giovedì 20 febbraio 2014

"Magazzino 18" di Simone Cristicchi

C'è un posto nel porto di Trieste dove i ricordi fanno male solo a guardare. Sono imprigionati lì da sessant'anni. Quel posto oggi è il magazzino 18, prima c'è stato il 26, prima ancora il 22. Proprio come i loro proprietari nemmeno i ricordi hanno trovato requie. Vagano da troppo tempo ma reclamano attenzione, sfidano il silenzio. Quei ricordi passano attraverso oggetti: armadi, sedie, letti, libri, corredi, pezzi di vite sradicate all'improvviso, con brutalità, urgenza, rancore. Lì nel magazzino 18 sono stivate quel che resta delle masserizie degli italiani costretti a lasciare l'Istria, Fiume, la Dalmazia dopo il secondo conflitto mondiale; esuli dal 10 febbraio 1947 quando un trattato consegnò a Tito quel lembo di terra che va da Capodistria a Pola. Dieci anni di fughe, violenze, partenze forzate che videro sparsi nel mondo circa trecentocinquantamila persone. Nel cuore l'amarezza di aver perso per sempre il diritto alla propria terra, alla propria identità e di esser stati testimoni di quell'orrore ancora misconosciuto che va sotto il nome di foibe: più di 1700 cave, fosse carsiche che hanno ghermito la vita di migliaia di innocenti, unica colpa essere italiani, ovvero fascisti, oppressori, traditori. Torturati, violati, spogliati dei loro beni, costretti a dimenticare la propria lingua, la religione, ridotti a niente e beffati, umiliati da quella matrigna che si rivelò l'Italia stessa. Costretti in campi profughi che somigliavano ai campi di concentramento, privati della possibilità di emanciparsi dallo stato di fascista, ladro, nomade qual era considerato l'esule dalmata, si smarriva sugli occhi spersi dei più indifesi l'imprescindibile rispetto che si deve a qualsiasi essere umano. Non più persone ma identità scomode, testimoni delle ultime atrocità dell'uomo in guerra. 
La scrittura semplice ed evocativa di Cristicchi costringe a confrontarsi con il passato: "Riappropiarsi della verità, anche di quella più scomoda, è l'unico modo per separare i buoni ideali dalle cattive azioni. Per commemorare, per partecipare davvero però è necessario prima sapere. e per sapere bisogna ascoltare, non solo con l'orecchio, ma col cuore" e lascia un senso di inadeguatezza, una silente vergogna per quello che i nostri nonni hanno finto di non vedere, ovvero lasciare che nostri fratelli venissero trattati come bestie, ignorando la loro storia che poi è la nostra. Leggere di loro, delle loro vite, della loro necessaria ricerca di libertà e salvezza, impone attenzione e condivisione, per lasciare che almeno per un momento il cuore sia di nuovo leggero, con la speranza che non accada mai più.

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