martedì 17 agosto 2010

"Le ore sotterrannee" di Delphine de Vigan

"Arriva un momento, in cui la posta diventa troppo alta. Supera le risorse a disposizione. In cui bisogna uscire dal gioco e accettare di avere perso. Arriva un momento in cui non si può scendere più in basso".
Quel momento per Mathilde e Thibault corrisponde ad una data: il 20 maggio.
Le loro solitudini si sfioreranno, si riconosceranno in un vagone della metropolitana alla fine di una giornata lunghissima, durissima, desolante nella solitudine più cupa che l'esistenza riserva. Il dolore del nulla che si fa strada nel cuore, nella mente, abbatte gli ultimi rigidi paletti di formalismo che impongono la resistenza, se non per se stessi per chi ci sta intorno, o per orgoglio, inconsapevolezza per essere arrivati a tanto, essersi arresi alla cattiveria spicciola di un capo che sul lavoro dopo mesi di stillicidio di soprusi, umiliazioni, vigliaccherie ti spegne come per Mathilde o indulgere nell'orrore di non essersi amati se mai ignorati come per Thibault costretto a lasciare la donna che ama ma che non ricambierà mai i suoi sentimenti.
Una scrittura nitida, una narrazione inquietante per il tema trattato: l'assurdo spaesamento, annichilimento cui la società contemporanea può portare. Il lettore si sente attanagliato, stretto nell'angolo proprio come i protagonisti.
"Di donne e uomini come la signora Driesman ne ha visti a centinaia. Donne o umini che la città ospita senza neppure saperlo. Finiscono per morire in casa venendo scoperti settimane dopo, quando il fetore diventa insopportabile o i vermi hanno attraversato il pavimento. Donne o uomini che talvolta chiamano un medico solo per vedere qualcuno. udire il suono di una voce. Parlare per qualche minuto".

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