domenica 30 gennaio 2011

"Il cimitero dei pianoforti" di José Luis Peixoto

Una falegnameria.. una stanza al suo interno sempre chiusa da cui tener lontani tutti.. e il mistero che la abita: pianoforti, decine di pianoforti amputati, accatastati, silenti ombre del passato di una famiglia portoghese agli inizi del '900. In mezzo alla bottega tra polvere e assi di legno, le voci perdute di chi ha abitato quei luoghi: risate gioiose, grida disperate, pianti, discorsi concitati, ansiti, parole sminuzzate. E loro.. padre e figlio, voci narranti di vita e morte, in comune solo un nome, Francisco Lazaro, in tutto il resto diversi. Cupo, rivolto al passato, inesorabile con se stesso, consapevole di aver fallito come marito, padre il primo; lo sguardo sfacciato, speranzoso, determinato al futuro nel secondo, addosso il peso della famiglia, della moglie in attesa del primo figlio, la madre dolente, le sorelle, e il fratello Simao cieco e ramingo per sua colpa. In mezzo la maratona di Stoccolma del 1912. Lì, sotto un sole inaspettatmente cocente, scorrono spietati i chilometri e la vita del giovane Francisco.
Una scrittura ardita quella del portoghese Peixoto, parole ricercate, evoluzioni artificiose ('Il foglio, come un pezzo di sole piegato in tasca, bruciava'), ripetizioni costanti nella narrazione per generare coinvolgimento, suscitare pathos eppure non sempre riuscita. Colpa forse dei diversi livelli narrativi, questo rincorrersi delle due voci narranti: padre e figlio, questo incessante mescolarsi di passato, presente e futuro, questo infinito ripetersi di nomi di donne, mogli, figlie, nipoti non si capisce fino a quanto volontariamente vittime di uomini prepotenti nel chiedere e pretendere amore. La sensazione che se ne ricava dalla lettura de 'lI cimitero dei pianoforti' è un melanconico approssimarsi alla gioia, sfiorata però.. mai pienamente vissuta, voluta forse. Quasi fosse trattenuta lì.. nella stanza chiusa dove i pianoforti guardano le vite degli altri trattenendone briciole.
"..sul viso c'era un che di miracolo -di purezza- che non sapevo descrivere. Gli occhi grandi - il cielo. Se le fossi stato abbastanza vicino, credo che avrei potuto vedere uccelli che planavano nei suoi occhi, un mese di primavera dentro ai suoi occhi - l'infinito".

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