domenica 26 dicembre 2010

"Solar" di Ian McEwan

"Solar". Strepitoso romanzo.
Ian McEwan regala ai lettori un personaggio odioso ma straordinariamente coinvolgente, il premio nobel per la fisica Michael Beard, facendone nel giro di poco più di trecento pagine, un ancor più odioso e snervante ometto infido, grasso e bisunto che terremmo volentieri lontano da noi incarnando il peggio della modernità, ovvero quel che l'uomo percepisce come sbagliato in sé e riflette d'istinto negli altri: anaffettività, egoismo, egotismo, narcisismo, individualismo estremo, etc...
Allo stesso tempo Michael Beard sposa, per sopravvivere a se stesso, la causa ecologista trasformandosi in un improbabile 'salvatore del mondo', come lo vede la figlioletta di tre anni.
Ma è tutto grottesco e falso.
Della genialità che gli aveva valso il nobel in Beard non c'è più traccia, troppo impegnativo applicarsi, più comodo vivere di rendita: fare conferenze, essere a capo di centri di ricerca, fare il cattedratico senza nemmeno farsi vedere in facoltà, accettare incarichi istituzionali, soprattutto parlare in pubblico e convincere finanziatori pubblici e privati a investire in un progetto in grado di risolvere i problemi energetici del mondo. Peccato che per fare tutto questo per una concatenazione di strani eventi Beard si sia appropiato di un lavoro non suo, abbia mandato un innocente in galera per un omicidio mai avvenuto, abbia irriso colleghi e dileggiato la professione di ricercatore mentre la quinta moglie lo tradiva e lui finiva con un gruppo di artisti idealisti ad interrogarsi al polo sud sul ruolo dell'arte sull'opinione pubblica su temi quali il riscaldamento globale.
Nel giro di pochi anni la carica autodistruttiva della società si esemplifica nelll'incapacità di Michale Beard di percepire i propri limiti, dar voce ai bisogni personali, aggravando se mai la propria situazione, perchè come uomo Beard è eccessivo in tutto. Un concentrato di vizi, nessuna virtù: beve fiumi di alcool, si ingozza di cibo fino a star male. E ancora colleziona mogli, un'infinità di amanti, non ha amici, ha sacrificato da tempo l'intelligenza alla dea furbizia, ma in fondo è un pavido, un insicuro, uno che annaspa nel quotidiano di ridicolaggini per illudersi di aver vissuto. Una grandezza calpestata e irrisa dall'inadeguatezza di relazionarsi con gli altri, un castello di bugie e iniquità pronto a crollare a un passo dal pubblico riconoscimento, ennesima pantomima ad uso dei creduloni.
Quella di McEwan è una scrittura brillante, potente, capace di descrivere con acutezza la società contemporanea, nel suo peggio e nel suo meglio: il ruolo dei media, degli intellettuali su temi etici o ambientali (cambiamento climatico, risorse energetiche, etc.) spesso sacrificati sull'altare degli interessi economici o di mode o teorie non supportate da validazioni scientifiche (esilarante il dibattito con l'insegnante di scienze sociali e la bagarre con la contestatrice); la posizione/non posizione ufficiale dei governi; l'etica e la moralità prone all'arrrivismo; il malessere diffuso di individui concentrati su se stessi. Michael Beard è instabile, ripetiamolo 'odioso', grottesco ma a tratti drammaticamente umano, infantile, in quel 'tutto o niente' di cui nemmeno si accorge, di una prevaricazione implicita -si veda la scena del pacco di patatine in treno- e per questo la scrittura di McEwan scivola dalla tragedia alla commedia, strappa risate amare il suo Michael Beard.. lo schiaffo ricevuto dall'amante del marito, la risata umiliante del giovane ricercatore un attimo prima dell'esilarante esperienza di urinare al polo, la goffaggine nel rivestirsi, di cavarsela con le donne con un regalo e una battuta proprio come il più gaglioffo degli amanti salvo reprimere un attimo dopo lucide osservazioni.

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