sabato 29 settembre 2012

"Antigone" di Valeria Parrella

"Dopo non dovrò difendermi, né scusarmi. Dopo, saranno gli altri a dover decidere le proprie azioni".
Il corpo di Polinice è nella condizione di 'non vivo' da anni. Sua sorella Antigone sfidando le leggi del suo paese ha deciso di dargli la morte, liberarlo perchè, a suo dire, 'vita e morte sono degne quando possono essere condotte autonomamente'. Ma l'atto di ribellione di Antigone deve essere punito, anche se il legislatore è suo zio, anche se sta per sposarne il figlio, con la reclusione: 'fine pena, mai', recita la condanna. Ancora una volta però Antigone prende in mano il suo destino, rifiuta la disumanizzazione, la spersonalizzazione della detenzione e sceglie di darsi la morte, farsi libera."Io sono Antigone: porto la radice del contrasto nel nome. Io non posso abituarmi, non posso vivere appiattita a terra, adeguarmi a un tempo che non scelgo, obbedire a leggi che non comprendo, rispondere a domande che non riconosco, a voci che non so. Non posso. Non voglio".

Attualizzare la tragedia di Sofocle trattando il tema dell'eutanasia, della detenzione, del suicidio è il corpo di un testo teatrale che arriva forte e sincero nella purezza della sua narrazione al lettore. La Parrella fa un ottimo lavoro, ripensando la dicotomia: ragione e sentimento, coscienza e diritto, invitandoci così a prendere parte attiva alle decisioni che riguardano il vivere, perché "quando al legislatore manca la ragione è il popolo che deve tornare a ragionare".

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