mercoledì 24 maggio 2017

"La più amata" di Teresa Ciabatti.

E poi ci sono quelle storie che ti entrano dentro e ti chiedi perchè.
La voce narrante è la stessa dell'autrice, Teresa Ciabatti, che ricorda, impietosamente, la sua infanzia infelice - ma lo era davvero?- e la sua adolescenza, che l'hanno resa la donna inadatta al ruolo di madre, moglie, finanche persona -sa essere impietosa con se stessa la Ciabatti nel giudicarsi- che non si perdona sciatteria, silenzi, mancanze. E nel farlo racconta la sua famiglia, su tutto il rapporto totalitario con il padre, il professore, il medico famoso, la brava persona cui i poveri cristi aspiravano per farsi curare, ricco, ricchissimo da fare invidia, che mal celava i legami con massoni, politici e affaristi. Uno che credeva di potere tutto, finanche fregare la morte.
E invece no.
Ha fregato tutto il resto. Sacrificato tutto. Esposto la famiglia, i figli a stordimenti, bugie, disagi.
E lei Teresa, la più amata. Così si sentiva al cospetto del padre che la vezzaggiava al punto di permetterle di giocare con il suo anello, quel simbolo di potenza che scoprirà solo dopo essere stato parte della sua rovina. La massoneria, le simpatie con i golpisti di Borghese, il clima asfittico degli anni di piombo, il sequestro e ancora l'illusione di altri affari ancora più grossi, un gioco al rialzo con la sorte. 
Teresa se ne sta lì, a nuotare nella piscina che nasconde un bunker, irriverente, sempre più viziata, prepotente, lagnosa quando non può avere quello che sa il padre può comprarle. Tutto ma non il suo amore, non il tempo. Quello il grande professore con la figlia non l'ha mai trascorso, sempre a delegare. E lei Teresa che fa di tutto per attirare la sua attenzione, fino ad odiare la madre e tutti quelli che ostacolano il suo rapporto con lui.
Non farà mai in tempo a recuperare l'affetto negato. Nè a mediare con la sua infelicità.
Scrivere forse è per la Ciabatti il tentativo di emendare l'insolenza di essere sopravvissuta: "Chi è migliore? Colui che sopravvive al dolore, e io lo sono, sono qui, sopravvissuta al buio del passato (era così buio?), al gelo di un'infanzia infelice. Io sono una sopravvissuta, e voi no".
E il lettore la prende per mano la piccola Teresa e diciamolo pure fatica a sopportarla. Sempre così delirante nel voler essere la prima.. prima ballerina pur non avendo grazia e fisico, prima agli occhi del mondo intero, prima a rinfacciare, ingigantire la sua ricchezza, le conoscenze del papà. Il lettore percepisce quell'"Io", "Io", "Io" ripetuto ad oltranza da Teresa, un "Io" che sta come un grido soffocato per dire agli adulti "sono qui', amatevi davvero, preendetevi cura di me.
Una scrittura diretta, che testimonia per certi versi, la storia recente del nostro paese, impietosa, brutale.
E alla fine nella scrittura la Ciabatti ritrova se stessa, o almeno comincia a scoprirsi ben oltre l'immagine riflessa nella specchio. Oltre quella dismorfofobia dell'anima oltre che del corpo, se così si può dire.
E nel farlo colpisce al cuore di chi legge.

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