lunedì 8 aprile 2013

"El especialista de Barcelona" di Aldo Busi

"I miei scritti saranno anche impudichi, ma la mia vita è onesta".
Un matrimonio, i preparativi per le nozze, le ansie dei futuri sposi.
Melò d'altri tempi? No un divertissement in quel di Barcellona ai giorni nostri.
Coppia gay, un docente sui generis di mezza età, piccolo e tracagnotto e un prestante giovanottone scampato all'arte di vivere. Al seguito un'armata brancaleone di ex mogli ringalluzzite da nuove nozze e insperati successi editoriali, figli problematici ed ignoranti, nipoti dai nomi rubati alle tre caravelle impudiche e maleducate, e un corollario di amici, vicini, parenti e parentastri scrocconi, egoisti e spocchiosi.
A completare il tutto un osservatore d'eccezione, Aldo Busi, capitato quasi per caso a far da cenerentola per casa in un quotidiano di iperbole sfacciataggine e tragicommedia freudiana buona ad illuminare, se già non ci fosse troppa luce, una vivace Barcellona, tutta piazze, piazzate ed eccentricità.
Bellissima, nostalgica, istrionica, erudita, allegoria della vita moderna il narrare sull'especialista de Barcelona e la sua corte dei miracoli. Necessaria a smascherare vizi e virtù, giudizi e pregiudizi, falsità, ipocrisie e qualunquismo, la banalità del male come l'ignoranza e l'indifferenza generazionale, non più ascrivibile solo agli uomini di potere. Suona quasi paradossale e anacronistica la digressione autorale sul disvalore diffuso dell'umano sentire e si condivide lucidamente e dolorosamente l'ironica, graffiante, impietosa analisi di Busi, giustamente moralista (nell'accezione di morale che ne dà la De Monticelli).
"Hai mai ricevuto in affetto, soldi, premura, apprensione, cure, calore umano e rispetto un millesimo di quanto ne hai dato tu? E allora piantala con questi peana all'umanità".
C'è tutto in questo romanzo, e non solo tutto il mondo di Busi che lo rivela al pubblico nel suo privato di amore, solitudine, sofferenza: c'è la bellezza pura della narrazione che si fa in diversi tratti affabulazione, c'è la ricerca della parola, c'è il fare graziato e sgraziato del racconto, c'è l'irruente, fantasioso, incontenibile mixare realtà a fantasia, c'è brutalità, leggerezza, ardimento, poesia, c'è persino tutta l'allegria picaresca di un cincischiare sul riassettare casa e cucinare che cela il bisogno di normalità in un contesto dove nulla appare più normale, dove i ruoli sono messi in discussione e l'assunzione di responsabilità tacciata di autoritarismo e perciò rifiutata.
Contestato e contestatore Busi regala pagine di vera letteratura. Originale, dissacrante, innovativo e al tempo stesso elegante, poetico, struggente.
"L'amore si fa o si sente, l'amore non si dice, non si reclama e non si commenta l'amore fatto, l'amore ha gli occhi per parlare e le mani per recargli doni. Se gli occhi sfuggono e le mani arrivano vuote, è detto tutto. Due che non hanno niente da dirsi parlano del loro amore reciproco, che intanto sta volando altrove. Parlare d'amore significa parlare d'altro".
Per inciso.. la cerimonia di nozze riserva delle sorprese! In puro stile especialista de Barcelona.

6 commenti:

  1. Mi piace - e mi convince - l'accostamento della fibra morale, ora più ora meno in controluce, dell'opera di Aldo Busi al concetto di fondamento etico così come lo descrive la De Monticelli, per esempio, in e per l'appunto "La questione morale".

    Però - e qui mi rivolgo a chi ha scritto la recensione, che secondo me il piacere di leggersi il romanzo se l'è preso tutto leggendolo per intero - una curiosità mi resta: siccome sono certo che chi ha scritto questo commento ha voglia di consigliare il libro perché è bello, e con questo intendo dire che non ha nessun intento ulteriore che sia detrattivo, mi chiedo perché poi si sia accontento di fare una operazione così spicciola e frettolosa, ipotizzando senza dubbi che il narratore nel romanzo è Aldo Busi che l'ha scritto.

    Magari chi ha scritto la recensione lo scrittore lo conosce di persona, ma anche così: non separare l'esperienza dell'uomo dall'esperienza del suo lavoro di invenzione è, uhm: scortesia.

