mercoledì 5 febbraio 2020

"Il treno dei bambini" di Viola Ardone

"Ho sprecato tanta rabbia che alla fine ne ho dimenticato il motivo".
Un uomo cammina per le strade di Napoli. 
Si chiama Amerigo. 
È tornato a casa dopo tanto tempo.
Le scarpe gli fanno male. Gli capita spesso. Memorie dell'infanzia. 
Si ferma da un ciabattino, "i piedi sono tutti diversi, ognuno tiene la sua forma, bisogna saperla assecondare, sennò è una sofferenze continua".
Ecco, assecondare. 
Finanche i ricordi. Sennò è sofferenza.
Come quel giorno più di quarant'anni prima. La madre l'aveva messo su un treno, assieme a tanti altri piccoli. La fame che accende i loro occhi, come e più della paura. Per la prima volta abiti nuovi e puliti addosso. Persino un paio di scarpe, strette, ma nuove. 
Il viaggio si chiama solidarietà. È un progetto delle sezioni politiche del partito comunista. La guerra è finita ma ovunque solo macerie e miseria. A dispetto dei pregiudizi, delle assurde voci che accompagnano i viaggi in treno che porteranno i bimbi del sud nelle famiglie dell'Emilia, le donne si separano dai loro figli per dar loro la possibilità di ricominciare a vivere.
Regalare loro la speranza, di una vita diversa, anche solo per qualche mese. 
Affetto, attenzioni, cibo, cure, istruzione.
Così per Amerigo. 
La percezione della vita, della normalità, così estranea a chi la vita se l'è inventata, giorno dopo giorno, come in una scatola di latta dove nascondere un tesoro fatto di oggettini e sogni, un pezzo di pane e un foglio di giornale con la foto di un uomo da credere il papà lontano in America. 
"A volte ti ama di più chi ti lascia andare che chi ti trattiene". 
Antonietta sa che deve mettere Amerigo su quel treno. A dispetto della solitudine, del dolore che la uccide dentro. 
E sa che al suo rientro a casa dopo pochi mesi la figura che gli compare davanti è ormai estranea alla povertà della sua casa, delle facce che abitano il quartiere, dei sogni spezzati: un violino, la musica, una vita diversa. E allora assecondare la fuga di Amerigo è sacrificio maggiore alla prima partenza. Segna la perdita, non solo l'assenza. 
L'uomo che adulto, musicista di successo torna a Napoli, è un'anima sperduta, che sulla tomba della madre, complice lo sguardo di un bimbo che gli tende la mano, si riappropria dell'identità perduta, dell'amore della madre, della sua città, del suo passato. 
E su un treno riprende a correre la sua vita. Stanco, soddisfatto, quasi sereno, con la certezza che non sarà più solo "uno che è andato via".
"Il treno dei bambini" di Viola Ardone è un romanzo nascosto tra le pieghe della storia italiana più recente, il Novecento piegato dalla seconda guerra mondiale che pure trova nella sua gente, negli ideali politici, nell'idea del bene diffuso lo strumento per impattare davvero sulla società.
Basterebbe il giusto tributo ad una pagina di storia dimenticata per leggere la Ardone ma c'è molto di più nel suo romanzo. C'è Amerigo, un personaggio straordinario; questo bambino vestito dal bisogno dei panni di adulto che mostra come tutti gli altri la fragilità del suo stato, il desiderio di vivere la normalità della famiglia di cui è ospite al nord, senza mancare per questo verso la madre, la comunità che a suo modo ha cercato di tutelarlo.
Volti, nomi, storie di uomini, donne e bambini in un quartiere popolare che meriterebbero ognuno menzione.
Merito di una narrazione asciutta, vera, disarmante come lo sguardo profondo di Amerigo che saluta la mamma dal 'treno dei bambini'.
(Nella foto parzialmente visibile il libro di Davide Calì 'Tre in tutto' con illustrazioni di Isabella Labate, che racconta del treno dei bambini). 

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