domenica 31 marzo 2019

"Devora" di Franco Buso

"Dopo settecentoquattordici interminabili anni, la straordinaria avventura terrena di Devora si era conclusa".
1288. Tutto era cominciato con la piccola Miriam di sette anni in fuga da Gerusalemme, sopravvissuta alla puntura di uno scorpione.
Gli occhi si erano tinti del color dell'ambra, il cuore invaso dall'istinto della cura del prossimo, la mente di immagini che avrebbero avuto un senso solo per lei: premonizioni, che le avrebbero indicato sempre cosa fare, e al tempo stesso l'avrebbero fatta soffrire nulla potendo per impedire la morte delle persone amate: l'adorata sorella Jochebed, Sophia, Bernard, Caterina, solo per citarne alcuni. 
Aveva vissuto al cospetto dei Templari, era cresciuta saggia, indomita, preparata ad accettare il ruolo che sentiva essere stato assegnato a lei. E a dispetto di ogni pericolo gli aveva dato forma: una figlia, Devora, che aveva ereditato il suo stesso dono, gli occhi ambrati e un carattere che l'avrebbe portata a sacrifici e rinunce per assistere silenziosa alla morte del maestro dei Templari, Jacques de Molay, sul rogo, e all'avverarsi delle invettive pronunciate contro quanti l'avevano condannato a morte.
In viaggio da Acri a Venezia, da Parigi a Roma, Miriam e sua figlia Devora patiranno disagi e sofferenze, fuggiranno malattie e sospetti per sfidare l'impossibile, e forse conquistare la vita eterna.
Illusione o realtà?
Solo uno strumento per accertarsi che giustizia sia fatta.
Attraversando il tempo, anno dopo anno, in perenne girovagare, testimone della storia, al cospetto della pulzella d'Orleans o al fianco di Giordano Bruno, in piazza tra la folla per la presa della Bastiglia o tra i partigiani della resistenza, gli occhi di Devora metteranno a nudo l'animo umano per coglierne fragilità e grandezza.

Il legame di due donne non comuni, Miriam e Devora. L'amore totalizzante di una madre. La forza della storia che fa da collante in una narrazione serrata, brevi capitoli che si succedono con una scrittura chiara ed empatica, un preciso contesto storico e sociale cucito addosso ai personaggi che rende credibile il lato fantasy del romanzo: la puntura di uno scorpione che può regalare l'immortalità.
Un esordio interessante, un romanzo di piacevole lettura, personaggi pregni di carattere, un incredibile intreccio di storie ed emozioni che rievoca il mistero dei Templari e rivela la forza dell'amore come unica magia credibile. 

martedì 5 marzo 2019

"Niente di personale" di Roberto Cotroneo

"Niente di personale".
No, tutto di personale invece nell'ultimo romanzo di Roberto Cotroneo.
Il personale di ogni lettore che riflette quello dell'autore e degli ultimi trent'anni di storia italiana. 
Il personale di una società che ha finito per fagocitare ogni sentimento, ogni azione, gesto, nel momento in cui è stato raccontato, spettacolarizzato, condiviso dai nuovi strumenti di comunicazione: tv prima, social network poi.
Ed è solo l'inizio.
Fosse solo questo, il romanzo di Cotroneo sarebbe già tanto, ma è molto di più.
È valore.
È scrittura, mestiere, analisi.
È profondità esistenziale.
È romanzo, quando racconta delle sue origini familiari, i rapporti con i genitori, la fatica dell'impegno dietro ogni azione, passato e presente di un Novecento di guerre e mutamenti, il lavoro in un grande giornale, gli incontri con tanti intellettuali e protagonisti del tempo, la maturazione professionale, la società in apparente evoluzione, l'estraneazione da un mondo di immagini, di velocità, compressione del sapere ad una informazione accessibile a tutti.
È, benché negato negli intenti, un formidabile saggio cui attingere a futura memoria di quel che eravamo, persone, e che abbiamo perso, autenticità.
Non vi è nostalgia ma drammatica constatazione di un tempo perduto e un futuro mancato.
Tentare un qualsiasi commento sull'opera di Cotroneo è un errore, rischia di ridurla a qualcosa che non è.
La svilisce, la limita.
A voler usare parole attribuite all'autore, 'Niente di personale' "è un libro sul tuo sgomento verso questo mondo".
Chioso, "nostro".
E aggiungerei poco altro.
Se non che ogni pagina è rivelazione, ogni parola strumento di difesa, ogni concetto espresso, necessario a comprendere o a scompaginare l'ovvio.