione che quasi mai la verità è quel che appare. Davvero dietro la morte di un banchiere tanto amato e apprezzato c'è un movente passionale? Un marito tradito, vittima della furente gelosia? Davvero l'amicizia ventennale di quattro uomini non cela altro? Traffici, ricatti, danaro, gelosia, vendetta. Davvero si può sopportare a lungo l'arrogante potere di un uomo che si crede inattaccabile?

In un romanzo in cui tutti i grandi comprimari di Montalbano, Livia, Mimì, scivolano nell'ombra, emerge nitida la stanchezza di un uomo di legge, provato della realtà capovolta che vede i giusti calpestati e i corrotti al potere, che pure non molla il suo modo di fare e intendere l'indagine, che spera nella forza delle parole e degli esempi e che non smette di lottare, al punto di non lasciarsi più definire come personaggio ma di evolvere, acquisire coscienza e decidere per suo conto come sottrarsi all'autore e al suo pubblico.

Anche questo, espediente letterario. Piccolo segno di ribellione. Ed è la svolta, e al tempo stesso, la parola fine alle indagini del commissario Montalbano.

domenica 26 luglio 2020

"La lettrice testarda" di Amy Witting

"Era un passo avanti verso la persona che desiderava essere ma che non sapeva ancora descrivere a parole". 
Isobel è così a nove anni. 
Lo sarà negli anni a venire. 
Una bambina timida, che cerca rifugio nei libri, nelle parole, per estraniarsi dal mondo, fuggire la rabbia che l'assale quando sua madre la rimprovera, le nega il diritto ad un'infanzia serena, ai sorrisi, ad un cenno di affetto. 
Impara a tacere Isobel, a dominare l'istinto di ribellarsi, rivendicare attenzioni quando intorno tutto parla di normalità negata. 
Le parole prese in prestito dai libri diventano lo scudo da indossare per reggere lo sguardo nevrotico e ossessivo della madre per cui è solo un fastidio. 
E finirà per cercare nei libri, risposte e strumenti per interpretare la realtà, comprendere e andare avanti, reggere ai dolori e alle perdite, persino quella della madre.
Sedici anni, lavorare per mantenersi. Tessere relazioni sociali, interazioni umane, sprovvista di riferimenti che non siano suggeriti dai libri. 
Una pensione, le persone che la abitano, uomini e donne, regole, spazi condivisi o angusti eppure vitali per la crescita di una piccola donna che nel confronto con un gruppo di giovani studenti, conosciuti per caso, ritroverà se stessa, la curiosità, l'amore per la lettura, la poesia e il coraggio di affrontare il suo passato, i luoghi dell'infanzia, perdonare se stessa, interiorizzare il dolore per spiccare il volo, scambiare il libro, suo amuleto di sempre, con uno nuovo: un quadernino, dove scrivere, raccontare, raccontarsi. 
Emancipare se stessa ed essere libera finalmente di essere, fuori dagli schemi, dalle convenzioni, dai dettami della società. 
"C'erano parole che potevano essere portate in giro come talismani". 
Amy Witting, ne 'La lettrice testarda', edito in Australia negli anni '80 dopo diversi rifiuti, sgretola i luoghi comuni e disorienta per l'irriverenza di proporre il personaggio di una madre cattiva, incapace di amare. Per sopravvivere a lei, alla vita in famiglia, alle angherie a scuola la piccola Isobel si ritaglia a misura l'abito di un mondo di parole, grazie ai libri, dove essere serena, libera, e respingere il dolore. Resilienza ante litteram quella della piccola Isobel che rifiuta l'omologazione, e con coraggio chiede di essere felice, indipendente. 
Un romanzo di formazione, un grido di libertà.

venerdì 24 luglio 2020

"Il colibrì" di Sandro Veronesi

"Tu sei un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo". 
Marco Carrara è il colibrì. 
Intorno tradimenti, malattie, dolori, perdite terribili. Altri ne resterebbero travolti, schiacciati. Non Marco Carrara. 
Famiglia borghese e imperfetta, l'amore sospeso per Laura, il suicidio della sorella Irene, il rapporto disilluso con il fratello, la fine del matrimonio, l'amata figlia Adele, l'amicizia inattesa con uno psichiatra, punto fermo, e poi lei, il miracolo, il motivo per cui resistere, l'obiettivo a cui tendere, la meraviglia: Miraijin. 
La nipote, il nuovo che irrompe, che preserva la vita, la verità, in una società che indossa l'abito della libertà, stracciandone le vesti. 
Per Adele prima, Miraijin poi, Marco resisterà ad ogni provocazione della vita, spiegherà ogni sfida del destino.

