domenica 8 agosto 2010

"Riportando tutto a casa" di Nicola Lagioia

"Riportando tutto a casa". Un quarantenne ritorna nella sua città natale convinto che ricostruire, ricordare il passato -i fulgidi e/o terribili anni '80- possa servirgli ad uscire dalla crisi esistenziale che lo attanaglia da circa un anno. Così riandare per le vie di Bari, scuole, locali, quartieri trasformati dal tempo e incontrare alcuni ex compagni di scuola dovrebbe servire a quietare il proprio animo, a spiegare l'anaffettività che lo spinge ad avere uno sguardo rarefatto sulla quotidianità, incapace a costruire una famiglia, orfana della sua, travolta come quella di tanti dal boom economico degli anni '80 quando l'impattare delle tv commerciali e l'omologazione di massa spingeva tutti a credere nell'impossibile, a sostenere il sogno del self made man che di lì a pochi anni avrebbe conquistato a suo modo la ribalta sociale. Figli del marketing, figli del dio denaro, figli dell'indifferenza dei sentimenti, figli del qualunquismo, della pochezza, dell'ignoranza, figli di uno sbigottito quanto triste decennio di falsi miti.
Il romanzo di Lagioia però è 'brutto' e scusate la franchezza. E' triste, è inutile. Manca del tutto l'obiettivo, qualunque fosse ab origine. E' pretestuoso; è poco brillante nella scrittura; è poco originale nell'ambientazione temporale -già ampiamente trattata-; è povero sociologicamente pur avendo la pretesa di darne a tratti questa lettura; è scialbo nella caratterizzazione dei personaggi; è falsamente illusorio. Insomma forse bastava dire che è 'brutto'.

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