martedì 6 luglio 2021

"Il pane perduto" di Edith Bruck

"Tanto tempo fa c'era una bambina che, al sole della primavera, con le sue treccine bionde sballonzolanti correva scalza nella polvere tiepida".

In piccolo paese di provincia in Ungheria, nei primi anni quaranta del Novecento, Edith, per tutti Ditke, pensa alla scuola, adora scrivere, corre spensierata, ignara che un pericolo incombe sulla sua famiglia. È ebrea e la primavera della vita scivolerà nell'inverno dell'orrore dei campi di concentramento dove verrà internata con i suoi genitori e due dei suoi fratelli.

L'abisso del male ha il volto dei nazisti, delle kapò, delle compagne di sventura disposte a tutto per sopravvivere, è nel fumo che consuma i corpi delle vittime, nelle violenze, nelle privazioni, freddo, fame, nei corpi che cercano il filo spinato o elettrificato perché il suicidio è una liberazione a fronte del male che consuma corpo e mente. Pochi sprazzi di umanità illuminano nel cuore di Edith la speranza e, complice la forza della sorella maggiore, la sopravvivenza, ma è solo il primo passo verso un viaggio nel cuore dell'Europa fino alla terra promessa, Israele, tra parenti e nuovo conoscenti che rifiutano di ascoltare Edith, la sua storia, che invece chiede di essere raccontata, condivisa come chiedevano i compagni nei campi di concentramento.

Edith fuggirà più paesi, la sua stessa famiglia, per approdare in maniera rocambolesca, in Italia, un paese che la accoglie con l'allegria di un sorriso e la possibilità di ricominciare senza giudizi e pregiudizi.

Sarà l'incontro con un poeta a permetterle di liberarsi delle paure e cominciare a vivere davvero facendo l'unica cosa che le riesce semplice: scrivere, raccontare, raccontarsi.

"Mi sentivo rinata. Avevo un nome, esistevo".

 A dispetto del tempo che passa Edith parla ancora di quella bimba sensibile e allegra che correva  e cercava lo sguardo del prossimo reietto alla società, e a Dio chiede il pane perduto, il cibo per nutrire l'anima al punto di mettersi al servizio della storia, della testimonianza alle nuove generazioni, perché solo i sopravvissuti possono raccontare quel che è stato l'Olocausto e sperare che non succeda più.

Una scrittura semplice, emotiva, un racconto orale che si fa parola scritta e si incide nei cuori dei lettori.

Immensa, Edith Brick.

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