Una scrittura ardita quella del portoghese Peixoto, parole ricercate, evoluzioni artificiose ('Il foglio, come un pezzo di sole piegato in tasca, bruciava'), ripetizioni costanti nella narrazione per generare coinvolgimento, suscitare pathos eppure non sempre riuscita. Colpa forse dei diversi livelli narrativi, questo rincorrersi delle due voci narranti: padre e figlio, questo incessante mescolarsi di passato, presente e futuro, questo infinito ripetersi di nomi di donne, mogli, figlie, nipoti non si capisce fino a quanto volontariamente vittime di uomini prepotenti nel chiedere e pretendere amore. La sensazione che se ne ricava dalla lettura de 'lI cimitero dei pianoforti' è un melanconico approssimarsi alla gioia, sfiorata però.. mai pienamente vissuta, voluta forse. Quasi fosse trattenuta lì.. nella stanza chiusa dove i pianoforti guardano le vite degli altri trattenendone briciole.
"..sul viso c'era un che di miracolo -di purezza- che non sapevo descrivere. Gli occhi grandi - il cielo. Se le fossi stato abbastanza vicino, credo che avrei potuto vedere uccelli che planavano nei suoi occhi, un mese di primavera dentro ai suoi occhi - l'infinito".
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