lunedì 9 aprile 2012

"La cura dell'acqua" di Percival Everett

Mettete una casa sperduta tra le montagne.
Mettete un tipo che quando va al ristorante si porta il cibo da casa.
Mettete una serie di rumori strani che arrivano dal fondo di una cantina.
Mettete il dolore assoluto di chi perde un figlio.
Mettete tutta la vergogna verso il proprio paese.
Avrete solo frammenti superficiali della vita di Ishmael Kidder.
Poco per raccontare di lui, della sua ossessione di vendetta verso l'uomo che ha brutalmente assassinato la figlioletta di dodici anni, e a cui riservare tra le altre forme di tortura, "la cura dell'acqua"; della finitezza di una vita costellata di dubbi, verità e piccole ossessioni; del suo mestiere di scrittore, celato per necessità dietro uno pseudonimo; della sua ricerca sui filosofi dell'antica Grecia, e sul rapporto tra significante e significato; del suo stare nella piccola comunità che lo crede uno spacciatore; dell'inquietudine del male che permea l'agire del paese che abita (evidente il riferimento -e va da sé il giudizio negativo- alla presidenza Bush).
La scrittura di Percival Everett è elegante, raffinata, volutamente alta e altra; tutto il narrare, articolato in una raccolta di pensieri, giochi linguistici, dialoghi fantastici, frammenti di forme di scrittura diverse, invettive, sogni, disegni, ricerche, costringe il lettore ad un dialogo intimo, necessario, surreale ma fortemente vivo e penetrante.
"Noi, tutti noi, siamo e saremo solo punti e linee".

Nessun commento:

Posta un commento