sabato 15 agosto 2020

"Gli anni del nostro incanto" di Giuseppe Lupo

La rivista tra le mani di una donna.
La foto di una famiglia in Vespa. Un bambino di sette ani circa, il papà che guida, la mamma in equilibrio precario, una mano abbraccia lui, l'altra tiene ferma una piccola di pochi mesi. Sguardi sereni, la bellezza sui loro visi di giovani felici, l'aria di festa, la vita addosso.
La foto cattura un momento privato di una famiglia come tante negli anni '60 nella Milano che abbaglia tanti italiani in fuga dalla miseria di una guerra che si porta addosso come un abito stretto.
La foto rievoca nella donna tanti ricordi, troppi, inattesi e la sconvolgono al punto da farla precipitare nel silenzio prima, smarrimento poi, amnesia infine.
Mentre la nazionale di calcio di Bearzot trascina il paese tutto verso la gioia sfolgorante di una vittoria mondiale, una ragazza aiuta sua madre a ricordare, a ricostruire la sua vita a partire da quella foto.
Che racconta della ribellione di un figlio del Sud ad una vita già scritta, di una grande città che accoglie ma chiede sacrifici e duro lavoro tra mille contraddizioni; dell'amore per una donna e i figli da accontentare in tutto; la felicità a portata di cambiale all'Upim; gioie materiali che pure non bastano a rattoppare il cuore ferito dai dolori: il mancato perdono del padre morto all'improvviso, le vacanze al sud che lasciano la malinconia addosso, un figlio che sposa il silenzio dell'abito talare prima e l'indefinito della lotta armata poi verso uno Stato che si avverte nemico più di quello stesso Dio cercato e non trovato: "Dio è morto", risuona in una canzone. E come un temporale improvviso il lutto abita ancora la famiglia e il cielo si tinge di grigio in una città che non luccica più, è tempo di austerity. Gli anni di piombo trascinano sogni, sorrisi, speranze verso l'oblio del tempo che fu, di lavoro e infinite possibilità.
La foto stretta tra le mani, il sorriso di una donna in un letto d'ospedale mentre Paolo Rossi tira calci ad un pallone e conquista l'Italia intera.
I silenzi all'improvviso si riempiono delle parole di una ventenne che restituisce alla madre il senso del tempo e della vita, e nel farlo ricompone la propria, elaborando lutti e partenze, segnando i confini del possibile da quelli della realtà, strappata agli occhi immobili di un fratello che ricompare nell'unica notte in Italia in cui tutto può accadere, la notte della finale dei mondiali di calcio.

Giuseppe Lupo scrive una storia evocativa che è parte di tutti noi, racconta l'Italia, la "nostra" storia. Lo fa attingendo alla musica - note e parole che danno voce ai personaggi della storia - agli eventi che segnano il quotidiano di uomini e donne, progressi scientifici, elettrodomestici come simbolo di un benessere a rate, l'emancipazione della donna che lavora e studia, i viaggi nello spazio, un tempo nuovo che ispira, le luci della città che riflettono l'utopia di un mondo migliore, un vanto verso chi è rimasto indietro, in paese, che aspetta che il miracolo italiano bussi alla porta di casa.
Un libro di tenacia emotiva, che racconta gli anni di un incanto che in tanti hanno vissuto. L'incanto di una vita spesa a credere che il futuro sarebbe stato migliore. Un incanto spezzato dagli anni di piombo e ricomposto un gol dopo l'altro su un campo di calcio. "Davanti a te si è aperto un orizzonte di nebbia, a me è toccato il compito che spetta ai sopravvissuti: riempire il silenzio con le parole, lottare contro il vuoto. Qualcosa si salva".

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