"Il colibrì" è un libro che smantella ogni punto fermo nel lettore. 
Il suo protagonista, Marco Carrara, è un uomo buono, un uomo che sopporta ogni infrazione della vita, che non si macera dentro e che non veicola vendetta, rabbia. Cerca di capire, tiene in piedi legami persi, perdona e va avanti. 
Ama, si dedica alla figlia, alla nipote. Ne è riamato. Protegge e cura i genitori, con una pietas che commuove e tornerà negli ultimi istanti della sua vita, una scelta laica che ispirerà una forma di congedo che spiegherà ogni assenza e l'amore non vissuto. 
Sandro Veronesi è uno scrittore generoso. Regala spunti di riflessione. E indaga con scrupolo l'intimità di un uomo e del suo cuore sospeso, un uomo giusto che pure ha peccato, sbagliato, salvo trarre in ogni suo fare, dire o non dire, un insegnamento. 
La narrazione di Veronesi è intensa, attenta ad ogni dettaglio, espressiva, ricca di riferimenti.
È poetica, è evocativa.
Liste, citazioni, liriche, canzoni, tutto il necessario a dare peso alla vita di un uomo. E da ogni parola arriva l'amore per un personaggio e la sua storia. 
Marco è parte di noi.
E Miraijin diventa il nostro miracolo. 
Di tutti i lettori, ammaliati dal coraggio di un uomo fermo, un capitano che tiene la rotta nel mare in tempesta. 

martedì 21 luglio 2020

"Miss Austen" di Gill Hornby

"Le forme dell'amore sono numerose quanto gli attimi del tempo". 
Prendersi cura della sorella, e poi preservarne la memoria. 
Questo il ruolo di Cassandra Austen. 
A distanza di molti anni dalla sua morte, Cassandra sarà nel vicariato di Kintbury, timorosa che nel trasloco di Isabella Fowle, figlia del defunto reverendo, vadano perdute o peggio in cattive mani, la corrispondenza tra Jane ed Elisabeth Fawle. 
Cosa potevano contenere quelle lettere? Le occupazioni quotidiane, le aspirazioni letterarie frustrate, la speranza di non dover dipendere dalla benevolenza di altri dopo la morte del padre, l'impotenza di soffocare i propri desideri, il dolore per Cassandra che aveva sacrificato la vita per accudire la famiglia, dopo la morte del promesso sposo, Tom.
Su tutto la condizione della donna, ancora costretta al ruolo di angelo del focolare, sposa e madre o incombenza per i familiari. 
Espediente narrativo della Hornby, imbastire una storia credibile con personaggi realmente esistiti in luoghi chiave dell'esistenza delle Austen per raccontare con lo stile ispirato ai libri più noti di Jane Austen, su tutti 'Persuasione', una piccola storia affascinante ed edificante. 
"Alla trama della vita era intrecciato un lieto fine per ciascuno. Occorreva cercare i dettagli e poi seguire lo schema per poter ravvisare il proprio". 
La Hornby ricostruisce il prezioso legame tra le sorelle Austen, dettaglia la società inglese di inizio Ottocento invischiata in convenzioni, tradizioni e codici culturali difficili da spezzare in cui un animo intelligente, ironico, pungente e al tempo stesso sensibile e melanconico come Jane Austen irrompe. E lo fa con grazia, stile ed attenzione. 

