martedì 24 aprile 2018

"Il consolatore" di Jostein Gaarder

"Cominciai a frequentare i funerali quando arrivai a Oslo all'inizio degli anni Settanta".
Jakob è un sessantenne solitario. È un linguista. Ha un amico speciale, Pelle, un burattino. Un matrimonio alle spalle. 
I funerali sono il suo modo di sentirsi parte di una famiglia, lui che di affetti familiari ha conosciuto poco o nulla.
La vita degli altri, per qualche ora, ad un funerale, diventa la sua.
Lui veste i panni del consolatore. La persona che serba il ricordo più bello del defunto, le parole più adatte. Quello in grado di conquistare l'attenzione, riservare il sorriso più sincero, quello che stringe la mano ai parenti, conforta il loro smarrimento. Ma in tanti anni capita di imbattersi nella stessa gente o di lasciarsi vedere per quello che è, un bugiardo. Un sognatore mancato. Amante della famiglia. Uno che scava nell'etimo delle parole più che in se stesso. Uno che il meglio di sé lo dà quando presta voce e sentimenti al suo amico di infanzia, il burattino Pelle, che alfine conquista l'attenzione di una donna speciale, Agnes, in grado di guardare oltre il burattino per leggere nel cuore dell'uomo e trovarvi tutta la dolente bellezza dell'umanità.
"Decidemmo di fare una passeggiata mentre parlavamo perché, come disse uno dei fue, spesso è più facile fare una conversazione assennata mentre si cammina insieme rispetto a quando si sta faccia a faccia".
La scrittura potente di Jostein Gaarder al servizio di una storia di rara forza emotiva che scava sul profondo bisogno dell'uomo di non sapersi solo.

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