domenica 8 novembre 2020

"Madrigale senza suono'" di Andrea Tarabbia

Un manoscritto trovato per caso, un compositore geniale del Novecento, Igor Stravinskij, e lui, Gesualdo da Venosa, principe e madrigalista tra i più noti, vissuto tra il XVI e il XVII secolo, bollato da fama sinistra di uxoricida e ossessionato dalla musica in cui rifletteva tutti i sentimenti: ansia, dolore, tormento, speranza, espiazione, purezza, gioia, fino allo spasimo.

"...trovare una frase che racchiuda un sentimento, che lo incarceri una volta per tutte in una formula assoluta, che impedisca a chi legge di raccontare quello stesso sentimento con parole diverse da quelle che trova scritte. Questo è il sogno della scrittura. Ma è anche la sua chimera".

In un testo a due voci, tra Stravinskij che prova ad interpretare la musica di Gesualdo adattandola al suo tempo, e quello di Gioacchino Ardytti, autore della cronaca sul principe di Venosa, il lettore si perde consapevolmente. Ogni pagina da romanzo, finzione, si mescola alla storia, alla verità, raccontando di un uomo destinato a governare un territorio a dispetto della sua vocazione naturale a fare musica, in modo innovativo, ignorando le regole scritte per farne di nuove, con effetto dirompente. Gesualdo da Venosa, però ha visto il suo nome macchiato dall'assassinio dell'amata moglie, Maria D'Avalis, rea di averlo tradito. E a breve la sua vita sarà attraversata da dolori, perdite, tormenti. La morte di un figlio in tenera età, il dolore cieco della seconda moglie, l'odio del primogenito che gli rinfacciava l'assassinio della madre, l'ansia del futuro incerto. Un tormento, struggimento, misto a impotenza a dispetto del potere che deteneva che lo facevano l'uomo tormentato che trovava diletto, ristoro solo dalla musica che sperava lo consegnasse alla storia, gli tributasse l'onore che sapeva di meritare.

A fare da sfondo alla storia di Gesualdo da Venosa una ricostruzione storia/scenica si può dire che come la partitura della sua musica racconta con puntiglio un territorio, un tempo, una società, un quotidiano dove trovano spazio le descrizioni persino degli odori, degli umori delle persone. Che siano umili servitori, o il medico di famiglia che sullo studio dei cadaveri improvvisa cure per il suo principe, le guaritrici, o l'uomo di chiesa che promette il perdono divino, soldati, contadini, e lui quel Gioacchino, storpio, vigile e fidato servo sempre al fianco del suo principe, sin dai tempi del convento.

Digressione, falso, o riflesso dell'anima nera di Gesualdo, Gioacchino è voce narrante della vita del principe, raccoglie la sua rabbia, e le sue confidenze, nasconde nei sotterranei il segreto del suo crimine efferato e dallo stesso verrà annientato, null'altro che la coscienza che chiede di essere mondata dal peccato prima di ricongiungersi a Dio.

Un romanzo che è storico, gotico nei toni e nei colori, tratteggiato di densità, gravità e al tempo stesso leggerezza, la stessa che svolazza su una partitura. Racconta l'amore totalizzante per la musica, come la furia amorosa, la determinazione di un musicista ad interpretare e riadattare al meglio una musica lontana per regalarla al mondo, con la capacità di una scrittura che si fa davvero visiva, piena, destinata a catturare l'attenzione del lettore.

Tarabbia indaga l'animo tormentato di un uomo che riflette il suo malessere e il suo essere tutto nelle note e attualizza il messaggio di potenza costretto nell'opera dell'artista geniale e innovatore che fu Gesualdo da Venosa.

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