venerdì 17 luglio 2020

"La simmetria dei desideri" di Eshkol Nevo

"Non ho chiamato gli amici perché sono una persona sola a un livello che stento a spiegare anche a me stesso". 
Quattro amici alla soglia dell'età adulta scambiano la promessa di condividere i loro sogni, le loro attese, i loro desideri.
Bigliettini di carta che imprigionano istanti di vita, la meraviglia dei sentimenti, la forza di un'amicizia che si salda tra lutti, gioie, tradimenti, silenzi, presenze.
La finale di un campionato di calcio. Quattro anni per dare corpo ai sogni e invece tutto si ribalta rivelando la caducità della vita, il buio di un dolore che lacera dentro, consuma, fino a spegnere la voglia di vivere.
Yuval, Churchill, Ofir, Amichai. 
Diversi tra loro eppure uniti da un sentimento di reciproca abnegazione. Ognuno percepisce l'altro pur lontano, silente. Ognuno perdona l'altro: omissioni, assenze. Ognuno gioisce per l'altro. Yuval tra tutti sembra osservare le vite degli altri, paga l'amore perduto di una donna, e sembra soccombere, lasciarsi inghiottire da un senso di inadeguatezza, mancanza.
Il suo che sembrava il sogno di un ragazzo ispirato: l'amore della donna appena conosciuta, si rivela essere l'elemento di distacco, il punto a cui tendere, lo strumento che imprigiona attimi, parole, ricordi, che immagazzina persino gli odori, gli umori di chi gli è intorno fino a fagocitarlo, e ritrovarla in una notte che sa di rivincita e assoluzione, libera tutto il male taciuto, rivela l'assurdità della sua ossessione, sgretola il muro di finzione e convenzioni costruito nel tempo.
Yuval, il bravo ragazzo, sensibile, si isola, si ritira dal mondo, e nulla sembra offrirgli un appiglio per vivere, poi i mondiali, i bigliettini, quelli letti ad alta voce, la scoperta che ognuno forse ha senza saperlo realizzato l'obiettivo dell'altro e l'idea di scrivere, raccontare la storia di amicizia di quattro ragazzi prende forma, e scrivere si fa cura, si dimostra la strada per tornare a vivere, far pace con il passato, amare e lasciarsi amare.
Eppure il destino è ancora lì a rimescolare le carte. Quei bigliettini scritti per gioco.

Eshkol Nevo descrive con ingannevole apparente semplicità i sentimenti umani. Tratteggia quattro personaggi, quattro cuori che battono spesso all'unisono, famiglie, e speranze di costruire una vita, a dispetto di quello che accade intorno. È voluta la scelta dell'autore di lasciare sullo sfondo il paese 'Israele', la difficile coesistenza di arabi e israeliani, l'esperienza come soldati, salvo lasciarla riemergere in momenti chiave della storia. E così deflagrare, far pensare.
La capacità dell'autore sta nel guardare dentro ai suoi personaggi, di farli così poeticamente, drammaticamente, autenticamente umani.
Un romanzo a tratti così struggente da rimanere a lungo dentro.

lunedì 6 luglio 2020

"Come una storia d'amore" di Nadia Terranova

"L'unica è raccontarsela come una storia d'amore".
Roma, i suoi quartieri, le borgate, le periferie, le sue piazze. 
... "perché all'inizio nessuno pensa che pure quella parola si esaurirà". 
Roma, la sua gente, arrivi, partenze. 
Sogni, illusioni e disillusioni. 
... "quando l'amore non c'è più". 
Uomini, donne, romani da generazioni o stranieri, anziani affacciati alla finestra, bambini che tirano calci a un pallone, ragazze sedute a un tavolino di un bar. 
Racconti intimi di dieci donne che dal personale virano all'universale, perché le anime che abitano i palazzi di Roma, sono anime sperse, che trattengono amarezza, imprigionano dolori, in cui implode la felicità. 
Di certo si tiene stretta la vita, un quotidiano fitto fitto di impegni, lavoro, affetti, amicizie. Rabbia, sentimenti, occhi assonnati o pieni di lacrime, sorrisi sinceri, invidia, timidezza, insoddisfazione, pause forzate, empatia, regali di natale, fughe impreviste, false impressioni, scuse, silenzi lunghissimi.
Sempre in bilico, a un attimo dall'errore, dall'abisso, felicità, infelicità: "la felicità esiste ma non so se la abiterei". 
Nadia Terranova descrive il tempo, la città, che è centro del mondo e di ogni mondo, Roma, e lo fa con una scrittura che parla dritto al cuore di chi legge. I suoi personaggi indossano gli abiti della nostra coscienza sul palcoscenico della vita. E incanta, imprigiona il cuore. 

