
Ma non ci stanno Luigi e i suoi figli a piegarsi, a cedere il frutto della loro fatica al prepotente, al profittatore, e tentano l'unica via possibile: il ricorso alla giustizia, la denuncia alle forze dell'ordine delle minacce subite, dei furti, gli incendi alle loro proprietà, i tentativi sempre più irriducibili di ricatto. Ma ci si può opporre nella terra di nessuno alla mano lunga della mafia, che svilisce il ruolo dello Stato imponendo le sue personali leggi? Che imbastisce accuse false, inscena processi farsa per ridurre al silenzio i ribelli? Si può, si deve. Lo fanno i Sacco, che in breve diventano i paladini degli umili, degli onesti, dei timorosi, di quelli che vorrebbero ma non hanno il coraggio di fare. Al punto di farsi loro stessi per necessità latitanti, di rispondere alle offese con offese, senza mai coinvolgere innocenti, senza mai sparare alle forze dell'ordine, senza mai recare offesa per primi; loro che le cronache vogliono banditi, che lo stesso prefetto Mori si fece punto d'onore di arrestare, che i mafiosi stessi iniziarono a temere, loro non erano che una "banda degli onesti, costretti dagli eventi e dallo Stato che non sa difenderli, a imbracciare le armi, andando contro la loro stessa natura".
I Sacco, sconfitti ma non vinti, loro traditi e venduti, loro ribelli di salda onestà intellettuale, loro umili e perbene, pagarono il fio di non piegare la testa, di reclamare quel che era loro dovuto: giustizia e protezione. Pagarono ed espiarono per i tanti senza voce, non ottennero che silenzio e sputi in faccia.
La memoria storica oggi ritrovata restituisce loro il dovuto. Le parole di Camilleri si fanno cronaca sincera e puntale. Riabilitano i 'forzati eroi comuni' che abitano ancora il nostro tempo. E il lettore stringe il pugno per la rabbia di aver atteso tanto per sapere, come troppe volte accade.
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