sabato 24 settembre 2011

"La pelle che abito" regia di Pedro Almodóvar

Inquietante. Così l'ultimo film di Amodovar.
Banderas veste i panni del chirurgo estetico Robert Ledgard preso dalla sua ricerca decisamente fuori dagli schemi di costruire in laboratorio una pelle sostitutiva, capace di resistere al calore, di respingere le punture di insetti, ed essere al tempo stesso compatibile, elastica, perfetta. Affascinante, determinato, deciso a infischiarsene dei limiti etici Ledgard ha usato per i suoi esperimenti una cavia umana. Non una qualsiasi. Vera. Una ragazza che abita una grande camera della sua villa/clinica in cui fa yoga, lavora piccole sculture, guarda il canale tematico del National Geografic, indossa tutine atte a preservare il suo corpo.
Questo almeno è quello che lo spettatore è portato a credere, salvo capire dopo una serie di fondamentali quanto drammatici flash-back che Vera è in un gioco folle e perverso ben più di una cavia umana, è la personale forma di vendetta di Legard. Ben più che l'abito che indosso, Vera è l'identità negata e imposta, è l'esemplificazione del male che abita Legard, è l'inquietudine frustrante di chi decide di sostituirsi a Dio non solo per farsi gusitizia da solo ma per farsi creatore di una personale forma di vita, espressione di un desiderio costretto, negato, rifiutato.
La regia di Almodovar non delude, né lo fa la manieristica scelta visiva, né la combinazione 'kitsch ed eleganza' perennemente in bilico, né il fil rouge di una canzone che intrappola dolorosi ricordi, né la forzatura al limite della perversione del sesso, né il piano sfalsato di morale e immorale, né l'indagine psicologica sull'abiezione, né il ricorso ad un'estetica forzata così difforme dal contesto etico in cui è spesso intrappolata. E poi c'é Banderas... novello Frankestein, snaturato dall'odio che lo attanaglia, stravolto in atteggiamenti diabolici che gli attraversano, deformano il volto fino a fare di un uomo bello un Hitler. E non è un esagerazione.. la somiglianza a tratti è agghiacciante.
Il finale è quasi atteso, percepito come torbido ma necessario. Che dire Almodovar, spiazza ancora, costringe a riflettere ma il suo film fa quasi male allo spettatore.

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