venerdì 9 gennaio 2015

"Il mercante di luce" di Roberto Vecchioni

"Vivere è una maledetta indecente illusione".. lo sa bene il diciassettenne Marco, affetto da una rara malattia, la progenie, che non lascia speranza alcuna. Eppure Marco sa anche che "non importa quanto si vive ma con quanta luce dentro, senza rimpiangere e senza piangere". Ma quanto è difficile, di più quanto lo sarebbe se non ci fosse suo padre Stefano, un eroe tragico a suo modo, a regalargli il sorriso, la forza e trasmettergli la passione per quella che da sempre sembra essere la usa unica ragione di vita, la letteratura greca, difesa e oltraggio in una vita contrassegnata dalla diversità, da qualcosa che insegni a sopravvivere, a contrastare la mediocrità, l'omologazione, il brutto esaltando la bellezza, i valori che appartengono ad un tempo lontano, sospeso tra mito e realtà in cui tutto sembra possibile, in cui tutto ha senso, in cui le emozioni, i sentimenti sono vivi, necessari, inebrianti; un tempo in cui gli uomini attribuivano un senso al 'fare' e in cui mortali e immortali si scambiavano 'fiato' di forza.
Stefano ha solo la poesia, i suoi eroi tragici per strappare la paura dal cuore del figlio morente, ha solo la parola per salvarlo, emendarsi dal peccato da cui sarà dannato per sempre: sopravvivergli. "Ti voglio passare non quel che vedi o credi di vedere, non quel che ami o credi di amare, ma la bellezza di vedere, di amare: non avrò modo, e lo sappiamo, di dirtelo esempio dopo esempio nella tua vita; non ci è concesso, non è possibile. Devo farlo subito, ammassando tutti i languori e i deliri di anni e anni in un attimo che li concentri e te li renda vivi, come vissuti. Noi Marco stiamo tentando di cantare un poema in una strofa, Una lirica in unverso".
Lo struggente, delirante, impossibile racconto di un padre al figlio che apre il cuore, trasmette con la passione per la letteratura greca, l'interezza dei sentimenti, passionali e violenti, così vivi da bastare ad un recluso alla vita, così necassari da rifulgere di una sfrontatezza che irride la morte.
Un viaggio a due quello di Marco e Stefano che salva entrambi... "non ho più paura".
 
Vecchioni tratteggia un personaggio sfrontato e disaffettivo, Stefano, chiuso in un modo tutto suo, affascinante quanto irrisolto, incongruo, incapace di trasmettere a chi gli è vicino quell'amore di cui legge da sempre e che racconta ai suoi allievi, capace però di riconoscere nella prossimità della morte del figlio la possibilità per dare senso alle parole e con loro alla sua vita, salvare e salvarsi. "Ho aspettato che resistesse fino all'ultimo. oltre ogni limite. Solo allora ho deciso che si meritava l'umanità e la bellezza".
Umano più che umano lo diventa quando sfiora la follia Stefano, quando si libera degli spettri del passato, per smettere i panni delle sue paure ancestrali.
Impossibile non cedere al fascino delle parole di Vecchioni, i continui rimandi alle tragedie greche sono grazia per il cuore.

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