mercoledì 21 aprile 2010

"Cella 211" per la regia di Daniel Monzon

Li chiamano 'prison movie'. Sono film con ambientazione carceraria. Ma le etichette, a volte, poco dicono della profondità, di più della capacità di un film di descrivere non solo il 'pianeta cercere' ma la società nella sua complessità.
E' il caso di 'Cella 211' un film spagnolo che racconta di quanto possa essere labile il confine tra bene e male, giustizia e vendetta, onore e rispetto, regole scritte e non scritte che dal microcosmo carcerario si riflettono nel macrocosmo politico e di una società mediatica capace di imporre scelte del tutto irrazionali.
La storia ha come protagonista Juan Oliver, un agente di polizia penitenziaria trentenne. Deciso a dare di sé una buona impressione Juan si presenta all'istituto penitenziario cui è stata assegnato un giorno prima. Al fianco di due colleghi attraversa le diverse sezioni del carcere. Dei calcinacci si staccano dal soffitto ferendolo mentre poco in là viene dato l'allarme di una rivolta. Costretti ad intervenire, Juan viene lasciato privo di sensi nella cella 211. Questo segna l'inizio del suo personale dramma. Il clangore di armi improvvisate scagliate contro finestre, porte d'acciaio, inferriate sveglia Juan che conscio della situazione si libera in pochi minuti di tutti i segni esteriori che possano denunciare la sua vera identità trasformandosi di fatto in un detenuto. Mentre al di fuori trapela ai media la notizia della rivolta Juan riesce a convincere il capo dei detenuti, lo spietato Malamadre, ad usare tre prigionieri politici -rappresentanti dell'Eta- come preziosa merce di scambio per impostare una trattativa con il governo. Da spaurito e improbabile detenuto, Juan arriverà al punto di contendere la leadership a Malamadre, fomentando sospetti tra i rivoltosi decisi a tutto, financo tradirsi l'un con l'altro, per ottenere qualcosa dai negoziatori. L'unico obiettivo di Juan è restare invece in vita per riabbracciare, una volta libero, la moglie al sesto mese di gravidanza.
Invece, complice l'invasione dei media, l'inadeguatezza dei vertici dell'istituto penitenziario, i reparti speciali pronti a fare irruzione da un momento all'altro, dirottati poi contro la folla assiepata ai cancelli e la spietatezza di alcuni agenti di polizia penitenziaria la situazione degenera. Negli scontri resta coinvolta proprio la moglie di Juan, che sconvolto da quanto ha visto in carcere, toccato dalle richieste in parte condivisibili dei detenuti e scioccato dalla morte della moglie decide di far sua la battaglia dei rivoltosi, arrivando a chiedere all'emissario del governo l'intervento dello stesso ministro della giustizia, in diretta tv, per accreditare le richieste di Malamadre. Il confronto tra i due è aspro, messo a dura prova dalle rivelazioni di quanti denunciano la sua reale identità. Eppure, a dispetto di tutto, Malamadre gli è al fianco in un conflitto improvviso e violento che lascia a terra molti corpi.
Una regia vibrante, un film dal messaggio potente che non si può ignorare, la denuncia delle condizioni inumane in cui spesso vivono i detenuti nelle carceri, la disumanizzazione dell'individuo che poco o nulla ha a che fare con il tentativo di rieducarlo. Immagini che spiegano più di mille parole: il suicidio del detenuto della cella 211 che poi ospiterà Juan e il cui dramma umano, il cui dolore lo stesso arriverà a percepire, a far suo al punto da dar voce alla sua angoscia con una scritta sul muro, in mezzo alle tante. Un segno della sua presenza, per cui nessuno reclamerà attenzione, per cui nessuno proverà vergogna.
Regia e interpretazioni magistrali per un film che spacca il cuore.

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