domenica 28 giugno 2020

"La straniera" di Claudia Durastanti

"La vita si seduce in silenzio, si ipnotizza, e tutto il resto è un fallimento".
Silenzio. 
Un ragazzo e una ragazza si conoscono in una Roma seducente e iconica. 
Ognuno darà una propria versione di quell'incontro. 
Entrambi affetti da sordità, entrambi decisi a fidare in se stessi per una vita che rifiuta alcuna forma di compromesso. 
Si ameranno con furore, gioia, stranezze, rinunce, incoscienza, tra arrivi e partenze: paesini della Basilicata, Roma, gli Stati Uniti. 
I figli saranno il segno della loro passione, e il legame con il mondo fuori. 
Un mondo a tratti feroce, vorticoso, diverso perché nulla è comune in una famiglia abituata a vivere oltre i limiti, le convenzioni, a metà tra provincia e metropoli, forti connotazioni familiari, estremo senso di libertà e ribellione. 
Un mondo di parole prestate, sentimenti accesi, vite in gioco. 
Rifugio e sfida. Soprattutto per la piccola di casa. Un mondo dove abbarbicarsi su un tetto a leggere e a volte vergognarsi di scenate e fughe o sfoggiare scarpe scintillanti. 
E sentirsi.. 
Straniera, fuori posto, un paradosso. Mille domande, sempre. 
Studiare, viaggiare, lavorare, guadagnare danaro, emanciparsi e interrogarsi comunque. Un senso di ostinazione e fragilità al tempo stesso. Le parole possono tutto, i sentimenti non esternati lasciano silenzi più penetranti di un suono mancato. 
Ci si interroga, si scava dentro, a tratti impietosi ma si costruisce, perché a dispetto del dolore, di una forma di autolesionismo dell'anima, guardando alla famiglia, al piccolo paese a cui tornare, a casa.. "quando tutto cade, indomito l'amore resta". 

Claudia Durastanti ha una scrittura spiazzante, intelligente, fortemente coinvolgente. Impossibile, leggendola, non avere voglia di colmare la distanza da casa al suo fianco, un tornare pregno di significati, un tornare all'infanzia comune, condizionante, piena di squassante vita. 

domenica 14 giugno 2020

"Addio fantasmi" di Nadia Terranova

"Nessuna risposta può placare i sopravvissuti".
Ida è una sopravvissuta.
Alle soglie dei quarant'anni attraversa per l'ennesima volta lo Stretto per tornare nella sua città natale, Messina.
Il tetto della casa di famiglia ha bisogno di una profonda ristrutturazione e l'occasione sembra proficua per sua madre per chiederle di aiutarla nei lavori e dare una mano a sgomberarla degli oggetti inutili.
Ma quella casa è il centro pulsante del dolore di Ida.
Un dolore mai sopito che affonda nel passato, in quei suoi tredici anni spezzati dalla scomparsa del padre, un uomo da tempo depresso, che sembrava aver rinunciato a vivere e che una mattina, era uscito di casa per non farvi più ritorno.
L'assenza del padre e il silenzio della madre nell'ignorare quasi quel che era accaduto per non rievocare il dolore, avevano segnato Ida al punto da cercare ossessivamente risposte nelle notti insonni, negli incubi che la tenevano sveglia fino all'alba, che l'avevano resa per certi versi una donna fragile, abile a dar voce ai dolori altrui, a raccontare storie, nell'attesa che fosse capace di interpretare la propria.
Ma gli anni erano trascorsi, in fuga da una casa che si era fatta cadente, silenziosa, che aveva trattenuto risposte, indolenze, rabbia, che aveva fermato il tempo al mattino esatto in cui il padrone di casa se ne era allontanato. E tutto sembrava ripetersi uguale, giorno dopo giorno.
Ida aveva trovato altrove, a Roma, un tempo da abitare, luoghi diversi dalla città di mare che aveva accolto i pianti di ragazzina, l'ansia di vivere, che aveva visto svanire anche l'illusione della sua amicizia con Sara, le nuotate in mare aperto. Roma era come suo marito, il porto sicuro.
Tornare... a Messina, nella sua casa, significa far pace con il passato, perdonare suo padre per quella partenza senza ritorno, la madre per la sofferenza che non aveva mai manifestato, e se stessa per aver lasciato che la paura troppo spesso la soffocasse, le impedisse di vivere a pieno.
Tornare... significa dire addio al fantasma di suo padre, alla felicità che avrebbe potuto abbracciare la sua casa, la sua famiglia. E che era mancata, di più, le era mancata a volte, come manca il fiato.
Tornare... significa rievocare il tempo trascorso, accorgersi che dolore, tristezza, infelicità sferzavano anche la vita degli altri, ma lei era stata troppo presa dal suo di dolore per capire quanto la vita potesse essere dolorosa per chi le era intorno: sua madre, Sara.
"La vita non si fa con i residui, con quello che ti tieni come scorta. Non ne hai un'altra di ripiego, dove mettere le cose che non fai".
Ida lo comprende solo quando la verità dolente le viene messa davanti. C'è sempre il momento in cui bisogna guardare al proprio passato, confrontarsi con le proprie paure, lasciarle andare come il mare si porta via l'ultimo dei ricordi dolorosi, promettendole un nuovo inizio, frutto di consapevolezza.
In fondo "la felicità non esiste, ma esistono momenti felici", basta saperli e volerli riconoscere.

