domenica 8 novembre 2020

"Tommaso e l'algebra del destino" di Enrico Macioci


"Il 14 agosto del 2014, Tommaso Rovere, cinque anni e mezzo, fu vittima di tante piccole sfortune che sommate tutte insieme comportarono una sfortuna più grande".

Un auto parcheggiata all'incrocio di strade deserte. È ferragosto. Nessuno cammina, pochissimi sfilano sbadatamente accanto all'auto dove siede il piccolo Tommaso.

Stretto sul sedile posteriore, sul seggiolino che avrebbe dovuto proteggerlo, se non fosse che il padre l'ha lasciato lì solo, l'illusione di allontanarsi per pochi minuti, per correre dalla donna con cui da mesi tradisce la moglie, Sonia, la madre del piccolo Tommaso.

Sembrano lontani i tempi felici, lontani pure i rimorsi di guardare al figlioletto come ad un impedimento. Giorgio Rovere, così si chiama, svolta l'angolo, attraversa un sottopasso, il telefono in mano compone ostinatamente un numero a cui nessuno risponde, la strada e l'impatto con l'auto che lo travolge.

In ospedale non avranno nulla per identificare l'uomo che un medico opera, meccanicamente, come una cosa fatta bene, e basta.

Intanto passano i minuti, le ore e Tommaso capisce che il padre non tornerà. Fa caldo, troppo. Ha sete, fame, sonno. Ha momenti di sconforto, rabbia. Le sue mani sono piccole per liberarlo dalla stretta della cintura di sicurezza. Sente voci, immagina di vedere un compagno d'asilo cattivo con lui, non ha forza di gridare, fuori due bimbi lo guardano poi corrono via e le forze lo abbandonano, come ha fatto il suo papà. E la mamma, l'odore buono dei capelli quando si china su di lui per baciargli la fronte è poco più di un ricordo.

Le ore passano, l'ombra della sera rinfresca la pelle di Tommaso, è sfiancato, fuori piove, no.. diluvia. Un'ombra nera affianca l'auto. Tommaso è piccolo, non sa dare un nome ma sa che è il male, l'abisso da cui non si torna, che ghermisce e lui è piccolo, gli umori del suo corpo impregnano l'abitacolo dell'auto, piange, il corpo freddo si muove appena.

Sonia, la mamma di Tommaso ha lavorato fino al pomeriggio, la rabbia per il tradimento del marito che sente sta per travolgere la sua famiglia nasconde l'inadeguatezza di sapersi infelice a prescindere, quasi che il tempo, la vita le fosse sfuggita via senza sapere come, perché. Non sa raccontare il suo malessere nemmeno alla madre che le chiede del nipotino. È solo per un indisposizione del marito che Tommaso non è con loro. Ne hanno cura da sempre. Sono le parole del nonno che Tommaso continua a ripetersi in auto nei momenti di lucidità. 

Tommaso... che ignora che il padre è in un letto d'ospedale, che ignora che la madre è ferma in auto a poche decine di metri da lui, in attesa di cogliere in fragrante il marito lasciare la casa dell'amante, che ignora con ostinazione senza mai muovere il capo, spostare lo sguardo l'ombra nera che abita la notte, e si confonde alla pioggia.

Tommaso ha cinque anni e mezzo. Ha superato la notte.

Poi "..le circostanze sfortunate a un certo punto terminano, e da lì iniziano le circostanze fortunate. Accade semplicemente, terribilmente così. La sfortuna di uno finisce e comincia quella di un altro".

Con una forza dirompente la scrittura di Macioci incastra il lettore parola dopo parola, pagina dopo pagina. Lo incastra alla sua di coscienza, a quanto l'animo umano soccomba al quotidiano che diventa ordinario, a vite che si indossano come abiti comodi, troppo per essere cambiati, e invece smarriamo il senso profondo dei sentimenti, di quello che conta davvero, delle piccole cose che possono e fanno la differenza.

Che sia lo sguardo di un bambino che rifugge le paure tutte per superare la notte più buia a segnare il passo, è un invito di forza, è una forma di fede assoluta, una volontà di cambiamento, la certezza che a dispetto dell'algebra del destino c'è il desiderio di credere che tutto è possibile.

Nessun commento:

Posta un commento