domenica 26 agosto 2012

"Il cabalista di Praga" di Marek Halter

"Non era forse follia ipotecare la felicità di un uomo e di una donna, e i loro cuori che ancora non battevano? Non era vanità voler dirigere l'ordine futuro?"
Praga. Fine del XVI secolo. Quartiere ebraico. Jacob e Isaac chiedono all'amico David di far da testimone alla loro promessa. I rispettivi figli un giorno saranno sposi. Senza conoscersi, saranno l'uno dell'altro.
La promessa sa di sfida alle leggi del Signore, sa di superbia, sa di inquietante gioco.
Nasceranno Eva ed Isaia ma come ricorderà il rabbino Maharal "nessun destino è tracciato in anticipo, quaggiù come nel corso degli astri. E ciò che si legge nel bagliore delle stelle contiene più enigmi che certezze. La saggezza non risiede nel considerare compiuta l'opera di domani. Sarebbe già molto comprendere ciò che ci ha portato all'oggi".
E che Eva e Isaia forse non siano destinati a stare insieme è scritto nella storia di un quotidiano in cui gli ebrei sono sempre e comunque i nemici, gli untori nel corso delle epidemie, i responsabili delle crisi, i primi ad essere coinvolti nelle guerre, anche se sul trono siede un re benevolo come Rodolfo II d'Asburgo, che si dice illuminato e disposto a tutto per la conoscenza, anche della Cabala. Sarà per questo che istruito dal rabbino Maharal, David viaggerà per anni nelle maggiori capitali europee sedendo al cospetto dei grandi del tempo: Galileo, Keplero, Ticho Brahe per contribuire a magnificare Praga. 
Tornato trionfante tra la sua gente David assisterà alla determinata decisione di Eva di fuggire al suo destino. 
"E tu preferisci che io distrugga me stessa perché mio padre non ha valutato ciò che prometteva? Credevo che tutta la vostra saggezza, gli studi, i dibattiti dovessero servire a imparare ad assumervi i vostri doveri e le vostre responsabilità. Mio nonno non dice forse che il primo passo in direzione del giardino della purezza è assumere di fronte all'Eterno il peso delle parole che abbiamo pronunciato? Mio padre ha fatto la promessa. Non io. Non ero neanche nata".
Eva. Ignara che di lì a breve il suo gesto aprirà le porte di un orrore inarrestabile, il massacro della sua stessa gente, e per fermarlo bisognerà attingere alla conoscenza dei più antichi testi sacri e dar forma al Golem, per
"..creare un uomo nuovo con le parole". Ma non basterà ad arrestare il male.

Un guazzabuglio narrativo mal riuscito. Confuso. David passa come l'ebreo errante, Eva come l'istigratrice del male, i filosofi citati fanno pressapoco da tappezzeria in un affresco storico e sociale che manca totalmente di forza. Un'occasione sprecata.

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