"La nostra mente non è fatta per percepire la felicità nel
presente, quanto piuttosto per riconoscerla molti anni più tardi attraverso il filtro
del tempo e dei ricordi".
Dalia Buonaventura ha diciassette anni nella primavera del 1940.
Nel piccolo centro di provincia dove vive, tutti si
conoscono, e riveriscono suo padre, un industriale in rovina, che vive nel
passato che fu, scosso dall'amore perduto per la moglie che l'ha lasciato il
giorno stesso in cui è svanita la ricchezza di famiglia.
Così Dalia, smessi i panni di ereditiera, accantonati gli
studi, conseguito a tredici anni il diploma da dattilografa, ha cominciato a
lavorare.
Con la sua Olivetti MP1 rosso fiammante traduce in lettere dattiloscritte,
i lavori del Ragionier Borio, suo principale, e le strambe richieste di mezzo
paese.
Non può pertanto rifiutare la proposta di assistere Nuto
Cerri, romanziere e giornalista, eroe della prima guerra mondiale ed espressione
artistica della gloria fascista, nel redigere la sua ultima fatica letteraria.
Ospite della villa dei Buonaventura, ultimo baluardo della magnificenza che
fu, affittata per la stagione estiva, Nuto Cerri appare agli occhi della
giovane Dalia quasi il protagonista del romanzo d'amore che ogni donna
sogna leggendo i suoi scritti.
Nonostante i miti consigli del ragionier Borio, l'avversità paterna e i presentimenti
dell'amica d'infanzia Ester, Dalia si lascerà vincere giorno dopo giorno dal
fascino misterioso di Cerri, accettando la sua proposta di matrimonio.
Torino, l'Italia in guerra, i primi bombardamenti.
Tutto d'improvviso sembra irrompere troppo presto nella vita della giovane
sposa rivelando altresì il lato oscuro del marito.
Il sogno è pronto a crollare, e la realtà ad impattare feroce.
Sola nella grande città, il marito scomparso nel nulla, riapparso di lì a
breve con le sue lettere dal fronte, Dalia trova conforto nell'amico di sempre,
Gianni e nell'aiuto dell'avvocato Ferro.
I giorni corrono veloci e terribili.
Ma era poi così che era andata la sua vita? O era il frutto
di uno dei racconti che Dalia amava condividere con i clienti nel suo negozio di
antiquariato descrivendo un oggetto.
"La venditrice di ricordi". Era così che si
chiamava il suo negozio.
Eppure le era diventato quasi estraneo. Dopo quello che la fidata
governante chiamava 'il suo piccolo incidente'.
Un ictus.
E si era persa. In un altro mondo, con i ricordi confusi, l'anellino
di una tenda che le capitava fra le mani, nei cassetti. Un oggetto
estraneo. O no?
Il desiderio al suo rientro a casa, di riaversi da quel black out
forzato.
La macchina da scrivere che conservava indelebile su un
foglio di carta infilato, la parola 'fine'.
La fine di cosa? Della storia, della sua storia.
E allora ricordare era stato necessario al punto che le sue
mani veloci avevano ripreso a ticchettare sulla macchina da scrivere, per raccontare
di lei, della sua giovinezza, di lei, Gianni ed Ester che rappresentavano le
storie di Salgari, con lei stufa nel ruolo della Perla di Labuan. Lei che
voleva essere padrona del suo destino, protagonista. Lei che innocente aveva creduto
all'amore, forse come via d'uscita dalla prigione di tristezza e divieti in cui
la costringeva il padre, lei che con l'amore aveva desiderato emanciparsi salvo
trovarsi invischiata in una vita strampalata al fianco di un uomo che aveva smesso
i panni di eroe per vestire quelli di militare saccente.
Ritrovare Gianni era stato come credere di poter tornare ad
amare ma non ne aveva diritto, era una donna sposata, vincolata ad una promessa
fatta con troppa leggerezza, e la disillusione di perdere l'amore era stata meno dolente
dell'idea di dover rinunciare all'amico di sempre, perché non poteva tenere
stretto Gianni a sé.
Vivere, giorno dopo giorno.
Questo aveva fatto Delia. Lo aveva fatto in tempo di guerra.
Lo aveva fatto ogni giorno della sua vita, lavorando con la sua macchina
da scrivere e poi sognando, libera, fino a lasciare che per lei parlassero le
emozioni ispirate dagli oggetti del suo negozio di anticaglie.
Vivere, a dispetto dell'ombra della donna che era stata, prima del suo malessere,
e che sembrava parlarle ancora.
Per dare un senso al racconto della sua vita, a quel piccolo anello di tenda
che stringe sempre a sé, che la riporta ad una promessa tra ragazzi.
E a parole, impresse sulla copia carbone nella Olivetti,
che tornano ad avere un senso.
Per riportarle a settant'anni, l'amore perduto, e la speranza.
La scrittura di Desy Icardi è ammaliante. Mette insieme più generi, occhieggia
furbescamente alla Invernizio, alla Liala, ai romanzieri d'appendice e condisce
una storia perfetta dove non manca nulla: amore, mistero, amicizie, sospetti,
tradimenti, sogni infranti, impedimenti, lutti, grandi speranze.
La Icardi crea un personaggio che conquista senza difetto il cuore dei lettori:
Dalia, da povera innocente a donna decisa di riprendere in mano la sua vita e
farne qualcosa di buono.
In più come già nella sua opera precedente,
"L'annusatrice dei libri", è sconfinato l'amore per i libri
dell'autrice, piena di citazioni, e di un personaggio come l'avvocato Ferro che
ogni lettore vorrebbe poter conoscere, non foss'altro che per attingere alla
sua sconfinata biblioteca.
Un libro assolutamente adorabile.
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