giovedì 2 gennaio 2014

"Livelli di vita" di Julian Barnes

"Ogni storia d'amore è potenzialmente anche storia di sofferenza. Se non subito, in un secondo tempo. Se non per l'uno, per l'altro. Per tutti e due, qualche volta. Ma allora perché non facciamo che ambire all'amore? Perché l'amore è il punto di incontro fra verità e prodigio. Verità, come nella fotografia; prodigio, come nel volo aerostatico".
Fotografia e volo aerostatico. Ovvero.. Felix Tournachon, alias Nadar celebre fotografo e Fred Burnaby, militare inglese, viaggiatore e aeronauta. Di mezzo la divina Sarah Bernhardt, per molti la più grande attrice di tutti i tempi, indisciplinata, eccentrica, indipendente. Fotografata da Nadar, amata da Burnaby. Vero e verosimile. Il volo aerostatico come l'amore. Ci vuole coraggio a lasciarsi andare, certi che forse spireranno venti contrari o che si perderà la rotta quanto che se l'impresa riuscirà sarà straordinariamente felice, unica, entusiasmante.
Burnaby e Bernhardt, ordine e disordine, dovere e potere, rettitudine e irriverenza ma "metti insieme due persone che insieme non sono mai state: a volte il mondo cambia e a volte no. Può darsi che si schiantino e prendano fuoco, o che prendano fuoco e che si schiantino. Ma a volte invece ne nasce qualcosa di nuovo, e allora il mondo cambia".
E se Burnaby e Bernhardt non si sono amati e forse non si sono nemmeno conosciuti se non tra le pagine di un libro o nei sogni di viaggiatori del cielo, Julian e Pat sì. Julian Barnes mette insieme le storie di Nadar, Fred e Sarah per ricordare Pat, sua moglie, sua compagna di vita per trent'anni.
Lei "il cuore della mia vita, la vita del mio cuore".
Lei che improvvisamente viene a mancare. Una manciata di giorni dalla scoperta della malattia alla morte. Tempo insufficiente per abituarsi alla perdita. Ma non c'è mai tempo sufficiente per abituarsi all'amore strappato, alla felicità rubata, al vuoto che attanaglia. Non bastano le parole degli amici, la certezza che arriverà il giorno in cui il cuore tornerà ad essere abitato dal ricordo di lei che vale più della sofferenza della mancanza. Non si smette di soffrire, di piangere, di sentirsi tristi, semplicemente un giorno il dolore come è venuto se ne va. Lascia posto ad altro. Ma Pat è lì, perché come scrive Julian "mi manca in ogni attività e in ogni inattività". 
E pensi ancora al volo aerostatico, a quei folli del tempo, ai precursori dei viaggi in cielo, a sognatori che non si limitarono a desiderare ma a sperimentare, proprio come gli innamorati, folli appunto. E rifletti che forse esistono anche "diversi livelli di solitudine: quella di chi non ha trovato qualcuno da amare, e quella di chi è stata privata della persona amata" e non sai dirti cosa è peggio o meglio lo sai. Ma in fondo la solitudine, come la paura dell'abbandono che non si supera, e il dolore, sono compagni di viaggio che stranamente ti ricordano di esistere. Come venti avversi che ti tengono sospeso in cielo, rapito da scelte che non sono tue. Poi capita che il dolore si attenui, si faccia silente e ti permetta di ricominciare a fare le cose di sempre senza pena, colpa, rimprovero come quando il cielo si rasserena e venti favorevoli sospingano la navicella oltre il punto critico.
Ma "non siamo stati noi a far entrare in scena le nuvole, come non abbiamo il potere di diradarle. Il caso ha semplicemente voluto che da un qualche punto si sia levata una brezza inattesa che ci ha messi di nuovo in moto".
Julian è di nuovo in moto. Come Fred Burnaby prima di lui.

Una straordinaria metafora dell'amore, una struggente e necessaria elaborazione del lutto esplicitata per il tramite della narrazione, una manciata di pagine di intensa partecipazione emotiva, un discorso amoroso mai interrotto che vive nel sempre di un tempo senza fine. 

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