mercoledì 2 febbraio 2011

"La donna che canta" di Denis Villeneuve

Devastante. Un film che atterisce per intensità, tragicità, pathos. Un film le cui immagini restano addosso con uno strano senso di inquietudine, inadeguatezza per il nostro quotidiano che all'improvviso appare così banale, vuoto a fronte delle vite drammatiche abitate da uomini e donne nati in paesi dilaniati da conflitti. E' il caso del Libano del film di Villeneuve e della sua giovane protagonista Nawal costretta a subire impotente la morte del ragazzo e l'abbandono del figlio in fasce. Di seguito solo rabbia repressa, motivazioni affondate nell'odio per andare avanti e vendicarsi, di una vita ridotta al niente, di quel figlio rubato dalla guerra, dell'amore ormai negato, impossibile. E ancora resistere, credere in una causa -"le idee di rivolta vivono finché c'è qualcuno che lotta per loro"- essere pronti a morire, o sopravvivere tenacemente a tredici lunghi anni di prigionia, scampando alla pazzia, alle privazioni, alla dignità calpestata, finanche agli stupri, cantando. Questo è stata Newal, ma non la madre dei gemelli Jeanne e Simon, costretti alla sua morte a tornare nella terra natia della donna e scoprire tutto di lei, compresa una verità che gela il sangue, che semplicemente non si può accettare e che pura, inevitabile ha in sé, nonostante tutto, il seme della bellezza, il messaggio di un profondo amore, perchè pare quasi impensabile ma anche dal gesto più estremo di odio, di violenza scellerata può nascere l'amore.
Ripeto.. un film ben recitato, ben diretto, ben costruito ma a dirla tutta 'devastante'.

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