Nadia Terranova scava nell'anima con la sua scrittura dolente e potente al tempo stesso. Fa riflettere e pungola il lettore ad un'introspezione che rivendica un prezzo: rinuncia, coraggio e la volontà a mettersi in discussione, perché in fondo in ognuno vi è un fantasma da scacciare. 

sabato 6 giugno 2020

Vani Sarca, personaggio letterario iconico, nelle storie di Alice Basso

Asociale, dark, irriverente, sarcastica, divertente, brillante, intuitiva, ironica, graffiante. Si potrebbe continuare all'infinito nel declinare la personalità iconica per certi versi della protagonista delle storie di Alice Basso, la ghostwriter Vani Sarca. Un mix di letteratura e fantasia fatta donna, che dietro strati di vesti nere, metallo e unghie viola nasconde un talento unico nel leggere chi ha di fronte calandosi a pieno nel suo agire e pensare così da renderle possibile scrivere come si trattasse davvero del suo committente. E non solo... 
Pazienza se nel suo lavoro debba sempre scontrarsi con il suo editore, spazientirsi a fronte dell'inettitudine umana, l'ignoranza dei più, l'estraneità della sua famiglia. Altro le dà gioia anche se non dà a vederlo: la collaborazione con la polizia per le sue straordinarie capacità di analisi e il commissario Berganza - altro personaggio sui generis - tra i pochi a tenerle testa al punto da innamorarsene, l'adolescente vicina di casa Morgana sua emula, l'anziana indomita Irma e il suo passato di storie da raccontare, l'amato/odiato Riccardo, fascinoso scrittore, e pochissimi altri.
Di mezzo avventure e indagini inattese, caos creativo, colpi di testa, giochi di parole, sfuriate epocali, rimandi e citazioni letterarie, una passione sconfinata per i libri e il potere della conoscenza.
Impossibile non amare il personaggio di Vani Sarca, non condividere il suo amore per il silenzio, le luci soffuse, gli spazi vuoti. E tutto quello che è resistenza alla confusione, all'omologazione, alle consuetudini, alla banalità. Vani è dirompente, a tratti eccessiva, trascinante ma la sua vivacità intellettuale è magica, le sue performance verbali uniche. 
Leggere le storie della Basso strappano due ore di piacevolezza assoluta. Impossibile resistere.
Si potrebbe continuare all'infinito nel declinare la personalità iconica per certi versi della protagonista delle storie di Alice Basso, la ghostwriter Vani Sarca. Un mix di letteratura e fantasia fatta donna, che dietro strati di vesti nere, metallo e unghie viola nasconde un talento unico nel leggere chi ha di fronte calandosi a pieno nel suo agire e pensare così da renderle possibile scrivere come si trattasse davvero del suo committente. E non solo... 
Pazienza se nel suo lavoro debba sempre scontrarsi con il suo editore, spazientirsi a fronte dell'inettitudine umana, l'ignoranza dei più, l'estraneità della sua famiglia. Altro le dà gioia anche se non dà a vederlo: la collaborazione con la polizia per le sue straordinarie capacità di analisi e il commissario Berganza - altro personaggio sui generis - tra i pochi a tenerle testa al punto da innamorarsene, l'adolescente vicina di casa Morgana sua emula, l'anziana indomita Irma e il suo passato di storie da raccontare, l'amato/odiato Riccardo, fascinoso scrittore, e pochissimi altri.
Di mezzo avventure e indagini inattese, caos creativo, colpi di testa, giochi di parole, sfuriate epocali, rimandi e citazioni letterarie, una passione sconfinata per i libri e il potere della conoscenza.
Impossibile non amare il personaggio di Vani Sarca, non condividere il suo amore per il silenzio, le luci soffuse, gli spazi vuoti. E tutto quello che è resistenza alla confusione, all'omologazione, alle consuetudini, alla banalità. Vani è dirompente, a tratti eccessiva, trascinante ma la sua vivacità intellettuale è magica, le sue performance verbali uniche. 
Leggere le storie della Basso strappano due ore di piacevolezza assoluta. Impossibile resistere.

