giovedì 25 luglio 2019

"L'interprete" di Annette Hess

1963. Germania.

E' una giornata come tante. Eva è in attesa sull'uscio della porta l'arrivo del fidanzato. E' Natale, e quel giorno Jurgen conoscerà i suoi genitori, e forse chiederà al padre di poterla sposare. Eva è traduttrice ed interprete. Proprio per lavoro ha conosciuto Jurgens. Ha una conosciutissima ditta di spedizioni. I cataloghi della _ arrivano in tutta la Germania. Eva ha paura che la sua famiglia possa non piacere al fidanzato. I genitori gestiscono una trattoria, e poi ci sono il fratellino Stefan e la sorella maggiore infermiera. Così semplici per un uomo che vanta un solido patrimonio. Eppue proprio in quel giorno di festa la vita di Eva rischia di cambiare per sempre. Per lavoro è costretta a tradurre dal polacco per il tribunale la testimonianza di un sopravvissuto ad Auschwitz. Eva si sente pronunciare le frasi senza senso e vergognarsi per non aver capito, forse per non aver voluto capire. Era cominciato così il suo contributo al processo di Francoforte. Aveva accettato di essere l'interprete dei testimoni dell'accusa, di comparire ogni giorno in tribunale vincendo ansie e ritrosie, di confrontarsi con una realtà storica sconosciuta, con l'interesse morboso della stampa e del pubblico presente. Aveva sfidato il fidanzato che avrebbe preferito non lavorasse, non si confaceva al ruolo di futura moglie di un imprenditore di successo. Aveva disatteso la preghiera dei genitori di rifiutare quell'incarico e l'ostilità di tutti per scoprire che quella storia assurda la coinvolgeva più di quanto pensasse, perché parlava di lei, della sua infanzia, della sua gente.
I ricordi di bambina, voci, odori si mischiano alle testimonianze dei sopravvissuti, agli sguardi di indifferenza degli accusati, al lavoro straordinario degli avvocati, e infine la visita al campo di concentramento spinge Eva all'atroce verità di una sua presenza lì, del silenzio connivente dei suoi genitori, del male che resta compresso negli spazi vuoti, che traspira dai muri scrostrati, dagli oggetti che raccontano del male di cui è capace l'uomo.
Impossibile perdonare il silenzio dei propri cari, impossibile restare intatti, puliti dal confronto con l'orrore, con l'abiezione di chi sfrontatamente a distanza di anni dichiara di non aver fatto altro che il proprio dovere, di aver obbedito semplicemente agli ordini.

La narrazione della Hess è lineare, stringente, edulcorata dal pietismo. Descrive la società tedesca degli anni '60 in pieno risveglio economico, dove la figura femminile rivendica il proprio ruolo.
Eppure non è solo la donna ad emanciparsi ma un intero popolo, rispetto ad un passato che si è frettolosamente dimenticato.
E' con i processi che riemerge tutto l'orrore dell'olocausto. E si rivela dannoso aver emendato la colpa attribuendola alla semplice esecuzione di ordini. La connivenza, l'incapacità a maturare una coscienza collettiva emerge da tanti passaggi del libro e dal comportamento dei personaggi, su tutti Eva. Folgorante il confronto con il signor Jaschinsky, il parrucchiere, sopravvissuto allo sterminio. Eva si scusa, lui comprende e spiega a chi lo interroga: "Conforto. Voleva che la confortassimo". Le parti si invertono. 

Più di  vent'anni fa lo storico Goldhagen pubblicava un interessante saggio sul rapporto tra i tedeschi comuni e l'Olocausto intitolato 'I volenterosi carnefici di Hitler', la Hess romanza il contesto storico e lascia che la sua Eva espii a suo modo la colpa dei genitori, "le persone che erano state dal lato giusto della recinzione non avrebbero mai capito cosa significasse essere prigionieri in quel lager. Si vergognò profondamente, avrebbe voluto piangere ma non ci riusciva, solo un odioso rantolo le uscì dalla gola. Non sta a me neppure piangere ". 


E dalle ceneri della disperazione Eva trova il coraggio di guardare all'uomo un tempo amato, per dirgli, sicura di sé stessa: "Il sentimento d'amore in me è indistruttibile". 
E la vita può ricominciare arricchita dalla conoscenza del proprio passato. 

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