venerdì 12 aprile 2019

“Dai tuoi occhi solamente" di Francesca Diotallevi

"La mia è la storia di chi ha vissuto attraverso le storie degli altri, di chi ha visto tutto senza mai essere vista. La mia è la storia di un'ombra".
Vivian è poco più di una bambina quando è costretta a lasciare New York per rientrare in Francia paese d'origine di sua madre. Dal caos della grande città alla quiete della campagna francese. Dai piccoli spazi del suo appartamento a quelli aperti dei boschi. Ritmi di vita, corpi, visi, movimenti diversi. Nemmeno il tempo di abituarsi e la piccola Vivian viene trascinata nuovamente via, perché ovunque sua madre si lascia indietro rovine, rancori, rabbia. Un matrimonio sbagliato, un padre assente, un figlio abbandonato e lei, Vivian cui provvedere con indolenza, con gli avanzi di sentimenti, di gesti di affetto che la piccola rivendica con forza al punto di preferire un'altra donna a lei come madre, sua nonna. A tredici anni aveva smesso di andare a scuola. Aveva diviso con lei la cameretta nella casa in cui era a servizio e si era fatta bastare le briciole di affetto, di normalità che la sua nuova famiglia le riservava. Normalità, quello cercava. Un lavoro in fabbrica, gli articoli da ritagliare, gli sguardi della gente. L'eredità improvvisa della casa di campagna in Francia era stato il definitivo punto di rottura con la madre che si sentiva defraudata. Non c'era stato modo di spiegarle. Solo parole pesanti, porte sbattute, odio. Quei soldi le bruciavano in mano ed erano serviti per realizzare un sogno, l'unico che da bambina le aveva dato interesse, curiosità, felicità: una macchina fotografica. Una coinquilina della madre le aveva insegnato ad usarla da piccola e adesso che era adulta poteva ricominciare a cogliere istanti di vita degli altri, della gente intorno a lei, farli propri, custodirli, viverli.
Non era stato semplice. Vivian cercava spazi aperti, gente, piccole emozioni, storie, vite vere. La fabbrica, l'isolamento in uno spazio confinato per tante ore, gesti ripetuti all'infinito non facevano per lei. Cercava altro. Prendersi cura dei bambini, entrare in casa d'altri, viverne le famiglie poteva offrirle la possibilità di colmare il vuoto nel suo cuore. Sostenere i talenti dei piccoli, osservare i loro progressi. E poi camminare per la città, mischiarsi alla gente, fotografare, cogliere il momento e nemmeno sviluppare le foto, tante, troppe, migliaia. La perfezione era nel momento stesso dello scatto. Ma in casa dei Warren qualcosa non aveva funzionato. Frank, il capofamiglia era uno scrittore di successo, un artista. Aveva colto la sua ritrosia, la sua sofferenza, il vissuto di dolore che nascondeva e il bisogno di vivere le vite degli altri, di catturarle in uno scatto. Si erano riconosciuti come pari e avevano preso a confrontarsi, rispettarsi, sostenersi. Al loro essere artisti chiedevano onestà. Entrambi però avevano finito per cedere ai compromessi della vita, lui aveva continuato a scrivere le storie che il suo pubblico amava, lei era partita, verso una nuova città, una nuova famiglia, nuove foto, nuovi istanti di vite da imprigionare. 

Romanzata quel tanto da completare la suggestione che di per sé la vita di Vivien Maier ispira guardando le sue foto, l'opera della Diotallevi si legge con piacere, rendendo al meglio tutto il tormento esistenziale di una donna che aveva vissuto come voleva: sopravvivendo a se stessa, ai fantasmi di un passato che l'avevano privata di affetti. La sua bellissima macchina fotografica era l'estensione della sua mano e della sua anima. Aveva fotografo chiunque, qualunque cosa. Sorrisi, baci, pianti, litigi, gelati sul viso, bimbi imbronciati, auto che sfrecciano. Tutto. Anche lei, un viso serio, mai un sorriso.
Impossibile non lasciarsi coinvolgere dalla sua storia, impossibile staccarsi dalle sue foto. "Dai tuoi occhi solamente".. però. 

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