domenica 23 giugno 2013

"Il correttore" di Ricardo Menéndez Salmón

11 marzo 2004. Madrid ed altre città spagnole sono sconvolte dall'esplosione di alcuni treni.
"Ma allora mi chiederete voi di che cosa ci possiamo fidare? E io sarò lieto di rispondervi: non fidatevi di nulla e di nessuno. Sospettate sempre. Anche del vostro nome scritto su un documento".
La riflessione di Vladimir mentre ascolta in tv le dichiarazione del premier spagnolo Aznar sull'attribuzione degli attentanti all'Eta, di lì a poco smentite, apre una giornata di introspezione per il giovane correttore.
Accantonata la carriera di scrittore, "il Vladimir scrittore non credeva abbastanza in se stesso per meritare una fortuna diversa da quella che ebbe", era passato dall'altra parte: correggere "il disastro, la banalità, l'evidenza della miseria altrui" salvo riconsocerla ovunque, anche fuori dalle amate pagine dei libri in cui il correttore cerca riparo, rifugio, risposta.
Vladimir lo sa.. non fidatevi di nessuno. Mentre fuori il paese si ferma in preda al panico, annaspa e in tv si lascia confortare dalle parole dei politici, soliti servirsene per gestire il potere, per celare segreti, Vladimir pensa alla finzione che vive ogni giorno, al segreto che lo separa dalla persona amata, la moglie Zoe. Un segreto che ha un nome: Eric.
Nel corso di un giorno che sembra non finire mai Vladimir si confronta con il suo passato, con i sogni infranti, con le aspettative future, ascolta amici, parenti e soprattutto se stesso. Le voci di dentro sono quelle dei suoi libri perché "per abitare la menzogna, per riconciliarci con quell'ombra e quella farsa, per conciliare tutto quel che sappiamo con tutto quello che possiamo sopportare di sapere, è per questo che esistono cose come la letteratura". E Vladimir deve sopportare il suo segreto per non perdere quello che più ama, Zoe.
"Lì, in un angolo della notte invernale non feci altro che stringere Zoe contro il mio petto, come se in tal modo, con il battito del mio cuore sulle sue gengivge, mia moglie potesse sentirsi più amata, più vulnerabile, più protetta che attraverso qualsiasi parola con cui avrei potuto osare nominarla, esprimerla, tentare di appropriarmi di lei. Capii così che disponevo soltanto di quel gesto per ricordarle quanto la amavo. E capii anche che quel piccolo gesto mi avrebbe redento da tutta la poesia del mondo, da tutte le grandi, belle, inutili parole che ci circondano"

Poche decine di pagine per un libro di una lucidità e di una bellezza infinita. Capita poche volte di imbattersi quasi per caso in un libro così. Che spinge a riflettere, a guardarsi intorno per capire come siamo fatti davvero, a dar forma ai pensieri con le parole prese in prestito dai libri perchè a volte qualcuno vissuto duecento anni prima di te sembra sapere esattemente quel che sei, quel che senti, l'emozione, il turbamento, l'inquietudine che ti attraversa in quel preciso momento. Doloroso, reale, struggente.

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