    Ma se così non fosse - e se la ragione non è che chi ha letto si è fatto irretire da chi ha scritto tendendo già trappole a chi avrebbe affrontato il suo romanzo con del pigro pregiudizio su di lui - cosa ha fatto sospettare al recensore che Aldo Busi non abbia scritto un'opera ma fatto semplicemente un po' di diaristica edulcorata e pimpampata?

    Anche perché io Aldo Busi ammattito a parlare da una panchina a una foglia di platano o ad assistere imbolsito un palestrato che si fila - preso al laccio - tra minorenni già avviate a una ricompensata carriera da olgettine odontoiatriche senatoriali, non ce lo vedo proprio.
    Ma anche questa è una mia proiezione, vabbé, magari farebbe proprio così.

    I miei saluti curiosi di una risposta!,
    Antonio Coda

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    1. Gentile signor Coda,
      curiosa più io di risponderle.. d'emblée.. come scrivo le mie recensioni.
      Non ho il piacere di conoscere il signor Busi ma sì, la lettura, mi ha proprio lasciato l'idea che sia lui il narratore. Lui, questa fantastica, eccentrica, surreale creatura capace di abbandonarsi per ore in strane elucubrazioni sulla vita guardando una foglia di platano cadere al pari del tempo dedicato al rito del ragù. Uno che ama vagabondare di città in città salvo fermarsi in un posto che 'estremizzato' per genere e generi, gli ricorda l'idea di casa, famiglia, affetti.
      E scaltro al punto di fiutare il pericolo o il vano costo della battaglia e cavarsi d'impiccio in tempo.
      Busi riesce a fondere con una scrittura 'non alla portata di tanti sedicenti narratori italiani' realtà e immaginazione. Di più penso che sia voluto questo gioco ridondante di stratificazioni narrative, questo alternare ricordi a scene di vita vissuta, o semplicemente sognata. Vero e verosimile.
      Questo è Busi. Tutto e il contrario di tutto.
      Ammetto l'irretimento (che bella parola!), e guai se non fosse stato così. Leggere, diceva L. Durrell, è come avere un verme nel midollo.. e Busi quel verme lo lascia addosso a lungo.
      Grazie per le sue osservazioni.
      Alba Fiamma

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    2. Alba Fiamma (un nom-de-plume che rosola e inspieda qualsiasi galletto a portata!),

      la ringrazio per la sua divertita risposta e cortese, alla quale, non essendoci nulla da replicare, per un pizzico di presunzione mi va ancora di aggiungere che il "suo" Busi, la persona che lei costruisce dal personaggio che nel romanzo dice - ma sempre più stancamente - "io", è in effetti uno dei risultati più eccezionali della letteratura: un personaggio così desiderabilmente verosimile da fagocitare la persona che l'ha generato e che ha saputo fare della sua scrittura una personalità che supera persino se stesso.
      Leggiamo un libro di Aldo Busi, e ci sembra di vedere e toccare come non avessimo davanti un alfabeto ordinato ma il bel disordine del mondo che vive.

      Tra i cento e i mille anni in cui questi libri verranno ancora letti e, poveretti, infine anche studiati, certo nessuno avrà un Aldo Busi vivente a cui rimandare il "BA" scritto, ma non importa: i lettori sono i veri artefici dell'incarnazione, e di tutte le sue mistificazioni possibili.

      Un saluto!,
      Antonio Coda

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    3. Concordo con le sue parole sig. Coda e la ringrazio per l'attenzione riservata alle mie.
      Ma le svelo un segreto.. il mio non e' un nom de plume. Fortunata ad averlo. Vero e', come dicevano i latini, che "nomen omen". Ricambio il suo saluto.
      Alba Fiamma.

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    4. Il suo è più che un nome: è un inno! (E in parte, col cognome che ho, non sono sicuro di voler essere d'accordo coi latini).

      Buone letture, e buone giornate.
      Antonio Coda

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  2. Riscrivo la parte finale del commento perché ci ho ficcato dei refusi che ne cambiano il significato, e già che ci sono, lo ritocco pure un po':

    "Anche perché io Aldo Busi ammattito a parlare da una panchina a una foglia di platano o che assiste, da imbolsito, a un palestrato che si fila - preso al laccio - tre minorenni già avviate a una ricompensata carriera da olgettine odontoiatriche senatoriali di proprio, non ce lo vedo proprio: al laccio l'avrebbe preso lui, il palestrato: ma per soffocarlo. Poi si sarebbe dato alla fuga prima che le tre carnivore avessero provato a vendicarsi su di lui per aver loro fatto saltare il giro di rodeo con il manzo a tiro."

    Saluti!,
    Antonio Coda

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