mercoledì 30 giugno 2021

"I famelici" di Davide D'Urso

"Forse è questo il punto, le parole non sono una questione di forma, ma una questione di coraggio, quello che occorre per guardare in faccia la realtà".

Padre e figlio.
Il primo appartiene alla generazione dei famelici, di quelli che hanno aggredito i sogni per realizzarli, quelli che per necessità, sfrontatezza, hanno lasciato paese, famiglia, amici per emigrare, spezzarsi la schiena in fabbrica, studiare, risparmiare e poi acquistare TV a colori, macchina, mobili, casa in paese, casa per la villeggiatura, un aurea di rispetto al cospetto di quanti erano rimasti in paese.
Il secondo ha respinto l'arrivismo del padre, le amicizie, lo scambio di piaceri, il denaro, la posizione in società, gli sguardi in apparenza compiaciuti della gente. Il tutto per trovare, a fatica, un posto nel mondo, studio, letture, lavori nell'editoria mal pagati, una silente incertezza in un'età in cui suo padre si era già affermato. Convivere con l'ignoto per conservare quel poco di conosciuto.
Ma è davvero tutto così lineare? Solo il tempo spinge i due a confrontarsi, ascoltarsi, guardare oltre le apparenze. Vi è così l'occasione di ritrovarsi e ritrovare le motivazioni sottese alle scelte di vita, al bisogno di affermarsi dell'uno, di trovare la propria strada dell'altro e soprattutto di comprendere l'importanza e la solidità dei rapporti tra uomini, amicizie che durano per una vita intera, che sostengono, segnano il tempo.
Il racconto di una famiglia, del difficile rapporto padre-figlio, degli ultimi cinquant'anni del Novecento italiano, le vite straordinarie di gente comune che ha morso la vita masticando sogni e perseveranza.
"Sarebbe bello affrontare la vita con leggerezza, una leggerezza da fiction. La realtà è un'altra cosa, però. E le parole dei romanzi non bastano a renderla migliori. O forse sì. Forse a questo servono i libri, ad alleviare le ferite. A sollevarci dalla mediocrità di uno scialbo quotidiano, e insieme, a offrirci il sogno di una vita diversa, con un altro finale. Un finale positivo, in qualche modo". E l'autore, D'Urso, riesce nell'intento.

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