venerdì 7 settembre 2012

"Bella addormentata" regia di Marco Bellocchio

"L'amore cambia il modo di vedere, non è vero che acceca, anzi".
Febbraio 2009, Eluana Englaro è in coma da diciassette anni, alimentata artificialmente. Suo padre dopo anni di battaglie legali ha ottenuto di spostare la figlia in un centro medico con personale disposto all'interruzione del trattamento. La pressione mediatica sul caso è tale da risvegliare coscienze, turbare animi, spingere ad atti dimostrativi. Il paese intero sembra schierato su fronti opposti. Tra questi il senatore Beffardi e sua figlia Maria; il giovane Roberto e suo fratello; Rossa e il dottor Pallido, la Divina Madre e suo figlio.
Un gruppo di persone perse in giorni di forzati pensieri, parole sprecate e inutili violenze. Separazioni, ricongiungimenti. Rinunce, rivalse, scoperte, incontri inaspettati, nuove possibilità.
Tutti mossi dal dubbio se e fin dove sia lecito spingersi per trattenere una vita umana, il giusto valore da darle, le rinunce intorno a un corpo ridotto a involucro, l'assenza di libero arbitrio.
Bellocchio costruisce intorno al caso della Englaro le storie minime di un gruppo di persone, accomunate dalla disambiguità forte nei confronti di corpo/malattia/perdita/vita/morte.
C'è chi una persona l'ha persa e ha saputo lasciarla andare; il Beffardi.
C'è chi si ostina al sacrificio estremo della rinuncia di sé stesso per sperare nel miracolo di una guarigione; la Divina Madre.
C'è chi del corpo proprio e di quelli che gli sono vicino si sente padrone, Pipino.
C'è chi il corpo lo rifiuta, Rossa.
C'è chi è in cerca di un corpo e della forza in esso racchiuso, Maria.
E così fino a domandarsi se la bella addormentata non sia solo la Englaro o chi si trova nelle sue stesse condizioni, ma la coscienza di un paese intero asservito a logiche di potere fuorvianti, a beceri teatrini della politica, alla longa manus della Chiesa. O ancora se non sia implicito credere, sperare che il tutto si ridimensioni alla sfera privata del singolo, interpellato se non sia poi tutto riconducibile all'amore, che libera, forza ad atti di inspiegabile e dolorosissimo coraggio.
Bellocchio non prende posizione, presta la scena alle parole di quel tempo, troppe ridondanti ed inutili, instilla il dubbio, spinge a riflettere, invita a rispettare le posizioni di tutti. Lo fa affondando nelle facce dei protagonisti, volutamente segnate, quasi scavate. Lo fa macerandosi nei colori scuri, nelle atmosfere ovattate, improvvisamente illuminate da bianchi accessi di innocente pudore o dal riflesso dell'immagine della Divina Madre negli specchi. La stessa immagine negata, alfine, come sul corpo velato di una statua, di un corpo, l'ennesimo, parcellizzato nella scultura che richiama una perfezione negata, un corpo imprigionato.
Un film che scuote, non perfetto, ma di una disarmante inquietudine, che molto deve alla capacità attoriale. Sarebbe riduttivo citare solo la bravissima Isabelle Huppert.. i suoi primi piani valgono il film, o Servillo. Sono preziose le interpretazioni della Sansa, di Herlitzka e Morra.

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