giovedì 21 luglio 2011

"Il signor Cevdet e i suoi figli" di Orhan Pamuk

"Senti -l'interruppe l'amico. Un secondo troppo tardi si rese conto di non poter trattenre l'ira- Tu non hai nessun diritto di essere infelice. Non hai diritto, capito?"
Quasi 700 pagine fitte fitte per raccontare la storia di una famiglia turca nel corso del '900, tre generazioni, 70 anni di storia di un paese perennemente in bilico tra tradizione e modernità, tra oriente e occidente, repressione e libertà. Di mezzo le storie minute, singole, di uomini e donne, proprio come la Turchia, protese nel tentativo spesso non riuscito di trovare una 'identità', un senso da dare alla propria vita, l'occasione di emendare le origini umili -è il caso del capostipite della famiglia, Cevdet da umile bottegaio a fiorente commerciante- o esercitare un ruolo cardine nella società in trasformazione -si veda Refik e i suoi amici Muhittin e Omer.
In quella che sarà la sua opera prima, il giovane Pamuk -il romanzo è dei primi anni '70- mette in luce la particolarità della sua narrativa: pingue, a tratti ornamentale, densa di particolari atti a ricreare nei minimi dettagli le atmosfere casalinghe, le tradizioni, le didascalie di una società in cui ognuno pare ricoprire ruoli prestabiliti e soprattutto le ambasce di una mente tormentata, di una coscienza che reclama soddisfazione a fronte degli orrori del quotidiano, gli accomodamenti con un cuore in tumulto.
Il romanzo sembra stretto in un eterno ripiegarsi su se stesso, in una maniacale ricerca di senso per la scelta signola di ogni personaggio... eppure a dispetto di tutto lascia nel lettore un senso di pienezza conciliatoria.

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