lunedì 16 agosto 2010

"Hanno tutti ragione" di Paolo Sorrentino

Opera prima letteraria del regista e sceneggiatore Paolo Sorrentino (per intenderci, suo 'Il divo') 'Hanno tutti ragione' non delude le aspettative se consideriamo che il suo protagonista Tony Pagoda -evoluzione letteraria del Tony Prisapia dell' 'Un uomo in più'- ha proprio la capacità di travalicare le pagine scritte per incarnarsi nel personaggio di un mondo percepito come fortemenmte reale pur nelle sue sfaccettature estremizzate, anzi proprio nelle sue mille forzature fisiche e psicologiche.
Cantante all'apice del successo -a New York si esibisce in presenza di Sinatra- nell'Italia degli anni '70 tutta ombre e luci, marcio di cocaina e denaro, presunzione e potere Tony Pagoda percepisce la fine del suo mito canoro e soprattutto, complice l'inaspettata richiesta di divorzio della moglie, Tony non riesce a rimpiere il vuoto che lo assale dentro (la metafora del 'comodino') e a cui crede di poter trovar rimedio lasciando tutto per una meta estranea al suo mondo, fatto di rimpianti e nostalgie, giudizi massivi e implacabili su tutti -anche i suoi amici più cari considerati inferiori a lui in tutto, rei di non possedere il suo sguardo lucido-, finti accomodamenti e l'insostenibile intolleranza verso tutto quel che appare banale, minimo, poco interessante quasi solo lui fosse la luce che accende la vita in chi gli sta vicino. Tony abbandona una vita in cui ha bruciato ogni esperienza perdendosi per strada le emozioni vere, i sentimenti stritolati o amplificati dal ricorso massiccio ad alcool, droghe, sesso per perdonarsi e perdonare. Un aereo per il Brasile, vent'anni di volontario anonimato, una sorta di espiazione, purificazione, emendato da incontri inaspettati quali quello con Alberto Ratto ma forse tutto si riduce all'illusione di fuggire al dolore, alle responsabilità, ai rimorsi della coscienza salvo essere traditi dall'imponderabile, scossi dall'euforia di essere ancora osannati, desiderati oltre ogni limite, pagati una fortuna per tornare ad essere una star per tanti, una comparsa nella vita di eccessi dell'Italia del XXI secolo, appiattita, involgarita, preda di parvenus amorali, senza spessore culturale dove fintamente 'tutti hanno ragione' e dove solo uno come Tony Pagoda può -a dispetto di anni di immobilsmo- arruffianarsi chi ha il potere e correre veloce come gli scarafaggi di Manaus alla conquista del mondo. Forse però le parole del vecchio mentore di Tony risuonano profetiche "non sopporto niente e nessuno, neanche me stesso" e per Tony, maschera di se stesso, i giochi sono sparigliati.
La scrittura di Sorrentino è fagocitante, compulsiva, tagliata sul personaggio 'Tony Pagoda' uno abituato a parlarsi addosso, a sovrapporre ricordi, esperienze, battute fulminanti, giudizi impietosi sulla società del suo tempo; ma questo è anche il suo limite. A tratti il narratore 'si perde' e 'perde per strada' piccoli personaggi, comparse, nomi immaginari e veri mescolati per disturbare, sviare, incuriosire. E la narrazione pura dunque è altra cosa dall'impostare un personaggio che già ci immaginiamo sul grande schermo, magistralmente interpretato -non potrebbe essere altrimenti- da Tony Servillo.

Nessun commento:

Posta un commento