domenica 26 gennaio 2020

"Macchine come me" di Ian McEwan


“In assenza di malattia, fame, guerra o altre grandi tensioni, buona parte della vita trascorre in una zona di neutralità, un orticello familiare, ma anche grigio, insignificante, dimenticabile, indefinibile”.
Così pure scorre la vita di Charlie Friend, fino a quando Adam, un essere umano artificiale, irrompe nella sua vita. Una pazzia per un trentenne che vivacchia comprando e vendendo titoli online. L’eredità spesa per avere in casa l’intelligenza artificiale al suo servizio. Curiosità, la straordinaria esperienza di interagire con una mente programmata per sapere e leggere la realtà, salvo interpretarla fidando nelle proprie regole: mai venire meno all’assoluto di non arrecare danno alcuno agli altri.
Strano confrontarsi con un uomo ‘altro’ da sé che analizza pensieri, raccoglie informazioni, eppure a suo modo elabora idee, emozioni, bisogni, e si fa essere cosciente, ben al di là della definizione di macchina. Charlie giorno dopo giorno interagisce con Adam, supera la diffidenza, vince il rigore di un rapporto codificato solo in apparenza come servo/padrone per aprirsi a un senso di familiarità, di convivenza, di interazione intima, al punto da coinvolgerlo nella relazione con Miranda, e nel mistero che si dipana sul suo passato.
E mentre fuori la guerra tra Argentina e Inghilterra per le Falkland imperversa con risultati inattesi al punto da gettare il paese nello sconforto della tragedia nazionale per le migliaia di vittime, Turing è a tutti gli effetti il padre delle conquiste tecnologiche che apre l’ultimo scorcio del novecento alla rivoluzione sociale. In un tempo in cui i Beatles suonano ancora insieme e la gente manifesta in strada per la disoccupazione gridando slogan contro il primo ministro, una macchina in tutto e per tutto simile ad un uomo, si logora sul concetto di bene e male, giustizia e vendetta, scienza e coscienza.
Quel che segue è l’interrogativo assoluto che dilania l’anima, di una macchina in tutto e per tutto umana. E’ un ossimoro, ed è perfetto.
La scrittura di Ian McEwan è piena. Profonda. Competente.
Ogni parola è contenuto.
E’ oggettivamente un tema di profondissima attualità quello trattato da McEwan, eppure disorienta. Per tutto il corso del romanzo il lettore percepisce la presenza di una macchina ma è estraniante sapere che è senziente, di più appare dotato di un’etica che va oltre i valori considerati comuni. Nonostante filosofeggi, parli con consapevolezza, fatichi ad integrarsi come spesso capita a tanti ‘umani’, si continua a percepire come un estraneo, un oggetto. Le sembianze in tutto e per tutto umane non creano empatia nei confronti di chi legge, che lo vede come un oggetto a disposizione di chi lo ha acquistato, giudica pertanto normale che lavori per lui, generi ricchezza, esegua comandi. Il lettore di smarrisce quando la macchina/Adam tradisce il rapporto con Charlie e Miranda preferendo il senso di giustizia, di condivisione, di bene assoluto, al punto da giungere a un passo dall’autoeliminazione comune agli altri prototipi.
“Non erano attrezzati per capire i processi decisionali umani, il modo in cui i nostri principi vengono distorti dal campo di forze di emozioni, pregiudizi, autoinganni e di tutti i sistematici errori delle nostre funzioni cognitive”
Un romanzo che definire bello è riduttivo. E’ altro. E’ necessario, stimolante, elitario nel rapporto che prefigura tra testo e lettore.

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