“Le parole sono l’unica cosa che
rimane per sempre”.
Opportuna la considerazione di William Hazlitt, tra i più profondi
saggisti inglesi attivo tra la fine del ‘700 e i primi decenni dell’800, di cui
finalmente il lettore moderno può apprezzare una parte dei saggi pubblicati sul
London Time nel 1820.
Arguto, ironico, pungente, incisivo il pensiero di Hazlitt spazia su
diversi temi: dalla paura della morte – deliziose le pagine sul fare testamento
con episodi tanto improbabili quanto veri – alla critica delle istituzioni
culturali, politiche, sociali: “Tutti
quelli che si agitano, strisciano e pregano per ottenere un posto, vivono poi
sugli attestati di merito fino alla vecchiaia, dopo la quale è raro che se ne
senta più parlare. Se capita fra di loro un uomo veramente capace, che sceglie
la sua strada non conta niente”; dall’ignoranza delle persone colte che “conosce le cose di cui parla come un cieco
i colori” agli svantaggi della superiorità intellettuale dacché “il principale svantaggio di sapere di più e
di vedere più lontano degli altri in genere è di non essere compreso”.
Paradossale, irriverente, beffardo, passionale nel tenere la posizione
su giudizi controcorrenti, curioso, istrionico nel destreggiarsi tra citazioni
e rimandi colti, W. Hazlitt risulta di un’attualità sconcertante e di facile
immedesimazione per il lettore.
“Tutto ciò che ti riempie di
gioia e di diletto sfugge agli occhi della gente”.
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