domenica 3 ottobre 2010

"Non sono Sidney Poitier" di Percival Everett

"La sola cosa che non mi mandava in confusione, ma che sfuggiva a tutti gli altri, era che la verità fosse l'unica faccenda condannata a divenire obsoleta, destinata inevitabilmente a diventare lisa e consunta".
Frutto di una gravidanza isterica durata 24 mesi il piccolo Non Sono Sidney Poitier porta già scritto nel nome e nella straordinaria somiglianza con il noto attore omonimo il suo destino: il difficile relazionarsi con il prossimo, vittima di pregiudizi, vessazioni, quando non strampalati ma pericolosissimi equivoci.
Tanto più che la madre, impetuosa e stralunata quanto intelligente e lungimirante negli affari, ha investito nella Turner Broadcasting System che di lì a breve frutterà milioni di dollari facendo così di Non Sono Sidney, orfano all'età di undici anni, un bimbo immensamente ricco, cresciuto all'ombra di Ted Turner uno dei pochi punti di riferimento nella sua complicatissima vita, assieme al professor Everett, suo docente di filosofia dell'assurdo all'università.
Ricalcando inspiegabilmente ruoli e situazioni simili a quelli vissuti da Sidney Poitier nei suoi film di successo, il giovane Non Sono Sidney, finirà per maturare, attraversare i passaggi di iniziazione all'età adulta (viaggio, innamoramento, ricerca di indipendenza) salvo restare invischiato in una storia tanto assurda quanto macchinosamente plausibile: l'omicidio di un uomo identico a lui.
E venirne fuori proprio come in una scena da film con un finale pirandelliano: 'oggi non sono in me'.
Everett ha abituato il suo pubblico a personaggi estremi ed ironici, complice una scrittura originale in ogni suo passaggio -tanto nella parola quanto nella forma che dà alla narrazione. Non è da meno in questo romanzo dove si ama Non Sono Sidney sin dal suo primo vagito (e non è un caso!), strano eroe moderno a suo modo.
Va da sé che la storia si presta a diversi livelli di interpretazione: inevitabile non solo il rimando costante al cinema e a quello che appare come reale ma si rivela pura finzione, ma l'attacco al ruolo pervicace dei media -Turner ovvero tv ovvero intrattenimento ovvero indottrinamento ovvero omologazione di massa ovvero costruzione di nuovi bisogni- e ancora al potere del denaro che modifica i rapporti tra le persone, ridefinendo l'impressione che una persona si forma sul prossimo.
"Leggi. Leggi sempre. Quello che leggi nessuno te lo può portare via. la malvagia scatola delle immagini (chiamava così la televisione) non ti renderà più intelligente, ma i libri sì. Leggi. Leggi. Leggi."
Fermarsi alle apparenze, lasciarsi trascinare da quello che una persona 'non è' è esattamente quello che Everett pel tramite del suo personaggio vuole spingerci a riconsiderare. Non importa quel che si è ma quel che non si è: costantemente inadatti al ruolo che il sistema ci impone. Questo bisogna ostinatamente cambiare.

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