giovedì 6 novembre 2014

"Guardati dalla mia fame" di Milena Agus e Luciana Castellina

8 marzo 1946. Andria.
La piazza è piena di gente, giunta da ogni dove per il comizio di Giuseppe Di Vittorio.
La guerra sembra alle spalle ma è un'illusione. La guerra vera, quella che si combatte ogni giorno, da sempre, per milioni di affamati e poveri cristi, non è mai finita, tanto più in terre svuotate di tutto persino della speranza, come le campagne pugliesi, ostaggio di latifondisti.
Ma in quell'otto marzo  1946 "la fame si fa violenza e chiede vendetta".
La gente aspetta solo un pretesto per rivoltarsi contro i padroni, quei proprietari terreni, quei nobilotti di paese che da sempre li affamano, e accade.
Dal tetto di Palazzo Porro che si affaccia sulla piazza principale del paese si avvertono spari, e la folla, inferocita, reagisce.
E' un momento e il palazzo è accerchiato, assaltato e gli occupanti stanati e colpiti, alcuni fino alla morte.
Ma a Palazzo Porro non ci sono uomini né alcuno che possa o voglia aggredire la povera gente. Il palazzo è di proprietà delle sorelle Porro, pie donne nubili la cui vita "disabitata" è ai margini di un racconto corale di paese dove i gesti sono ripetuti, i silenzi colmi di significato e le attese sospese.
Non c'è nulla nella loro quotidianità che non sia regolato, non leggono altro che fede nei gesti della gente e ne ignorano difficoltà, sogni e speranze. Sono avulse dalla società, rintanate nella loro casa fatta di merletti, preghiere e ricami, risparmi e implicite mortificazioni dell'anima, loro che escono solo per andare in chiesa di cui sono benefattrici, certe che quel bene venga condiviso con chi ha bisogno davvero, loro che "non protestavano e non domandavano niente più che di esistere".
Il giorno dopo l'assalto a Palazzo Porro ovunque ad Andria è silenzio, in piazza come nelle case della gente, silenzio assertore di un fatto di irrevocabile evidenza: le sorelle Porro sono morte, ree come tutti gli altri proprietari terrieri di "non avere fame" ma "affamare", di provocare con la loro solo presenza. Giustizia, o meglio, vendetta è compiuta, del resto "era gente soddisfatta di sé e invece.. se c'era qualcuno di cui diffidare, era proprio la gente soddisfatta di sé".
Il processo che seguirà, individuerà i colpevoli tra la gente, corpo indistinto, denunciando l'atavico problema di una discriminazione sociale senza tempo, arma crudele.
A raccontare la storia dell'omicidio delle sorelle Porro in due parti volutamente distinte le penne della Agus e della Castellina in una narrazione che confronta e colma la storia di pathos emozionale tipico dei romanzieri all'analisi lucida e ricca di dati del giornalismo.
La scrittura bifronte è palpitante e pregevole e di disarmante lucidità nel raccontare pagine della nostra storia moderna forse forzatamente dimenticata per edulcorare i drammi di una nazione come la nostra frammentata e problematica mai giunta a maturità sociale.




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