lunedì 1 giugno 2020

"Le creature" di Massimiliano Virgilio

"Era un alieno che aveva viaggiato per altri mondi e adesso osservava il suo con la distanza di chi sa che esistono luoghi più orribili, dove accadono cose senza pietà".
Han ha quattordici anni, è cinese ma il suo perfetto italiano sembra far credere altro. Un giorno sua madre l'ha lasciato da un'altra donna in custodia, con la promessa di tornare di lì a qualche settimana. Il lavoro, la speranza di riemergere da un passato di sofferenza e rancori, l'ha spinta ad un affido temporaneo, ignorando che di lì a poco suo figlio conoscerà l'abbandono e le privazioni di un vecchio casolare fatiscente, l'assenza di cibo e cure che dovevano essergli garantiti. Tutto è precario nella vita della Leonessa, così la chiamano gli ospiti della sua casa, ragazzini invisibili alla società, costretti sin da subito a sopravvivere con piccoli furti ed espedienti, per mangiare e vestirsi. Leonessa.. una bottiglia in mano, dolore e rabbia per un figlio morto e il suo gemello in carcere, ed una nipote ereditata come si fa con i doni non graditi ma sopportati per riconoscenza, Nina, una creatura fuori dal mondo.
Un equilibrio precario di mondi nascosti, latrati di cani legati alla sbarra, testimoni di altro orrore, perché sopravvivere è un imperativo in certi luoghi, e farlo al cospetto del male, anche se ha il volto di un altro ragazzo, è l'unica via possibile per provare a costruire un futuro e smettere i panni delle creature.

Leggere il romanzo di Virgilio è lasciarsi trascinare in un abisso di dolore, ingiustizia, inquietudine e al tempo stesso conservare la speranza in una possibile guarigione dell'anima. La nostra società è abitata da uomini, donne e bambini, ignorati, invisibili. Fantasmi che lavorano, attraversano il nostro stesso quotidiano ma sono privi di identità e quindi di diritti.
Ignorare le loro vite, significa ignorare le nostre, mettere a tacere la nostra coscienza. 
Han - lo straordinario protagonista di questo racconto - smette di essere bambino subito, non lo è mai stato in realtà, si nasconde, trattiene il fiato in mare aperto e impara così a sopportare tutte le storture per riemergere solo quando sarà cosciente di poter tenere stretto il sogno di un futuro, di un'identità certa, della felicità così come tiene stretta la mano di Anna, per liberarla da un busto e da un passato difficile.

Una narrazione dura, quasi una cronaca, un reportage su una storia - assenza di diritti e tutele per minori stranieri - che si preferisce ignorare quella di Virgilio, ma è necessaria per spingere il lettore a prendere atto del dolore intorno a noi.
Un linguaggio che non risparmia violenza, un viaggio nel male che abita l'uomo, dolore che genera dolore fino a che una piccola creatura spezza la catena e libera amore.