giovedì 6 febbraio 2014

"Una bambina e basta" di Lia Levi

"Lanciamo occhiate supplichevoli a nostra madre chiedendole, certo senza saperlo, di riconsegnarci il nostro lindo mondo, ordinato come i quaderni di bella copia che hanno un foglio bianco nella prima pagina in modo che ci si possa scrivere con cura nome, cognome e classe, dentro una bella cornicetta disegnata a piacere con foglie fiori".
Una bambina guarda agli adulti per capire cosa accade intorno a lei, l'infanzia ha perso i colori, i rumori, gli odori che le sono propri. Non più giochi spensierati, non più piccoli sogni, non più i rituali di sempre. Da Torino a Milano fino a Roma. Un viaggio che nasconde il bisogno di fuggire dagli sguardi di chi li vede diversi, lo dice una legge, lo impone il nemico alle porte. Ricordi soffocati in fondo al cuore, la propria identità taciuta, persino negata. 
E' l'Italia, è la guerra, è la persecuzione agli ebrei.
"Recitiamo noi stesse, mimiamo una fanciullezza che non c'è più, fingiamo occhi e scoppi di entusiasmo, ma stiamo solo costruendo un film per la nostra memoria di un tremulo domani".
La vita domestica si mescola alle corse nei parchi, le assenze alle presenze, i divieti ai premi fino a che il male prende forma, e ha il volto dei vicini di casa, di uomini in divisa, di tanti che si arrabattano per sopravvivere ad una guerra che disumanizza, aliena, disgrega i popoli.
Lunghi mesi in un convento a nascondersi a tutti e lì si mastica paura.
"La paura è qualcosa che ti stringe la gola e ti regala un sapore di ferro in bocca, come le peggiori medicine di quando eravamo piccole. La paura va e viene, ti fa sprofondare e poi un poco risalire, ma ti lascia più incerta, più traballante, come un insetto senza zampe"
Fino a che Roma libera, le porte dei conventi vengono aperte e migliaia di piccole anime silenziose, strappate alla loro età, tornano a respirare vita, profumi e speranze.
Così una madre potrà rispondere alla sua piccola: "Non sei una bambina ebrea. Sei una bambina e basta". E in queste parole sta tutta la storia del primo novecento.

Il racconto intimo di una donna che torna bambina per descrivere l'olocausto, una testimonianza necessaria, una carezza ruvida al cuore di tutti.
"Siamo il vento sul mare, nessuno ci ferma, nessuno ci prende".

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