Catalina ha quattordici e un sogno: trovare i soldi per ‘rifarsi le tette’ ed essere così ammirata dai narcotrafficanti che pagano i ‘sogni’ delle ragazze, portandole via dalla periferia della vita in cui si credono parcheggiate. Per Catalina e le ragazze del quartiere null’altro conta se non apparire, conquistare uomini con soldi, farsi belle davanti alle altre. Catalina però non è come le altre, non è prosperosa, non ha quello che i narcos vogliono e lei strepita per ottenerlo. Ci riuscirà e vivrà pure una stagione di eccessi e successi, ignorando che per arrivarci ha investito e perso tutto: se stessa, la sua dignità. Ma poco importa: Catalina ha venduto il suo corpo, ha perso l’unico affetto sincero in cui credeva, si è vendicata di quanti l’avevano umiliata e usata, finanche di chi credeva amico, scoprendo che il tradimento è ovunque e non si può vivere fingendosi diversi da quel che si è: una ragazzina con un sogno malato.
Il libro di Moreno che ha ispirato una telenovela di successo in sud America svela con tratti di autentica crudeltà il microcosmo sociale in cui si radica il narcotraffico facendo un’operazione che un paio di anni dopo tenterà con altro piglio il nostro Saviano. Come la camorra impera nel nostro sud, così il narcotraffico detta legge in centro e sud America impattando su intere generazioni spinte a vedere in loro modelli. Così l’autore descrive i diversi passaggi nelle organizzazioni criminose: “No, i nuovi trafficanti erano fatti di un’altra pasta. Non si spostavano in aereo privato su e giù per il paese. Non installavano rubinetti d’oro nei bagni né si facevano costruire piscine olimpioniche e discoteche in casa. Non possedevano squadre di calcio per accrescere il proprio prestigio e rifornirsi di campioni da invitare alle feste o da rivendere all’estero per la metà del prezzo dichiarato. Non mantenevano interi quartieri, né debuttavano in politica regalando motoscafi, motociclette e denaro in contanti agli elettori. Spietati quanto i loro predecessori, i nuovi trafficanti seminavano la morte, ma non ambivano al possesso del territorio come i vecchi capi di Cali e Medellin. Erano attratti dal gioco in Borsa, dalla capitalizzazione al alto rischio, dall’acquisto di grandi società. Amavano la vita mondana, gli orologi costosi, le modelle e le attrici, le proprietà all’estero e i conti riservati in Svizzera, alle Isole Cayman o a Panama. Non comperavano automobili da centomila dollari pagandole in contanti trasportati in sacchi di plastica. Preferivano auto lussuose ma accessibili, e le pagavano a rate per non destare sospetti tra le autorità. Appartavano a una generazione più preparata, in grado di organizzarsi per il riciclaggio dei capitali e di conferire una parvenza di legalità ai loro astronomici guadagni. A questo scopo disponevano di esperti di finanza formatisi presso le migliori università del mondo, e di strateghi militari importati dall’ex Unione Sovietica”.
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